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la costituzione del mondo civile e la forma organica dello Stato. Che se i legislatori non vorranno dare ascolto alla voce dei veggenti, e continueranno ad affidarsi a massime ormai prive di efficacia costitutiva, ogni loro riforma riuscirà vana, perchè non otterranno mai la prosperità del maggior numero da essi tanto agognata, e con questa mancherà sempre la sicurezza sociale, che sola può dar termine alla triste epoca delle rivoluzioni.

(Continua)

B. BERTINARIA.

DI NUOVO DEL PRIMO FATTO E DEL PRIMO VERO

SI.

Abbiasi per vero e per evidente che l'infinito ci avvolge e predomina da ogni parte. Lo scorgiamo nello spazio lo scorgiamo nel tempo, o dir si voglia nella durata. E quando il pensiere medita una cagione prima e assoluta, del pari sentesi astretto ad assegnarle un infinito di potenza o di atto; e se in Lei immagina il sommo termine di perfezione, questa per simile ci riesce contenente ogni bene, ogni bellezza, ogni bontà, ogni positiva attribuzione col suo compimento e senza difetto nessuno.

Ma il più mirabile è questo che non concepiamo lo stesso finito se non in rapporto del suo contrario; e il relativo, se non in rapporto dell'Assoluto il quale ugualmente convertesi con l'infinito.

Coloro adunque che negano all'uomo la possibilità di concepir l'Ente illimitato cadono in perpetua contraddizione col fatto. Ma d'altro lato in qual maniera risolvere l'irrepugnabile giudicio che una essenza finita come la nostra è, senza dubbio, nulla può aver d'infinito e perciò anche non concepirlo siccome tale? perocchè il pensiere per lo manco spaziando nella

sterminata possibilità dei concetti recherebbe eccezione alla parvità e limitazione certa, continua e indeclinabile del nostro

essere.

Ora, chi penetra bene addentro in cotesto enigma fondamentale, a così domandarlo, viene da ultimo a discuo prire che la voce stessa infinito ci porge la chiave da girar nella toppa di esso enigma ed aprirlo. Conciosiachè quella voce suona esattamente il non finito e cioè tal cosa in cui per cercar che si faccia, nessuna finità, nessun limite, nessuna specie di termine e di confine ci si lascia vedere ed immaginare. Il che assunto e pensato in se stesso, disciogliesi in pretta e vacua remozione e dinegazione. Salvo che essa (avvertasi bene) non cade in oggetto apparente ed evanescente; ma sì in oggetto positivo e reale. L'infinito, adunque, nella sua fonte originale e suprema vuol dire per noi l'apprensione dell'Ente discompagnata da qualunque apprensione di limite. Ciò rompe e cancella, funditus la contraddizione; perocchè significa, ripetiamo, apprendere certa entità positiva senza che c' imbattiamo a scorgere in lei veruna sorte di limite.

Laonde quante volte tu mi opporrai la finità del pensiere umano, altrettante risponderò io, che il pensiere à due termini, l'uno con lo spirito proprio, l'altro con l'oggetto assoluto; e che intervenendo un atto di congiunzione tra la mente e l'oggetto, non può cotesto atto non porre nella cognizione alcun che delle due nature congiunte.

Noterò poi per incidenza che agli avversarj ostinati dell'ontologismo sembra metter fuori un argomento invincibile e irrefragabile in questa impossibilità per appunto che noi finite creature ci facciamo capaci in verun tempo ed in verun modo di comprendere l'infinito; il che nel primo sembiante torna troppo

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vero e persuasivo. Salvo che noi con le distinzioni e le analisi poco dianzi riferite sciogliamo il nodo di tal presunta impossibilità; mentre, d'altro lato non badano essi alle tremende conseguenze che dal tema loro fluiscono. Stantechè la natura finita dell'uomo non potendosi da lui separare per qualunque prodigio del mondo ne segue ch'eziandio nella visione beatifica da quelli prenunciata e aspettata, l'uomo non fruirà mai dell'oggetto infinito, siccome tale. Nè unicamente l'uomo ne rimarrà privo in perpetuo ma il serafino più eccelso e perfetto nell'angelica gerarchia. Del pari, decantando eglino l'asserimento di san Tommaso che noi al presente possediamo di Dio soltanto una cognizione negativa e lo pensiamo unicamente e lo avvisiamo per mezzo di certa rassomiglianza per quandam similitudinem non punto si accorgono che tale rassomiglianza è imposbile e di necessità è ingannevole per quel medesimo che affermano della assoluta disproporzione tra una mente finita e un oggetto infinito.

Ma oltre ciò, chi volesse compiacersi di tribulare i nuovi Tommisti potrebbe aggiungere che non solo è sproporzione dismisurata fra essi due termini, ei vi corre eziandio una palpabile incoerenza; e, da tutti i lati e sotto qualunque rispetto, infinito e finito si escludono; ìmperocchè il secondo nominato, per crescerlo e moltiplicarlo che facciasi, mai non perviene a cancellare i suoi confini e trasmutarsi nel suo contrario; dacchè, conforme osservò Galileo, converrebbe per ciò all'ultimo termine, riuscire finito e infinito ad un tempo; il primo a cagione di sua propria essenza; l'altro, per riempiere lo spazio dismisurato che interponesi tra lui e la essenza opposta a cui aspira congiungersi e della quale (mirabile cosa) è pur sempre alla distanz medesima così nella prima addizione di sè a sè stesso come

nell'ultima di milioni e biglioni di unità replicate e connesse. Laonde questo pronunciato terminativo è sol vero e incontrovertibile che l'infinito e il finito se possono coesistere, del sicuro non possono consustanziarsi. Ora, che il finito sussista, si prova ed accerta non meramente col nudo fatto ma eziandio col principio assoluto d'identità, bene applicato al fatto, e per cui si dimostra che due volontà opposte e due opposte affermazioni quali tuttogiorno ci sono mostrate dalla esperienza rivelano senza meno la necessità dell'effettivo molteplicare delle persone o vogliasi dire più astrattamente per la reale e discreta moltiplicità. Oltre l'infinito, adunque sussistono, replichiamo, le finite sostanze.

Tutto il che si fondamenta sulla esperienza non mai interrotta del nostro intuire e conoscere, dove è appreso ogni sempre quel trino elemento integrale ed inseparato di qual sia obbietto, la sostanza, cioè, le qualità sue o gli atti, e l'inerenza di entrambi questi nel sostegno comune ch'ella fornisce loro intrinsecamente e in modo unitivo e perpetuo. Che se mi accade di ciò ripetere delle volte parecchie

spero trovare onor non che perdono

Imbasandosi in cotal fatto la essenziale differenza fra le due psicologie la Kantiana e la nostra. Chè mentre in quella ciò che s'intuisce immediate sono le sensazioni e i fenomeni sparsi e slegati, appo noi invece mai non s'intuiscono sciolti e disgiunti dalle inerenze loro nel Noumeno correlativo; perocchè la luce mentale spandesi in largo in lungo e in profondo; oltre essere noi e le cose tuttequante costituite di azione e passione e qualunque ente spiegare la propria energia e subire l'altrui con vicenda perenne e palpabile di cause e

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