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dotarlo in bastevol modo; e di que' padronati, che in tal maniera s' impetravano, l'instituzione toccasse al vescovo e fosse proibito al patrono di fare la presentazione ad altri che al

vescovo.

Infine la sinodo intimava che nel giorno destinato dei 25 gennaio del 1552, oltre alle materie prescritte, si tratterebbe ancora sopra il sacramento dell' ordine e continuerebbesi la riformazione.

Arrivarono intanto a Trento gli ambasciatori di Vittemberga e di Sassonia. Introdotti nella congregazione generale, fecero questi ultimi parecchie instanze, la maggior parte delle quali si riferivano agl' impedimenti per cui i protestanti già tante volte avevano dichiarato di non voler riconoscere quel concilio per legittimo e di cui già abbiamo in altri luoghi favellato. Aggiunsero un' altra domanda che fece un gran nodo, e mise in disperazione totale la concordia: richiesero che conforme ai decreti dei concilii di Costanza e di Basilea, si disponesse che nelle cause della fede e in quelle che appartengono al papa stesso egli sia sottoposto al concilio; e che, siccome alcune controversie si rivolgevano specialmente intorno al romano pontefice, egli non poteva essere giudice e parte.

Opponevano i difensori del papa che il concilio di Costanza non era riconosciuto in tutte le parti legittimo, e che da Lutero stesso era stato dichiarato nullo e sacrilego; che in quello di Basilea non erano intervenute tutte le nazioni, e contro di lui era stato convocato l'amplissimo concilio di Ferrara, poi quel di Firenze ricevuto da tutta la chiesa; che la chiesa era monarchia e che in tal sorta di reggimento conveniva che il principe fosse legge a sè stesso nè temesse altro giudice che Dio e la pubblica infamia; che se ciò si comportava ed era senza pericolo nei principati ereditari, molto più conveniente era ed innocuo in un principato elettivo qual era il pontificato, in cui l'elezione soleva cadere in uomo vecchio e già lungamente pruovato.

Quanto alla superiorità del concilio sopra il papa, la difficoltà era inestricabile; perchè, dato anche che il concilio avesse dichiarato tale superiorità, il papa scambievolmente, come scrive il Pallavicino, avrebbe dichiarato il contrario, nè si poteva ritrovare in terra un supremo giudice terzo. Perciò niuna delle domande fu consentita agli ambasciadori; solamente i Padri decretarono che per aspettare i teologi dei protestanti che avevano promesso di venire, si prolungassero le decisioni sopra il sacrificio della messa ed il sacramento dell'ordine.

Diedero anche un amplissimo salvocondotto a chiunque dei protestanti volesse venire al concilio.

Un accidente terribile ed improvviso interruppe subitamente le fatiche dei Padri. Maurizio di Sassonia, come sopra abbiamo narrato, fattosi avanti aveva cacciato l'imperatore da Pontoeno: tutte le regioni circonvicine piene di tumulto trepidavano; già quasi cogli occhi dei Padri e dalle finestre di Trento si vedeva il soprastante pericolo; già molti vescovi non solo italici, ma eziandio spagnuoli, quantunque gli ambasciatori cesarei si argomentassero di rattenergli, cominciavano a fuggire: il cardinale Madruccio stesso, signore della città, protestava che non poteva più promettere sicura quella stanza dall' impeto dei confederati. Il concilio non poteva più rimanervi con sicurezza, non che con dignità, e le deliberazioni divenivano impossibili pel picciol numero dei prelati che vi restavano. Già il papa, informato del pericolo dal cardinal Madruccio, aveva dato una bolla di sospensione, ma i nunzi presidenti (era allora l'assemblea presieduta dal Pighino, trovandosi il legato Crescenzio infermo di gravissima malattia), stimarono che miglior partito fosse che il concilio stesso decretasse la sospensione. Per la qual cosa nella sessione dei ventotto aprile i Padri statuirono che stante che per astuzia del nemico universale s'era appiccata una tal fiamma nel cristianesimo che rendeva inutile la continuazioue del presente concilio, e l'Alemagna, in cui servigio specialmente si era convocato, ardeva di tali discordie che tutti gli elettori ecclesiastici e molti altri principali vescovi di quella nazione s'erano dipartiti a fine di custodire gli stati loro, non volendo il sinodo urtare contro a quella incontrastabile necessità, eleggeva di tacer frattanto, e di riserbarsi a tempi migliori, dando agio ai prelati di ritornare ai loro ovili per non essere infruttuosi ad ambedue i luoghi. Sospendersi pertanto il concilio per lo spazio di due anni, sì veramente che se prima cessassero i legittimi ostacoli, s'intendesse altresì cessata la sospensone, e durando eglino più tempo si intendesse spirata issofatto, e senza nuova convocazione, tosto ch'essi mancassero, ove al presente decreto s'aggiungesse l' assenso e l'autorità della Sedia apostolica.

