Immagini della pagina
PDF
ePub

II.

Il fatto fondamentale e perpetuo della psicologia o meglio del nostro atto di sussistenza è questo che noi uscir non possiamo tanto o quanto da esso atto o dal me secondo fu nominato negli ultimi tempi. Quindi non convien dire con un locchiano che sì negli ultimi abbissi del creato quanto nelle altezze maggiori dei cieli noi sempre cogliamo e avvisiamo il nostro sentire ed immaginare. Invece conviene si affermi che sempre, in qualunque luogo e in qual che sia stato o mutazione di casi e di circostanze ogni cosa si riferisce a quel nostro me dal cui centro e dalla cui entità ci è impossibile di uscire senza smarrirla e in tutto e per tutto annullarla. Stante che l'espressione del me il quale esce da se medesimo è ripugnante e non à senso. Per fermo, la fantasia se ne meschia più del dovere; e quell'uscire noi di noi stessi è immaginato come qual cosa che lasciasi dietro una contenenza e un repositorio di sè, ed al quale sembra di poter ritornare a bell'agio, come già Ermotimo usciva dal corpo e vi ritornava a talento; e la strega Bolognese descritta nell'Asino d'oro, nella notte pigliava forma di gufo o di strige e in sull'alba ripigliava le sue membra e il suo volto.

Nè il panteismo più sperticato delle Scuole Indostane dilegua o scema l'incongruenza. Attesochè, se uscendo dal nostro essere noi ci trasmutiamo nell'Ente universale assoluto, secondo la teologia e la metafisica dei Budisti, ciò importa od un grave equivoco di linguaggio, ovvero che il nostro me individuale, si radica e si profonda in quell'Ente, ancora che non ne riceviamo notizia veruna nè veruna coscienza; onde

seguirebbe che squarciata e distrutta la nostra propria e singola forma, ella dileguerebbesi nell' oceano interminabile. dell'Ente assoluto come un picciolo flutto si spiana e discioglie entro il mare pur conservando con esso una inconscia parità di sostanza. Tutto il che mosse in effetto i Budisti teologanti a, riconoscere nel Nirvana qualcosa che troppo somiglia all'annichilamento.

Ad ogni modo, il me attestatoci in via immediata e incessante da qualunque nostro atto e pensiere è quel principio subbiettivo immutabile di cui non può dispogliarsi qual che si voglia filosofia. Chè sebbene la potenza astrattiva e speculativa mena il pensiere fuori di sè a distanze infinite e fa scordargli per intero il centro dal quale procede e a cui permane ogni sempre connesso ed intrinsecato, ciò in realtà significa da una parte l'energia del pensiere e della immaginazione, sceveratamente guardate; e però significa l'atto non la sostanza, l'applicazione remota, non il fontale principio; e d'altra parte avvisa ed esprime in casi parecchi certa virtù attraente dell'oggetto contemplato il quale ci sembra fare rapina dell'intero essere nostro. E tutto questo, delineato e descritto per via di traslati, dichiara infine e conchiude che alla potenza cogitativa dopo lungo divagamento e quasi alienamento e distacco è forza all'ultimo di ricongiungersi di nuovo a se stesso o parlando più corretto di pigliar coscienza intera di sè; la qual cosa somiglia ad un ritornare e ricongiungersi con la sostanza e la causa individua di cui il pensiere è schietta espansione ed emanazione.

Ora, dal tutto insieme delle ambigue locuzioni testè usate esce questo pronunziato notevolissimo che l'atto più vitale

e qualitativo dello spirito è l'atto suo consapevole, o il domandando con un sol nome, è la coscienza. Io quando presi a descriverla in parecchie mie stampe credo aver dimostrato che la coscienza risulta di due atti l'uno riflesso, l'altro irriflesso, e questo secondo, un attimo dopo, diventare atto riflesso egli pure e così di seguito. Sono pertanto, due determinazioni alternate della stessa energia e di cui l'una fassi oggetto immediato dell'altra con identità di natura e di forma, quasi fanciulle nate d'un padre medesimo e che alternatamente si porgon lo specchio per mirarvisi dentro con piena veracità. Nè dee scordarsi che in quello stesso mentre viene intuito il subbietto in cui ineriscono le due serie avvicendate e costitutive della coscienza.

