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Repubblica, il Timeo, ed il Fedro, che sono appunto confutati, a nostro giudizio, nel passo riferito delle Tuscolane: il Timeo e la Repubblica, che, come abbiamo visto, erano essere stati diligentemente studiati da Panezio, in modo chiaro ed esplicito, il Fedro implicitamente. Il Timeo, nel cui commento potrebbe supporsi contenuta la polemica di Panezio, considera il mondo sensibile come eterno ed imperituro, essendo una immagine perfetta del mondo intelligibile (30 D, 33 A), ma nello stesso tempo lo considera come prodotto e divenuto nel tempo (28 B, 92 B). Ora Panezio, che deve aver combattuto il Timeo su questo punto, accostandosi alla sentenza aristotelica che il mondo se è eterno non deve avere avuto principio (άyévytov), applica la stessa dottrina alla questione della immortalitù. Nel Timeo il Demiurgo, parlando agli dei inferiori, accenna che l'essere essi generati escluderebbe la naturale immortalita (41 Β) επείπερ γεγένησθε, ἀθάνατοι μὲν οὐκ ἐστὲ οὐδ ̓ ἄλυτοι τὸ πάμπαν. Ma sopraggiunge un motivo etico ben più forte della legge di natura, cioè la stessa volontà divina, che rompe la fatalità di quella legge (41 A), ἃ δι ̓ ἐμοῦ γενόμενα ἄλυτα ἐμοῦ γε μὴ ἐθέλοντος. Ora Panėzio deve aver combattuto il Timeo sostenendo l'opposta dottrina quidquid natum sit interire, o come dicevano i peripatetici, ogni yɛvηtóv è per necessità agróv. Il presupposto di questa conclusione o cioè la premessa minore non è che la confutazione del Fedro, ove l'anima è considerata come un principio eterno (agx): e Panezio sostiene all'incontro, che l'anima è divenuta, nasci autem animos. Col secondo argomento, riferito da Cicerone, Panezio combatteva la prova dell'immortalità esposta nella Repubblica (X 609 A-611 A), che, cioè, l'anima deve essere incorruttibile, poichè nessun

male nè esteriore nè interiore ad essa, ne distrugge la natura essenziale.

Questo assoluto silenzio sui grandi e numerosi argomenti dialettici e morali del Fedone ci persuade che Panezio si credesse in qualche modo giustificato nel non tenerne alcun conto. Il che mirabilmente s'accorda colla notizia del suo giudizio negativo sulla autenticità di quel dialogo, che noi possiamo considerare come molto probabile. Questo giudizio di Panezio è il primo esempio da noi conosciuto di una critica platonica fondata sopra ragioni interne, in gran parte personali; ed è certo, come nota il Grote tra gli esempi più infelici (among the most unfortunate examples). Ma è nello stesso tempo una riprova d'una grande indipendenza e originalità di giudizio, e d'un raro ardimento nel grande rinnovatore dello stoicismo..

Pistoia, 28 luglio 1882.

ALESSANDRO CHIAPPELLI.

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Checchè ne pensino gli stranieri incuranti di noi, io saldamente affermo che esiste da ormai cinquant'anni una scuola italiana molto speciale di begli studi speculativi, degna per ogni parte di competere con le forestiere o francese o tedesca o inglese che la vogliate. Ella, a mia opinione, fa capo al Galluppi e giù discende con fruttuosità e decoro insino a' dì nostri. Il che dilatasi (io replico) in un periodo allo incirca di mezzo secolo. Ma quando a taluno gradisse di porne più su il cominciamento e far capo ai libri di Antonio Genovesi, quel periodo si stenderebbe ad almeno cento anni. Salvo che il Genovesi, in quanto fu metafisico, non cessò mai di fluttuar col pensiere tra il Locke ed il Leibnizio; senza dire che egli, oltre agli studj economici, volsesi molto più volentieri alle dottrine morali che alle psicologiche e logiche, sebbene di queste ultime dettasse un arte piana e succosa e non méritevole d'esser messa da canto come usano al dì d'oggi fra noi i direttori e censori dell'insegnamento medio.

