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Il prof. Masci, del quale ebbi l'anno scorso a lodare assai una dotta memoria sulle intuizioni di tempo e spazio, recentemente ha pubblicato un lavoro di diversa natura, ma di pari diligenza ed acume ove si propone di scrivere la storia dell'Etica greca prendendo le mosse dalle idee morali, proprie della Religione e della coltura ellenica. L'opera è divisa in sei parti. 1. Introdnzione, La morale popolare presso i Greci fino all'epoca delle guerre persiane. 2.o Le teorie morali nella filosofia presocratica. 3.° I Sofisti. 4.° Socrate. 5.o I socratici minori. 6.° Platone. Gioverà dare ai nostri lettori un rapido sunto di questo libro, che a mio avviso risponde pienamente allo scopo propostosi dall'autore, di dare un'esposizione non del tutto nuova, ma rapida, coerente, piana e possibilmente compiuta delle teorie morali.

L'introduzione, uno dei capitoli più studiati ed ingegnosi, rende testimonianza dell' ampia coltura dell' Autore. Anzi la ricca cognizione, che ei mostra di avere della letteratura greca, gli ha nociuto a così dire; perchè piena la mente dei ricordi classici talvolta vi si abbandona così da concedere a questo

capitolo una larghezza fuor di proporzione col resto del libro, e smarrire in qualche punto il filo della ricostruzione. Non pertanto l'ordinamento generale del capitolo è ben disegnato, e il carattere proprio di ciascuna fase dello sviluppo etico è messo nel conveniente rilievo. In tre periodi secondo l'Autore si può dividere la storia dell' Etica popolare; Nel primo la moralità è tutt'uno colla religione e il costume popolare, e dell'una e dell'altro i poemi omerici ci han conservata una fedele pittura; nel secondo spuntano gli albori della riflessione etica, nell'elegia e nella gnomica greca; nel terzo la riflessione già matura si travaglia intorno ai problemi del destino umano, che sono come il fondo delle grandiose tragedie di Eschilo e di Sofocle.

I.

Dicemmo che nel primo periodo la moralità è tutt'uno colla religione greca, talchè il carattere proprio di questa si ripercote in quella. Qual'è codes to carattere? Il nostro autore avrebbe potuto paragonare il politeismo ellenico con quello degli altri rami della famiglia ariana, principalmente degli orientali, e dal confronto avrebbe acquistato maggior determinatezza il suo concetto. Ma è senza dubbio giusta l'affermazione sua, che presso nessun altro popolo l'antropomorfismo è stato più pieno e più perfetto. Gli Dei omerici sono come gli uomini, ordinati in una gerarchia al pari di loro, animati dalle stesse passioni, e viventi in continuo commercio con essi.

Le conseguenze di questa intuizione antropomorfica per la morale ellenica sono nettamente rilevate dall' Autore. Sebbene, ei dice, il Greco veneri nei suoi Iddii l'ordine

naturale e morale; pure, sentendoli cognati, non rinunzia di fronte ad essi alla sua libertà. Così la sua moralità sta parimenti lontana dalla libertà senza legge dei popoli semiselvaggi, e dalla serva obbedienza dei popoli orientali a un potere straniero, che regge insieme la natura e lo spirito..... Però la morale presso i Greci dell'epoca leggendaria non ha principii generali obbligatorii che leghino l'uomo all'altro uomo per questo solo che è uomo, i sentimenti morali sono invece personali verso gli dei, il re, il vicino, l'amico. L'obbligazione prende valore dal giuramento (pag. 6 e 7).

Questi vincoli morali così deboli non possono infrenare le ribelli tendenze della natura umana; e la natìa fierezza si rivela principalmente nei feroci costumi e nella nessuna tutela contro la violenza individuale. Il dar nel sangue e sull'aver di piglio è cosa ordinaria, e non condannata. Achille sagrifica dodici prigionieri sul rogo di Patroclo, e nei frammenti che ci restano dell'Iliade minore Neottolemo sgozza il vecchio Priamo, e precipita il giovinetto Astianotte dall'alta torre di Troja (pag. 12).