Notiamo eziandio che nemmanco in tal caso la intuizione torna differente dall'indole sua generale e costante. Per un rispetto, ella comparisce piana e apertissima e solo ornata di semplicità e di evidenza. Per altro rispetto, ella intravede l'arcano in cui si rinvolge ogni cosa oggettiva e la qual si affaccia all'intuizione medesima senza intermezzo nessuno. Il che abbondantemente sarà dimostrato dai molti esempj che andrem registrando fra poco.

Fermiamo, intanto, cotesto capo di certa e cotidiana sperienza; che cioè il me e la perenne subbiettività sua non vive sola e isolata; vive ella al contrario in contatto assiduo e non mai interrotto col mondo circostante e con l'eterna idealità, conforme l'abbiamo spiegata in assai nostre scritture. Quindi non mai una sensazione, per via d'esempio, sorge nel me e lo affetta quale vasta rappresentazione e parvenza di sè medesima. Lo affetta invece e modifica quale passione determinata e speciale di esso me; e vuolsi dire quale modo particolare di recezione dell'atto esterno. E però nella sen

sazione noi c' incontriamo in due dati necessarj e congiunti, l'uno al tutto subbiettivo; l'altro che connettesi alla cagione esterna provocatrice. In genere, adunque, la vita del nostro subbietto risulta incessantemente d'un intreccio perenne di azioni e passioni, dell' agire e del reagire scambievole, mediante il congiungimento.

Dal che discendono altresì due conseguenze poderosissime. La prima che trasmutare tutto ciò in nude apparizioni e appresentazioni o credere per lo manco che la virtù astrattiva possa affinarsi per insino a quel punto, si è opera e fede illusoria; perocchè l'astrarre non debbe nè può oltrepassare il confine, dove l'obbietto medesimo dell'astrazione si estingue. E perciò stesso contemplando io (poniamo) un'azione o del me o del non me, nego che mi sia lecito di ridurla a cosa dove dell'agire e del reagire non è più vestigio nè segno; e tale diventa nel fatto la parvenza o il fenomeno o la rappresentazione che la si chiami, giusta la mente dei Kantiani. Conciossiachè, quando tu vi riconosca pure un' orma ed un segno di atto, io insisto in ripetere che quel vestigio è tuttora un agire, o veramente non è più nulla; e in ogni maniera, permutasi in cosa diversa ed aliena e veste altra forma di essere alla anteriore succeduta. Ma invece rimanendosi quello che è, e vuolsi intendere, una estrema attenuazione dell' agire o del patire, esso inchiuderà sempre tre termini in cambio di uno; e cioè il subbietto causale, l'atto particolare di lui e la inerenza di esso atto nell' intrinseco del subbietto. Di quindi si à l'arbitrio di pronunziare che la psicologia e la critica della conoscenza le quali presumono di trovar base e principio nel mero apparimento e nel vuoto fenomeno giusta la estrema estenuazione e consumazione del

Kant e della sua scuola, movono da una pretta illusione e falsano e viziano, con questo solo, tutto l'ambito di loro analisi e di loro studj.

L'altro errore grave e d' indole assai diffusiva è il sentenziare in maniera ricisa che noi conosciamo direttamente i soli oggetti sensibili, ed anzi li conosciamo unicamente per ciò che diventano un modo ed una affezione del nostro subbietto. Laonde ogni loro sostanza attività e causalità e similmente qualunque attributo e abito loro essenziale viene ad essi applicato dal nostro intelletto,, sede di forme universali e categoriche, applicabili per appunto di mano in mano ed attribuibili alle cose; che è un invertere a dirittura l'ordine delle realità e collocare fontalmente dentro di noi ciò che sussiste al di fuori e per atto di congiunzione si fa materia del nostro conoscere; e vale come se l'architetto collocasse mentalmente nella fabbrica materiale intrapresa il peristilio, l'architrave e le cornici che à immaginate e in quanto le à in fantasia, senza dar loro sussistenza concreta nella fabbrica stessa; la quale per tal procedere rimarrebbesi di necessità un ammasso informe ed infigurato..

III.

Cartesio dubitando, per metodo preconcepito, d'ogni opinione e ragionamento disse di fermarsi davanti alla sola evidenza. E stimo avesse ben giudicato se parlava dei fatti sperimentali non ancora accertati, o del solo istinto conoscitivo innanzi di scrutarne il valore e le fondamenta. Perocchè non v'à dubbio che l'io penso tiene convinti tutti della sua verità e certezza immediata. Nulladimeno, per la facoltà riflessiva umana e per quell'abito di ripensare il pensiere, può la mente

« IndietroContinua »