Immagini della pagina
PDF
ePub

di Tertulliano. Se ciò avviene nelle parole, è dovere confessare che lo spirito della loro filosofia è di pervenire ad una relazione tra fede e ragione. Veniamo ai documenti.

Clemente, alla stessa guisa di Tertulliano, s'appropria il detto del Profeta: Nisi credideritis, non intelligetis ('). Se non che, per Tertulliano la fede è tutto, ma solo sovrannaturale, e per Clemente la fede è tutto, ma accenna anche ad una fede naturale, che prepara alla sovrannaturale. Clemente scrive: la fede (níctɩs) è il primo principio della sapienza (copías) (2). Non v' ha cognizione (yvwots), aggiunge, senza la fede, e non v'ha fede senza la cognizione (3). La fede a cui si allude, è presa, in significato generale, per la fede anche ai primi principii, sui quali si fondano le prime nozioni e definizioni d'ogni scienza (*).

Secondo Clemente alessandrino, in altre parole, vi ha una fede comune, ch'è un grado inferiore di sapere, e v'ha una fede cristiana, ch'è un grado superiore di sapere ("). Per la fede comune noi non arriviamo al pieno sapere, perchè con essa non arriviamo alla conoscenza di Dio, sommo vero e sommo bene (). A tanto ci aiuta e ci abilita la fede cristiana; la quale non è contraria alla filosofia. V'ha una gnosi vera e ortodossa, e una gnosi falsa ed eterodossa. Nella gnosi vera ed ortodossa, ch'è la filosofia vera ed ortodossa, si accordano la fede e la intelligenza, la rivelazione e la ragione ('). La

(') Strom. I, p. 277; ed. cit.

(*) Καὶ δὴ ἡ πρώτη πρὸς σοφίαν νεῦσις ή πίστις. Ibid. 11 p. 378. (*) Οὔτε ἡ γνῶσις ἄνευ πίστεως, οὔθ' ή πιστις ἄνεν γνωσεως. Ibid. V, p. 720. (*) Ibid. III, p. 357.

(*) Ibid. VIII, pag. 766.

(") Ibid. IV, p. 527.

(') Ibid. I, p. 278, 280, 292.

fede sovrannaturale, pel grande apologista cristiano, non è cieco ossequio, ma libero e razionale ossequio della volontà; sì che, anco da tal lato, non disgiungasi dalla ragione (1).

[ocr errors]

Da Tertulliano di Cartagine a Clemente d'Alessandria noi facciamo un importante progresso. Il problema della filosofia. cristiana, che versa principalmente nella relazione tra la fede e la ragione, se non è risoluto, è posto meglio, e piglia aspetto scientifico. Appo Clemente non trovasi una brusca separazione, ma un tentativo di conciliazione tra fede e ragione, e uno sforzo di comprendere il circolo menò vasto della ragione nel circolo più vasto della fede. Solamente è da por mente che tale tentativo presentasi assai incerto, è anche incoerente. La fede naturale, che meritava altra meditazione e considerazione, tiene un posto secondario e accessorio. Nella stessa filosofia. la fede sovrannaturale piglia posto primario e sostanziale; in guisa che la filosofia di lui finisce con identificarsi con la teologia. A dir breve, non si ha in lui questo aggiustato parlare del Bruno: « In un senso disse il teologo: se non crederete, non intendete; e in un senso lo confermano i filosofi, dalle cose concesse e presupposte, appellate fede; la quale fede appresso i Pitagorici è delle cose non dimostrate, appresso i Peripatetici delle cose non dimostrabili, appresso i Platonici delle une e delle altre » (").

[ocr errors]

Io, nominando il Bruno, non pretendo nell' Alessandrino il medesimo linguaggio del Nolano. Capisco che siamo a diverse epoche e individualità, molto distanti, l'una dall'altra. Ma il guaio serio è, che nella filosofia di Clemente la fede

(') Strom. II, p. 360.

(*) De umbris idearum, Intentio XVI; Parisiis 1582.

naturale invocata è subito sacrificata alla fede sovrannaturale. Vediamo intanto che cosa avviene appo Agostino.

Questi, alla stessa guisa di Tertulliano e di Clemente alessandrino, tiene presente, quasi norma suprema a risolvere la quistione, il pronunziato del Profeta: Nisi credideritis, non intelligetis (1). Ciò posto, egli, così come Clemente, pone la fede a base dell' intendere, e distingue la fede naturale dalla fede sovrannaturale. Per Agostino la fede naturale è la sintesi del pensare e dell'assentire, giacchè egli scrive: Non enim omnis, qui cogitat, credit, cum ideo cogitent plerique ne credant; sed cogitat omnis qui credit, et credendo cogitat, et cogitando credit ('). Pare scorgere in queste parole importanti una riproduzione della dottrina aristotelica, che riferisce all' intelletto, e non alla volontà la fede nei primi principii del sapere (3), e anche un'anticipazione della dottrina hegheliana, che, distinto il pensare dal concepire, fa del pensiero un momento essenziale della fede (*).