A queste conseguenze si potrebbe aggiungere quest'altra, che nell'intuizione antropomorfica la fonte di tutta la morale è il volere, o direm meglio l'arbitrio degli Dei (pag. 7). E come questi voleri non sono sempre concordi, e le lotte e le invidie travagliano l'olimpo non meno della terra, può bene accadere che vien permesso da un Dio ciò che è proibito dall'altro. La morale dunque di questo primo periodo, o periodo omerico è frammentaria, personale, relativa, e non ostante che sieno vivaci i sentimenti di ospitalità, di famiglia, di devozione reciproca tra persone appartenenti alla stessa fratria, non ostante che si faccia grandissimo conto

dell'amicizia e del patriottismo devoto fino al sacrifizio l'ordine etico poggia tuttavia su malferme fondamenta.

Nel secondo periodo questi difetti mano mano si correggono. La virtù e la colpa si cominciano a considerare com qualche cosa che è buona o cattiva per sè stessa, e il fin ̧ dell'operare si comincia a riporre nella purezza del mondo spirituale. Inoltre la riflessione etica incomincia ad acquistare una prevalenza che preannunzia la sua futura indipendenza (p. 19); e gli stessi poeti come Esiodo si raccolgono ed osservano, e da una larga esperienza attingono negre idee intorno alla infelicità della vita, la caducità della fortuna, la malvagità del maggior numero, e i travagli della virtù. La poesia ha così perduto la oggettività e serenità d'Omero, e come al pari degli uomini mutano gli Dei, e la teogonia esiodea differisce grandemente dall'omerica. Non è più un racconto ingenuo dei miti popolari, ma come una prima ricostruzione. E se anche non si vuole ammettere il simbolismo additato dal Müller rispetto alla leggenda dei Titani, dei Ciclopi, dei Centimani, è però evidente che presenta più analogia con le leggende mistiche e i misteri posteriori, anzichè con le serene imaginazioni omeriche (pag. 21).

Non è quì il luogo di discutere l'origine ed il valore della teogonia esiodea, ma io sottoscrivo alla parentela che vi scorge l'Autore colle leggende orfiche; come pure accetto che queste leggende e il culto che vi si collega rappresentano nella storia delle idee e dei sentimenti religiosi dei Greci il prevalere delle tendenze mistiche, e l'oscuramento della serena ed artistica intuizione religiosa primitiva per l'influenza dei riti o sentimenti religiosi, traci frigii ed egizii. L'orfismo ed i misteri per isforzi che si facciano non si possono considerare

come uno sviluppo spontaneo della coscienza religiosa ellenica. Può darsi benissimo che si riannodino ad antichissimi culti di divinità ctoniche, i quali sopraffatti e vinti da culti posteriori olimpici, poteano conservarsi soltanto all'ombra di riti misteriosi, e nel seno di un sodalizio ristretto. Ma è indubitato, che colle leggende di Dionisio e di Demeter si sono mescolate le egiziane d'Iside ed Osiride. Ed io non avrei difficoltà alenna ad ammettere contro lo Zeller seguito dal Masci, che tanto nell'orfismo quanto nei misteri si fosse insinuata quella concezione panteistica, che è in fondo alla religione egiziana. Nè è meraviglia che vi sia penetrata se v' attecchì, come tutti riconoscono, una dottrina ben più contraria al genio ellenico, voglio dire la metempsicosi. Alla mente artistica di un greco, che mal sapea scernere l'anima dal corpo, dovea sembrare ben strano che l'una fosse così indipendente dall'altro, da poter vestire diverse membra senza perdere l'individualità sua. E non meno della metempsicosi dovea ripugnargli la morale ascetica che vi si collegava. Perchè egli non avrebbe potuto guardare come prigione o tomba dell'anima quel corpo alla cui bellezza teneva tanto, e nell'esercizio del quale scorgeva uno dei fattori più importanti dell'educazione nazionale. Pur tuttavolta la metempsicosi fu accolta e dal volgo e dai filosofi, a cominciare da Pitagora sino ai neoplatonici. Qual meraviglia adunque che sieno state ricevute le dottrine panteistiche ed emanatistiche col quale quel domma ha stretta parentela? Se si ammettono le trasmigrazioni, che sono come i gradi successivi pei quali l'anima si allontana dal gran Tutto, onde partissi, perchè sarebbe difficile pensare questo Tutto?

Comunque sia, le dottrine della trasmigrazione e dell'ema

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