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gliamo oggi; forse il Lotze ha trovata la nota giusta, se pur non dobbiamo ammettere che Platone pago di avere messo a capo della scienza e della vita gli alti ideali, non si sia posto il problema della realtà loro, o per lo manco l'abbia lasciato nell'ombra.

Intorno al concetto del bene ha pienamente ragione il Masci (p. 141) che le due teoriche del bene, quella della Republica che si riferisce al bene in sè, e quella del Filebo che riguarda il bene in rapporto coll'uomo non sono contradittorie, ma differenti soltanto. Io stesso avevo detto a p. 71 del mio libro: Le due ricerche non si escludono, ma l'una può benissimo servire di complemento all'altra. Se dunque credetti che gli studî del Filebo fossero posteriori a quelli della Repuubblica, non vi fui indotto dal perchè li reputassi contradittori, ma perchè altre ragioni mi persuadevano a mettere il Filebo tra i dialoghi dell'ultimo periodo. E le ragioni sono queste: In primo luogo perchè nel Filebo è accennata la stessa critica delle idee che mi fece ritenere per posteriore il Parmeuida; la seconda perchè vi domina una morale estetica ben diversa dalla ascetica ('). Quest'ultima opposizione il Masci ben l'ammette, ma crede che l'intuizione ascetica sia propria del Teeteto e del Fedone, il che, tenendo presente il settimo della Repubblica, non saprei ammettere.

In quanto alla libertà del volere ha ben ragione il Masci di non ammettere le indecisioni che lo Zeller suppone, e di ritenere che Platone fu prevalentemente determinista p. 150. Solo noto che il Teichniiller nell'ultimo libro suo; Le po

(') Debbo però dichiarare che a quest'ultima non attribuisco la stessa importanza della prima, perchè l'oscillazione tra due intuizioni diverse può trovarsi anche in uno stesso dialogo.

lemiche letterarie nel secolo IV av. C. non solo sostiene essere Platone determinista, ma crede altresì che intorno a questo punto abbia conosciute e confutate le obbiezioni del suo discepolo Aristotele.

In quanto alle virtù l'Autore osserva molto giustamente, che mentre per Socrate la virtù è nel sapere, e tutte le virtù si riducono ad una sola, la quale è insegnabile; per Platone il sapere non è una facoltà passiva, sibbene un bisogno e quindi un' energia, nè è per lui come per Socrate un principio produttivo bensì regolativo rispetto alla virtù, e l'eservirtuosi non dipende soltanto dalle attitudini intellettuali (pag. 152). Ma non mi pare egualmente certo quel che dice delle quattro virtù: la saviezza e la temperanza sono virtù intellettuali, e però proprie della parte razionale ed immortale dell'anima, il coraggio è una virtù propria della parte emozionale e peritura, la giustizia appartiene ad amendue (p. 154). Non credo che in Platone questi riferimenti sieno così netti e spiccati.

In quanto allo Stato l'Autore benissimo osserva che secondo Platone non è se non un grande istituto di educazione. A tutta la politica greca ma principalmente a Platone ripugnava il concetto di uno stato meramente negativo, che garentisca l'esercizio dei dritti, lasciando ai liberi cittadini, o alle private associazioni le funzioni positive, come l'educazione e l'immegliamento sociale. Anzi Platone esagera fuor di misura il potere dello stato e gli attribuisce il dritto di determinare p. e. e il tempo delle nozze, e i cittadini che debbono contrarle. Ma su queste particolarità come sulle ragioni ch indussero a Platone ad abolire la famiglia e la proprietà pei custodi dello stato, l'autore per angustia di tempo

ha dovuto sorvolare. Ciò non pertanto quello che egli dice è sempre ben pensato e nettamente espresso. Come esempio del suo stile serrato, che condensa le idee senza confonderle vorrei riportare tutta la conclusione che a larghi tratti riassume la storia dell'Etica greca. Mancandomi lo spazio, mi sia concesso di riprodurre questo brano, ove è disegnato a grandi linee il cammino dell'etica moderna:

