Immagini della pagina
PDF
ePub

tra mano di perfezionamento non tanto per la sofistica così gloriosamente vinta, quanto per se medesima. Come dopo una battaglia si ricostituisce una nazione, la scienza aveva bisogno di riordinarsi, di precisare il suo vero carattere, di porre i suoi principii, di esporsi nel suo procedere dimostrativo diverso certamente dal dialettico, ed anche di mostrarsi nella parte formale o logica fondata sulla reale e metafisica. La filosofia platonica ha più del contenzioso, e quasi si perde nell'abbondanza della dialettica. L'arguzia non è sempre figlia della scienza. Sentiva anche il bisogno di riformarsi con nuove vedute. Aristotele riordina e riforma la scienza. Platone aveva più del creativo per cui i suoi dialoghi sono il ritratto animato dei filosofi più forse che delle loro dottrine. Platone non riferisce, non espone, non parla per bocca altrui: quello che dice è lui stesso che anima le opposte dottrine; non ci è meno rigore nell'esporre le dottrine altrui che le proprie; il colorito è vivace in entrambe. Aristotele espone se stesso, e se s'incontra in opposte dottrine, pare che più che confutarle, gli piaccia di accennarle, quasi per far vedere come da se cadono secondo la sua veduta. A lui si presentano non solo più idee di Platone, ma anche più uniformità, più ordine e precisione di pensare. Così p. es. la numerazione delle dieci categorie, delle quattro cause, dei quattro contrari sono un frutto di un genio analitico: così anche l'esame del processo della mente nell'atto di formare la scienza, il ragionamento, è opera del solo Aristotele. Platone ragiona invittamente; ma Aristotele ci dice come si forma il ragionamento. E questa è opera non meno creativa della prima: anzi tutta propria della filosofia che è opera riflessiva. A riformare la scienza non neglige il principio di contraddizione, ma più che dargli

Vol. XXVI. Disp. 2.

14

una base incerta e vaga come assioma logico, gli assegna un vero fondamento. Aristotele concretizza la dottrina platonica in un sistema proprio. L'essere e l'uno non erano abbastanza determinati per mezzo del non essere e del molti, perchè erano idee vaghe e generiche le quali non potevano essere il fondamento della mutazione che era la ragione del molteplice. Nissuno ha saputo dichiarare qual sia il vero essere, perchè nissuno ha assegnato la sostanza come fondamento di ogni addivenire; e la ragione dei contrari è nella loro mutabilità, e nissuno assegna il principio della mutazione. Perchè sia abbattuta la sofistica, basta con Platone dimostrare la realtà del non essere, dialetticamente, del molti: così risulta la differenza delle cose; ma non basta alla filosofia che deve sorgere dopo la sofistica: non basta alla apodittica. Stabilire la base della mutazione, ragione della esistenza del molteplice è dare al principio di contraddizione con cui fu distrutta la sofistica, una base certa, un fondamento per la distinzione delle cose e questa mentre a Platone si presenta in un modo vago dell'essere e del non essere, ad Aristotele si presenta in una vera determinazione che abbraccia la sostanza e l'accidente. Il principio di contraddizione fu l'àncora di salvezza della scienza perdutasi nella sofistica la quale preparò un progresso: ma fino a tanto che si dava alla determinazione la realtà come fondamento di quella. E con ciò intendeva anche confermare la cognizione mediante la realtà da cui Platone si era troppo allontanato. La natura non ci presenta mai il passaggio dal non essere all'essere o viceversa: dunque non ci è via di mezzo tra l'affermazione e la negazione; si escludono per sempre. L'essere ed il non essere è un dato intellettivo che ha riscontro nella natura solo mercè i contrari. Questi si presentano come

determinati, ed allora uno esclude l'altro: come indeterminati danno luogo alla coesistenza dei contrari nel possibile. Aristotele non poteva intendere la coesistenza dei contrari senza ammettere il possibile nella natura: era il punto in cui la natura non somministrava base davvero alla cognizione. Imperocchè per lui era fermo che un contrario nella natura cessa quando l'altro comincia. Il passaggio da un contrario all'altro è dato solo per il possibile, in cui ci è dell'essere e del non essere, in quanto ha fondamento nell'atto che lo precede. Aristotele non può accontentarsi della coesistenza dei contrari secondo Platone, perchè ciò lo allontanava dalla realtà ed i Megaresi negando il passaggio dal non essere all'essere, negarono financo il possibile. Era perciò la questione di fatto più che quella ideale. Quindi ammette il possibile come quello che contiene il non essere relativo, sostiene la coesistenza dei contrari per quanto lo consenta la natura, e dissipa la esistenza della contraddizione.

Così solo ci possiamo spiegare, perchè Aristotele nell'esame di questo principio ricorre subito alla distinzione di sostanza ed accidente, alla confutazione di quelli che ammettono solo moto o solo quiete. Si tratta che l'annunciazione del generico assioma, l'essere ed il non essere, prende concretezza nella natura. Platone mostra che la sofistica versa nel non essere: ma questo non essere, che è piuttosto detto essere per una, direi quasi, gherminella acuta, smentito dalla natura che mai lo verifica, è la mutabilità delle cose che è questa e quella in potenza, in atto no. Sicchè più di Platone, spiega Aristotele la ragione della sofistica in quanto prende per atto ciò che è possibile, per determinato ciò che è indeterminato. Ma sarebbe possibile questo errore, se non

si ammettesse la mutazione per cui il possibile è atto, e la ragione della mutazione che è l'atto preesistente? Fu dunque opera somma quella di Aristotele nell'avere non solo concretato la vaga dottrina dell'essere e del non essere nella sostanza ed accidente, ma anche nel porre il fondamento di questa distinzione nel moto per cui dal possibile si passa all'atto, cioè per cui è possibile la distinzione stessa. Così solamente intendo il merito di Aristotele nello stabilire il principio di contraddizione ed a ciò era diretta di questo lavoro la prima parte.

(Continua)

PIETRO RAGNISCO.

LETTERA A TERENZIO MAMIANI.

Groppello-lomellino, 7 7bre 1882.

Illustrissimo sig. Conte.

Permetta che io tra i primi faccia adesione alla bellissima proposta da Lei fatta nell'ultimo fascicolo della Sua Rivista. Benchè Ella faccia quella proposta in tono molto modesto, come è Suo costume, io credo che quando essa venisse accolta ed attuata, se ne avrebbero per i nostri studî filosofici grandissimi vantaggi. Ella si lagna assai giustamente del sonnambulismo nel quale vive la maggior parte dei nostri filosofi. Questo sonnambulismo è infatti, a parer mio, la causa principale per la quale, se presso di noi non mancano ingegni speculativi altissimi, pure manca una grande scuola filosofica, la quale collegandosi colle scuole straniere dia importanza ed influenza alla nostra speculazione nel movimento e nel progresso generale della filosofia. Ora per avere questa scuola filosofica e ottenere in altro modo un serio svolgimento degli studî filosofici tra di noi, il primo ostacolo da togliersi è la confusione babelica del nostro linguaggio tecnico; ed Ella additandola agli studiosi ha svelata una piaga che consuma i nostri sforzi e li rende vani. Ma Ella, da medico valente, non espone soltanto il male, ma ci indica il rimedio; il quale, se non potrà guarirlo subito e radicalmente, tuttavia ci porrà in grado di scemarlo d'assai in un avvenire più o meno prossimo.

« IndietroContinua »