Parmi dunque di non errare, determinando i confini dell'ultimo risorgimento della nostra filosofia, a pigliare data da Pasquale Galluppi; ancora che esso pure meglio che parer

novatore e inventore si travagliasse di esser tale in effetto e fuggisse la boria e l'ostentazione di dare aspetto originale e singolari denominazioni alle proprie teoriche. Ma il suo spirito ecclettico, al modo che in qualche mio libro è asserito, riusci libeto ognora ed assai risoluto nel discutere gli altrui sistemi e dette esempio continuo agli scrittori conterranei di volere oggimai pensar di lor capo; e mentre, per atto d'esempio, egli censurava con franchezza e acutezza ammirevole le forme innate e categoriche del Kant, accettavane in buona parte il metodo critico volto a indagare e scrutare insino all'estremo fondo le facoltà nostre conoscitive nella cui notizia contiensi l'adito necessario e la indeclinabile preparazione a qualunque mai disciplina speculativa. E però la prima scrittura eminente che pose in luce il Galluppi fu per appunto un Saggio sulla critica della conoscenza in cinque volumi, se la memoria non mi falla.

In cotesta opera di fama meritata e durevole splendono in modo assai rilevato i due attributi che nel fatto della scienza sono più abituali e qualitativi dell'ingegno italiano e cioè di riuscir sempre positivo e razionale ad un tempo, conforme io il son venuto ricordando e specificando in parecchie mie stampe. In cotesto trattato, giovami di ripeterlo, quel buon calabrese iniziò una filosofia nazionale in tutto e nostra veracemente e per ciò medesimo fece dimenticare il sensismo sperticato del Gioja e del Romagnosi attinto al Condillac, al Tracy, al Cabanis e più in generale agli ultimi enciclopedisti.

Bastano ora al mio intento questi brevissimi cenni e ricordi ; e chi desidera di vantaggio legga l'ottima storia della filosofia in Italia del nostro insigne collaboratore ed amico Luigi Ferri.

Ognun vede che il carattere positivo ed il carattere ra

zionale testè ricordati dell' ingegno italiano accompagnandolo via via nella indagazione critica dell'atto conoscitivo condur lo doveano alla ricerca del primo fatto e del primo vero. Conciossiachè l'un carattere risponde alla certa realità delle sperienze cotidiane, l'altro al metodo di deduzione vasto, rigoroso ed inappuntabile e onde poi si ricavano le sintesi superiori e terminative. E perchè nel fatto, siccome tale, incontrasi sempre la finità e la contingenza, perciò è detto primo da noi in significato cronologico e non ontologico; ed eziandio del primo vero vogliamo s'intenda una anteriorità di rivelazione all' umano intelletto; ancora che questo possa di poi discuoprirvi una primalità ontologica e però anche indiscutibile ed assoluta. Del resto, noi discorremmo e sempre di-. scorreremo del fatto primo e fontale e non della prima parvenza, appresentazione, pensabilità e simiglianti; perocchè sti miamo aver dimostrato con pienezza di prova che quelle tre voci e l'altre conformi non pure esprimono il lavoro estremo dell'astrazione ma ci additano una fatica troppo sottile e più che spesso illusoria e impossibile, in quanto o vi si consuma ed annulla l'oggetto stesso nel quale l'astrazione si esercita ovvero. esso tramutasi nelle loro mani e piglia diverso essere mentre viene giudicato il medesimo ('). In cambio di ciò, dentro alla storia effettiva dello spirito, noi c'imbattiamo, anzi ogni cosa, nella percezione e cioè a dire nell'intuito diretto e immediato della nostra sostanza e delle sostanze esteriori congiunte con essolei mediante il nesso dell' agire e del patire scambievole. Chè tale nella Scuola nostra è il senso proprio ed intero assunto da quel vocabolo e differente non poco dall'uso dei

(') Vedi questo Periodico, Vol. XXV, Disp. 1, come anche le Lettere al prof. Turbiglio, passim.

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