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che derivano da queste; subordinazione che non solo è in noi, ma non si divide dal sentimento di noi stessi. Questa è la nostra legge, la legge della nostra natura; da essa la dignità e il decoro. La legge, non è dunque separata dalla coscienza, ma intimamente radicata in essa, è l'essere nostro stesso, il suo elemento più essenziale che impera sugli altri, indiviso da noi medesimi. Il principio proprio della morale è dunque essenzialmente umano, il che non toglie il nesso che ha con Dio, essere primo e universale, in cui tutte le nature finite hanno l'origine e la sostanza ultima. Il rispetto della dignità umana, il decoro, tale è, secondo il Bouillier, il centro unico della moralità e della virtù: tale è la molla che dà l'impulso al progresso morale, e per esso, al perfezionamento sociale. Assicurate il rispetto della dignità umana nell'individuo e assicurerete il trionfo della ragione nella società.

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È notevole la connessione di questa maniera d'intendere il principio morale con la dottrina metafisica che ripone nel pensiero l'essenza dell'anima. Il chiaro autore della Storia della filosofia cartesiana è, in fondo, cartesiano lui stesso. Per lui, come pel fondatore di questa grande filosofia, l'uomo è essenzialmente nell'anima, e l'anima nel pensiero, e tanto s'innalza al di sopra dei bruti quanto la potenza del pensiero razionale sul meccanismo del pensiero empirico, e sulla sensibilità fisica. Nè questo è subbiettivismo propriamente, poichè nella rágione universale colla quale si collega intrinsecamente, e per cui si rende autonomo il pensiero umano, è riposta la legge obbiettiva del dovere e fondata la superiorità dello Spirito sulla Natura. L'uomo è libero in forza delle leggi della verità che può imporre a se stesso, sottraendosi all'impero dei sensi che è pur quello della materia, e la virtù non è altro che la

costanza nell'aderire a quelle colla intenzione dell'anima, e nell'eseguirle per quanto dipende daf nostri sforzi personali e dalla misura delle nostre facoltà. Alto spiritualismo, al quale, per conto nostro, aderiamo di tutto cuore, sembrandoci esso coerente col sentimento che l'uomo individuo e la società hanno del dovere e del diritto, essendochè non possono da un lato, separarne l'essenza dalla potenza delle loro facoltà, e, dall'altro, ne riconoscono l'autorità come di gran lunga superiore alle tendenze e determinazioni individuali e comechesia limitate dell'individuo, della nazione e della razza.

Un'osservazione per altro ci sia permessa onde cansare l'equivoco troppo facile a prodursi in questa materia, sopra, tutto quando certe parole lo portano con sè, ed è questa: che la interiorità o immanenza della legge morale non conserva il suo carattere obbiettivo se non a condizione che si distingua la coscienza dell'individuo, dell'Io, come tale, dalla coscienza dell'universale nel pensiero, ossia di quelle leggi di verità che governano il mondo e colle quali possiamo governare noi stessi. In questi limiti, e trattandosi della forma suprema della vita, il dinamismo di coloro che distinguono nelle varie modalità della forza il principio dei fenomeni fisico-chimici da quello della vita, e quello della vita da quello della coscienza non differisce dal sistema che non separa la vita dall'anima e l'anima dal pensiero. Alla cima dell'essere, ne conveniamo, non è la forza cieca che domina, ma il pensiero e il pensiero cosciente, quello del quale il S. Bouillier ha tracciato il quadro, LUIGI FERRI

Vol. XXVI.

Disp. 1.

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LE DISTRAZIONI MENTALI

Di tanti lavori psicologici oggi lodevolmente e con molta accuratezza compiuti, nessuno io conosco che siasi occupato di proposito del fenomeno psicologico delle distrazioni mentali, fenomeno che a preferenza affligge gli uomini di studio. In essi lavori parlasi delle allucinazioni e delle illusioni, del sogno e del sonnambulismo, e di altri fatti patologici mentali, che travagliano l'uomo nella veglia o nel sonno; ma il fatto delle distrazioni mentali, per quel ch'io mi so, è passato fino ad ora inosservato. Non potendo trattare a dovere dell'argomento, voglio almeno promuoverlo e richiamarne la importanza tra coloro che al presente coltivano con sollecita cura la psicologia, soprattutto in senso sperimentale, contentandomi, dal canto mio, di fare brevissime osservazioni. Al che è stata occasione una mia scrittura su Marsilio da Padova or da pochi giorni pubblicata.

