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è un errore la definizione supposta emessa in bocca árbi trariamente al Rosmini, che l'uomo sia un animale intellettivo». Paragonando la definizione sostenuta dal diserențe, cioè che « l'uomo è un animale ragionevole com quella supposta del Rosmini, si trova che la prima involge neces sariamente la seconda. Imperocchè non si può dare lenteso soggetto razionale che non sia anche intelligente: laras gione e gli atti di ragione dipendono necessariamente dalla intelligenza e dagli atti d' intelligenza. Ragionare vuole dire giudicare; e per giudicare abbiam bisogno di intendere. Qualunque sia il giudizio, questo non può farsi ser honi si intende qualche cosa precedentemente, ossia se non si intuisca qualche cosa, almen l'essere universale del quale e col quale si formano tutti i giudizî e tutti i ragionamenti.

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La definizione adunque « l'uomo è un animale intellettivo potrà dirsi da' contrarî al più una definizione incompiuta ma non una definizione erronea. Laonde supposta erronea la definizione « l'uomo è un animale intellettivo », si rende erronea tutta quanta la tesi: si rende conseguentemente erronea la definizione dell' uomo quale « animal ragionevole »; e però la parte disserente ebbe la temerità di sostenere dinanzi al Pontefice e di professare due errori a un tempo, l'uno peggiore dell'altro: l'uno di fatto, cioè che il Rosmini abbia definito l'uomo un animale intellettivo »; e l'altro con cui si provò e si dimostrò come vera una proposizione che per logica deduzione non potea esser che falsa. A tanto conduce l'intrigo colla mala fede.

Il Rosmini colla sua definizione dell'uomo, quale soggetto animale, intellettivo e volitivo, si oppose radicalmente a quegli errori che dalla mala interpretazione della definizione della

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Scuola mano mano si derivarono. Un primo errore che comparve e che tiranneggia ancora molte scuole anche cattoliche, è, quello del sensismo e soggettivismo di cui sono infetti gli odierni nemici di Rosmini e gli stessi scrittori ostinati e petulanti della Civiltà cattolica. Un secondo errore non meno grave del primo è il materialismo che a' nostri dì si fa clamoroso e gigante. E in fatti sembra per la definizione aristotelica che l'animalità sia la parte principale dell' uomo, secondaria la ragione, quale accidente che esca dalla prima. Colla definizione rosminiana si evitano questi ed altri errori e si rettifica la definizione della Scuola.

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Sempre le definizioni furono lo scoglio più frequente ed acuto in cui rompono del pari la logica e la metafisica. Della qual cosa parmi intendere la cagione quando penso che ben definire significa toccar la vera sostanza del definito e ciò, con poche parole e di cui l'una additi il genere prossimo e l'altra la differenza propriamente specifica. Ma i generi quanto le specie insino a che emergono dai nostri concetti e dalle nostre nomenclature possono acquetare la mente degli studiosi per insino ad un certo segno. Non così, quando poniamo esse classificazioni e concetti al confronto immediato delle realità e dei fatti. In risguardo poi della definizione dell' uomo cresce la malagevolezza e l'ambiguità di molti doppj per la ragione che risultando l'uomo di due nature arcanamente congiunte, sembra che il definirlo importi levar via l'arcano e porre i termini dell'oggetto in luce di evidenza. Oltrechè, dei due principj costitutivi, quale diremo il prevalente e sovrano su questa terra? Nè vuolsi discorrere qui della dignità e d'altre doti soprasensibili ma del fatto predominante e continuo. Ora sotto tale riguardamento, è nell'uomo predominante ed assiduo l'animalità o la ragione? Certo è che la ragione e l'altre potenze

dello spirito abbisognano dell'organismo animale per isvolgersi e pigliar dominio sopra il senso gli appetiti e l'istinto; e veggiamo il fanciullo quanto è più tenero di anni tanto rassomigliar di vantaggio alla natura animale. Invece coloro che avvisano la essenza umana imbasarsi principalmente nello spirito e nello intelletto non possono definirla in modo veruno dal subbietto animale e assumere questo pel di lei genere prossimo. Quindi ripeteranno con Platone l'uomo essere una intelligenza servita da organi; salvo che bisognerà temperare quel participio servito, mercechè il servo è spesse volte padrone e tiranno,

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Ciò veduto, gli è manifesto che Aristotele ingegno anzitutto positivo e sperimentale dovea definir l'uomo dal principio comune a quanti vi sono esseri organati sensitivi e semoventi o voglia dirsi dalla intera animalità sparsa é disseminata sulla faccia del globo. Atteso che distruggendosi l'organismo di cui ragioniamo e venendo all'ultimo fine, lo spirito rimane invisibile e inoperante, supposto eziandio il suo sopravivere e la integrità del suo essere potestativo. Il perchè, coloro cui giova di credere che dentro il composto umano prevalga a gran pezza lo spirito e questo sia superiore ed differentissimo dall'aura spiritale (a così domandarla) a cui partecipa ogni animalità secondo l'abbiamo descritta, dee qui sottointendere, a forza, la immortalità di quello e il suo vareare dalle virtù potenziali a mille attuazioni di opere egregie in altre sorte di esistenza. Ovvero, debbe il filosofo congetturare ed eziandio dimostrare che tra il subbietto di ente animale

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e l'attribuzione di ragionevole corre discrepanza profonda e non dissipabile. Per fermo, chi analizza convenevolmente tale appropriazione ed assegnazione vi scopre che oltre al significare l'intendere e con esso la virtù giudicativa, ella esprime di vantaggio la facoltà di astrarre e generaleggiare e però anche d'intuire le idee; quindi con certo determinato modo di aggruppare quest' esse e ordinarle,cogliere la notizia dei principj universali e comuni per cui è costituito il senno e la norma del pensare e del vivere. Posto ciò, si domanda se la ragione di tal modo definita sia qualcosa di originale e di proprio all'uomo soltanto, ovvero esprima un grado, superiore infinitamente, ma pur congenere a quello istinto degli animali per cui ci appariscono come forniti d'un barlume d'intelligenza e quindi anche della facoltà giudicativa. A noi sembra che dagli effetti visibili esca il sicuro pronunciato: bastar la ragione a sovraporre nell' uomo il suo principio spirituale al principio dell' organismo; nè solo (noi ripetiamo) pel rispetto della nobiltà e d'altri egregi attributi, ma per la virtù sostanziale e peculiarissima che informa la sua natura e lo separa onninamente dalla intera animalità e costituisce in lui non guari una specie specialissima di animale ma sibbene un ente che a genere a se medesimo. Ognora, dunque, che un'attribuzione di essere è talmente sublime e propria che costituisce in quello una natura altrettanto propria e sublime, cotale essere dimora solo ed unico nel genere suo; e qualunque numero di simiglianze possa ragguagliarlo ad alcun altro genere, esse vestono carattere esteriore ed accidentale.

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Concludo che la definizione dell' uomo pronunziata da Aristotile e guardata nel suo midollo è falsa o per lo manco insufficiente. Oltrechè l'uomo non ispecifica sè medesimo e

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