Sant'Agostino è così fermamente persuaso, che il pensiero è parte integrale della fede, che scrive risoluto: ipsum credere nihil aliud est, quam cum assentione cogitare; e poco appresso aggiunge: Fides, si non cogitatur, nulla est, ed ancora: Necesse est tamen, ut omnia, quae creduntur, praeveniente cogitatione credantur (3). Ma questa dottrina agostiniana mostra assai incertezza e incoerenza. Spesso sta fermo al detto del Profeta: Nisi credideritis, non intelligetis (°), ch'è quanto

(') De lib. arb. 11, c. II, n. 6.

(*) De praedist. sanct. c. II, n. 5.

(*) De anima, lib. III, p. 428; Ediz. Bekker 1831.
(') Phänomenologie des Geistes, p. 288; Berlin 1841.
(") Enchir. cap. II, n. 7.

(*) De praed. sanct. cap. II, n. 5.

dire che il credere precede l'intendere. Infatti scrive: Fides debet praecedere intellectum, ut sit intellectus fidei praemium (1), Ed altrove: Noli quaerere intelligere, ut credas; sed crede, ut intelligas (3). Di più egli aggiunge che non omnis qui credit intelligit (3). E perchè? Perchè il Tagastese in ordine alla fede sovrannaturale tiene questa massima: Quod humana ratio non invenit, fides capit, et ubi humana ratio deficit, fides proficit (*). In questi passi, come vedesi, la ragione umana è dichiarata non solo inferiore, ma anche posteriore alla fede divina.

Nè ciò è tutto. Sant' Agostino a volte sostiene che nella fede divina entra l'opera della nostra intelligenza, e a volte che la fede divina è tutta opera di Dio, anzi della Chiesa, e che a noi non avanza altro che amarla ciecamente. Si ritorna alla dottrina mistica dell'affetto, che nega l'intelletto, sostenuta da Tertulliano. Egli, infatti, talvolta scrive risoluto: Quod credimus, nostrum est. Aggiunge ancora: Etiam credere non possemus, nisi rationales animas haberemus. Di qui conclude che la ragione, qualunque essa sia che ci persuada a credere, antecedit fidem (5). Ma in ciò Sant'Agostino è tutt'altro che costante.

La fede, che nelle opere di lui comincia ad essere necessariamente unita alla ragione, si divide a grado dalla ragione, finchè non resta che l'autorità assoluta e infallibile della Chiesa. A rendere meno penose le contraddizioni di Sant' Agostino,

(') In Psalm 117 et in Isa.

(2) De lib. arb. II, c. 2.

() De utilit. cred. cap. XI, n. 25.

(*) Serm. 190. De temp. n. 2.

(*) De lib. arb. lib. III, c. 24, n. 72.

di questo potente ingegno, bisogna distinguere in lui diversi periodi, come la critica ha praticato per Platone e per lo Schelling. Ma ciò verrà tentato nel lavoro promesso. Al presente ripiglio la esposizione, e dico che il Tagastese avea scritto. Ad discendum item necessario dupliciter ducimur, auctoritate atque ratione. Tempore auctoritas, re autem ratio prior est ('). Questa posizione feconda e importantissima è abbandonata con quest'altra sentenza: Auctoritas autem partim divina est, partim humana; sed vera, firma, summa ea est, quae divina nominatur (1). Postosi Agostino per tale via, fa della fede non più la sintesi del pensiero e dell'assenso (credendo cogitat et cogitando credit), ma la sintesi di Dio e dell'amor nostro: Credendo amare, credendo diligere, credendo in eum ire (3). Ma questa medesima sintesi limitasi ancora, e riducesi alla sintesi dell'autorità della Chiesa, che comanda la fede, e dell'uomo, che deve sommessamente obbedire: Ego vero evangelio non crederem, nisi me catholicae ecclesiae commoveret auctoritas (*). Ed altrove aggiunge: Nihil in Ecclesia Catholica salubrius fieri potuit, quam ut rationem praecedat auctoritas (3).

Con questi ultimi passi allegati di Agostino torniamo, nè più nè meno, a Tertulliano, cioè al più risoluto separatore della ragione dalla fede. I due gran Padri chiesastici, Clemente ed Agostino, a differenza di Tertulliano, sentono potentissimo il bisogno di assodare un legame necessario tra la fede e la

(') Cont. Aca. lib. III, 43.

(*) De ordine lib. II, 9.

() Tract. 48 in Ev. Joan. n. 3.

(*) C. Ep. Man. 6.

(5) Di mor. eccles. cathol. cap. II, n. 25.

« IndietroContinua »