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DOTTRINA ARISTOTELICA DEL BENE

E SUE ATTINENZE

COLLA CIVILTÀ GRECA E ITALIANA (').

L

In quel medesimo secolo del dugento che è stato testimonio del movimento religioso dei francescani, delle crociate sanguinose contro il manicheismo degli Albigesi e dello sviluppo della poesia nel mezzogiorno dell'Europa, si è pure prodotto un moto straordinario d'idee, e di discussioni filosofiche, in seguito alla introduzione della filosofia di Aristotele nelle università.

Si suol dire generalmente che Aristotele ha governato le scuole filosofiche del medio evo, e che la obbedienza alla sua autorità è il principale difetto della Scolastica. Verissimo, purchè quest'asserzione si restringa nei dovuti confini. E prima di tutto avvertiamo che la storia della dominazione di Aristotele nel medio evo occidentale si collega con quella della versione dei suoi libri.

(') Da parecchie lezioni fatte nell'Istituto superiore di Firenze.

Vol. XXV. Disp. 2.

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È noto che Boezio lasciò ai Latini una traduzione dell'Organo di Aristotele, e che quando lo spirito filosofico, dopo circa quattro secoli di abbassamento, durante i quali gli avanzi del sapere e dei libri si occultarono nei conventi, risorse a nuova vita, principalmente per opera della scuola palatina fondata nelle Gallie da Carlomagno al principio del secolo IX, cominciò a rifiorire lo studio della logica.

Non furono per altro studiate dapprima con ardore che due sole parti dell'Organo, le Categorie e l'Interpretazione, e pare che durante più di tre secoli perdurasse questa abitudine, poichè, alla metà del 12,° Abelardo diceva che fin allora i Latini non si erano serviti che dei due sumentovati libri aristotelici: «Aristotelis tantum duos libros usus adhuc Latinorum cognovit ». Cosicchè il gran movimento della filosofia scolastica che comprende le lotte del realismo, del nominalismo e del concettualismo e fa risuonare in Europa i nomi di Berengario di Tours, di Roscellino, di Guglielmo di Champeaux e di Abelardo, e si collega colla ardita impresa di Arnaldo da Brescia, move nell'ordine scientifico essenzialmente dalla chiosa di Boezio sulla Isagoge di Porfirio alle Categorie aristoteliche, piuttostochè dalla filosofia stessa dello Stagirita. E quantunque da certe traccie sparse qua e là nelle indagini degli eruditi possa sembrare che un' antica versione di tutte le opere di Aristotele, attribuita da alcuni a Boezio, si conservasse in Italia, tuttavia convien confessare che essa era generalmente come non fosse. Tanto, se mai esistette, era negletta e ignorata dall'universale.

Certo alcune versioni latino-arabe passarono i Pirenei mezzo secolo prima della presa di Costantinopoli. Poichè senza parlare dei viaggi e soggiorni non brevi che per acquistare

la scienza dei Mori faceva un Gerberto che fu poi papa Silvestro II e un Adelardo di Bath, rinomato contemporaneo di Abelardo, è accertato che Raimondo arcivescovo di Toledo riunì nella sua città un collegio di traduttori dei quali la storia ricorda i nomi principali, e che dal 1130 al 1150 vol. tarono in latino molte opere di Avicenna, Algazel e Alfarabi. Quelle traduzioni abbracciavano la versione di varie opere di Aristotele coi commenti arabi.

Vi si aggiunse di poi la versione dei commenti d'Averroè eseguita pure a Toledo da Michele Scoto e divulgata in Occidente dal 1220 al 1230.

Da quel momento Aristotele esercitò un vero dominio su tutto il sapere del medio evo, cosicchè Roggero Bacone credette di potere registrare la data di questo grande avvenimento al 1232.

Contribuiva verso la stessa epoca al medesimo effetto la nuova versione di tutte le opere di Aristotele che il fiammingo Guglielmo di Moërbecq, detto ancora Guglielmo di Brabante, eseguiva sul testo greco dietro invito di Tommaso d'Aquino (').

Aristotele riapparso quasi a un tratto allo spirito della dotta Europa, già sveglia e assetata di sapere, Aristotele armato d'un'intera enciclopedia scientifica, commentato dai potenti ingegni di Averroè e di Tommaso, abbagliò le menti, le sedusse, le soggiogò. Il suo genio parve l'ultimo sforzo della natura, la sua dottrina sembrò l'apice della ragione e

(1) Sulla storia delle versioni arabo-latine di Aristotele veggasi l'opera del Jourdain: Recherches critiques sur l'âge et l'origine des traductions latines d'Aristote. Paris, 1819. e il libro del Renan su Aver roe.

della scienza. Egli dominò l'Europa due secoli e mezzo senza contestazione e durante i due secoli della Rinascenza doveva ancora lottare con varia fortuna finchè cadesse sotto i colpi di Galileo, Bacone e Cartesio.

II.

Ma veniamo all'Etica aristotelica. Essa fu introdotta nell'università di Parigi fino dal 1215. Prima di seguirne le attinenze colla civiltà greca e italiana, esaminiamone il principio su cui si fonda, cioè il concetto intorno al Bene.

La dottrina aristotelica del Bene si può dividere in tre. parti a cui corrispondono le seguenti questioni; 1° come si ottiene e come si determina l'idea del Bene, in altre parole dove è il Bene o quale ne è il soggetto; che cosa è, che cosa contiene? 2° quali sono gli ordini del Bene, a quali enti si estende? In terzo luogo quale è il bene dell'uomo, e che relazione ha cogli ordini del Bene? In che modo se ne distingue e vi si connette? - Due questioni generali intorno alla comprensione ed estensione del Bene, una questione speciale sul bene dell' uomo.

Ecco in quale maniera Aristotele deduce e forma il concetto generico del Bene. Egli lo ricava dalle condizioni necessarie d'ogni ente, dalla legge universale dell'individuazione. Ogni ente si move e svolge per riposarsi in uno stato terminativo del suo moto, e questo stato non può essere che una attività perfetta nella sua specie. Quando un ente ha conseguito un tenore d'attività cosiffatta, il fine del suo movimento è conseguito, egli è tutto ciò che può essere conformemente alla sua essenza: il desiderio della natura per rispetto a lui è soddisfatto; egli è dunque

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