I.

In molti libri, anzi in tutti i libri, non eccettuati quelli che si hanno per classici e monumentali, v'ha inesattezze, procedenti da distrazioni mentali. Lungo sarebbe a dire di tante

e tante inesattezze di simil genere, che s'incontrano nelle varie pubblicazioni di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Fermandomi al caso mio, per ciò che m' è accaduto nell'ultimo mio lavoro su Marsilio da Padova ('), debbo segnarne due, non so se più curiose o penose, se più inusitate o strane; tanto sembrano impossibili.

A pagina 26 trovasi una lunga nóta, costatami fatica ed attenzione molta; nella quale mi sono adoperato a provare che Giovanni Ganduno dovea tenersi di nazione francese, e non italiana. Difficile a credere ma vero! Nella pagina 27, voltando l'occhio da sinistra a destra, io, nel nominare Marsilio da Padova e Giovanni Ganduno, ho dichiarato tutti e due filosofi italiani. Ancora, nella stessa mia opera m'è avvenuto che a pagina 51 ho segnato regolarmente l'Impero di Arrigo VII, dal 1308 al 1313. A pagina 102, per distrazione, ho riferito al medesimo Arrigo un fatto, accaduto anteriore di pochi anni all'epoca vera del suo imperio.

Coteste due inesattezze, avvertitemi da amici, attenti lettori del mio libro, dipese, com'è evidente, da ciò che d'ordinario appellasi distrazione, m'hanno indotto a scrivere queste poche riflessioni su tale fatto psicologico.

II.

Senza dubbio, ogni distrazione mentale è un difetto, ma di quale funzione nostra interiore è difetto? Dell'intelligenza o della volontà, dell'attenzione o della memoria? Anche uomini

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() Marsilio da Padova riformatore politico e religioso del secolo XIV studiato da Baldassare Labanca; Padova, fratelli Salmin, 4 giugno 1882.

di gagliarda intelligenza capitano in distrazioni, soprattutto scrivendo lunghi lavori; sì che tale difetto non possa imputarsi, a parlar proprio, alla intelligenza. Sarà forse la volontà colpevole delle distrazioni? Neppur ciò può dirsi; giacchè le distrazioni avvengono in modo involontario, anzi la volontà sente gravissima amarezza, appena che si rendono consapevoli all'individuo che siavi incorso.

D'ordinario dicesi che la distrazione è mancanza di attenzione. Ciò non può negarsi. Però l'importante sta a vedere se la mancanza di attenzione sia assoluta o relativa. Mi spiego. In ogni distrazione mentale, del certo, vien meno l'attenzione, non perchè di attenzione non vi sia punto ogni volta che ha luogo, ma perchè l'attenzione, fissata intensamente in altra cosa, manca in quella dove succede il distrarsi.

Una tale avvertenza sembrerà di poco conto, eppure importa più assai che non paia. Giusto perchè la distrazione si prende per mancanza assoluta di attenzione, avviene spesso che se ad una persona, ammalata d' ipocondria, si ordina dal medico a distrarsi; tale ordine si crede che consista in questo: che l'ammalato debba darsi all' ozio e ad una totale inerzia. Il rimedio, così inteso, diventa peggiore del male, contribuendo l'ozio e la totale inerzia ad aumentare, e non a far cessare l'ipocondria.

Onde procede tale equivoco, che torna tanto a peggioramento del sofferente? Dal pigliare la distrazione mentale per mancanza assoluta d'attenzione, o, ch'è lo stesso, per totale disattenzione. Il vero rimedio, per l'ammalato melanconico, sta nel farlo passare da uno ad un altro lavoro; perchè la distrazione mentale è in fondo in fondo non attuale inerzia o disattenzione, ma trapasso psicologico da questa a quest'altra

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