La coscienza morale dell'antichità classica non avendo dinanzi a sè se non l'individuo isolato o il cittadino, non l'uomo, non poteva oltrepassare quel soggettivismo che confina la morale nell'individuo, nè distinguere la morale dalla politica. I TEMPI UMANI aspettavano per nascere l'universalità cristiana, aspettavano la nuova legge di carità, di virtù efficace ed operativa. E d'altra parte una nuova morale oggettiva, che prescindesse da ogni fondamento religioso, non era possibile se non mediante una scienza, che non ponesse la legge e l'ordine morale al di là della volontà e della vita. Or questa scienza esigeva innanzi tutto un'analisi che ponesse in chiaro l'autonomia del volere e della ragion pratica, e poi due altre, delle quali l'una mostrasse la genesi logica e il sistema, e l'altra la formazione storica delle idee morali. Di queste tre analisi, la prima appartiene a Kant, la seconda ad Hegel; la terza alle scuole positiviste contemporanee.

FELICE TOCco.

FONDAMENTI FILOSOFICI DELLA SCIENZA POLITICA

Due scuole fra loro opposte si contendono ancora oggidì il campo della scienza politica. L'una mette capo al dommatismo teologico del medio evo, e può essere detta scuola del diritto divino, perchè pone nella stessa volontà di Dio, in modo soprannaturale manifestata, l'origine delle sociali e politiche podestà; l'altra, che è nota col risorgimento degli studi classici e divenne adulta principalmente per opera degli Enciclopedisti francesi, vuol essere chiamata scuola del diritto popolare, giacchè deriva dal volere incondizionato, tacito od espresso che sia, delle moltitudini ogni sorta di pubbliche istituzioni.

La prima ha prevaluto per l'addietro; ma, dappoichè da un lato la critica ha dimostrato impossibile una manifestazione della volontà divina diversa da quella del VERBO, cioè dalla ragione assoluta, che in germe è in ogni uomo, e si trova sviluppata nello spirito della persona cosciente di possederla, dall'altro l'esperienza ha fatto vedere come l'unzione regale sia per se sola inetta a procurare la felicità de' popoli, essa non ha più efficacia pratica, ed è ridotta al vano esercizio di sostenere le pretensioni dei dinasti spodestati. All'incontro ottiene oggidì favore generale la seconda, cui sono

ascritte le parti politiche che hanno nome di liberali, qualunque siano poi le differenze particolari che le tengono fra loro divise intorno l'ordinamento sociale. Tuttavia anche l'impero di questa scuola dovrà cessare una volta; imperocchè le sue dottrine quanto valgono a distruggere, tanto sono impotenti a edificare durevolmente. La volontà scorretta delle moltitudini non vale meglio dell'arbitrio dei sedicenti interpreti della volontà di Dio: le rivoluzioni, che fanno coi cattivi naufragare anche i buoni principî, e le restaurazioni che, dopo le tempeste sociali, vengono a congiungere violentemente l'antico, che non ha più ragione di esistenza, col nuovo ancora informe, dimostrano ch' ella non è la fonte pura della vita sociale. Il vero principio organico dell'umano consorzio è la RAGIONE, la quale è divina ed umana ad un tempo, superiore così all'arbitrio dei pochi come al desiderio dei molti, e conciliatrice del bene pubblico col bene privato in modo perfetto. Come la ragione possa uscire in campo per comporre la civile società in ordine all'UMANA DESTINAZIONE, è quello appunto che noi andremo svelando di mano in mano che ci addentreremo nella scienza direttiva di tutte le arti sociali.

I.

Funzione del Governo politico.

Se lo Stato è l'unità politica della nazione, l'ufficio della quale consiste nel determinare i diritti e i doveri di tutti gli enti personali di cui essa consta, equilibrare fra loro le sue interne unità, e partecipare a tutti i cittadini i benefizî del

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