Partironsi i Padri alla sfilata nè senza fretta. I ministri pontificii del concilio furono stretti da tali angustie alla dipartenza che alcuni di loro, se il cardinal Madruccio non gli avesse sovvenuti, sarebbonsi trovati a duro partito. Il legato Crescenzio, pervenuto a stento in Verona, ivi passava da questa all' altra vita.

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LIBRO NONO

SOMMARIO

L'imperatore sdegnato contro i Sanesi manda gente sotto il vicerè di Napoli, e il suo figliuolo don Garzia, poi sotto il marchese di Marignano, per soggiogarli. Difficili condizioni del duca Cosimo in questo accidente. Finalmente accosta i suoi soldati a quei dell' imperatore. Il vicerè muore in Firenze. Le armate francese e turchesca desolano i lidi di Napoli, di Sicilia, di Sardegna e di Toscana, poi si voltano contro la Corsica, avendo con loro Sampiero, di nazione Corso, capitano valorosissimo ed in grande riputazione appresso ai Corsi. Intendeva a sottrarre l'isola dalla soggezione dei Genovesi. Quel che vi succede. Emanuele Filiberto, figliuolo di Carlo III di Savoia, giovane di squisito valore e di grandissima aspettazione, creato dall' imperatore generalissimo de' suoi eserciti in Fiandra. Mutazioni in Inghilterra per la morte del re Odoardo. Una fazione di Cosimo per andar addosso a Siena. Segue il discorso sulle cose dei Sanesi, e il grande amore ch'essi mostrano, anche le donne, per la libertà. Cosimo e Carlo si affaticano contro di loro, Piero Strozzi coi Francesi e coi fuorusciti in favore. Si parla in tutto il mondo dell'assedio di Siena. Lo Strozzi rotto a Marciano. Condizione miserabilissima a cui sono ridotti i Sanesi, e con quanta costanza la sopportino. Monluc, al nome del re Enrico, è dentro e con quanto valore ed amore gli difenda. Viene finalmente la necessità della dedizione e quali siano i patti. Lagrimevole spettacolo degli andanti all'esilio. Assetto che Cosimo e gli Spagnuoli danno alla città. Furore guerresco in Piemonte. Brissac conquista Casale. Muore papa Giulio; gli succede, sotto nome di Marcello II, il cardinal Cervino, uomo dottissimo e santissimo, ma morte il fura dopo un pontificato di pochi giorni, e gli viene surrogato Gianpietro Caraffa che assume il nome di Paolo IV. Qualità del nuovo pontefice e quel che fa. S'accorda in lega colla Francia contro l'imperatore, con quel che ne segue. Carlo V rinunzia al regno, poi muore. Gli Spagnuoli, condotti dal duca d'Alba minacciano Roma.

ORA imprenderemo di trattare di una guerra si sollecitassero di molto, stimando che dovesse

che incominciata per gelosia di potenza da due principi grandi, fu poi nodrita e mantenuta assai spazio dall' amore della libertà, la quale sanno meglio i popoli difendere dagli assalti forestieri che dall' arti e dall'impeto delle fazioni intestine. Sopportava malvolentieri Carlo imperatore, siccome quegli che abbracciava col pensiero la monarchia d'Italia, che Siena gli fosse stata tolta di mano, parendogli caso disonorevole per la sua corona e dannoso a' suoi interessi, avendo aperto la strada a' suoi inveterati nemici di pregiudicargli. Deliberossi pertanto a ricuperare colla forza dell' armi ciò che aveva perduto per la prontezza degli avversari, e l'alterigia e l'avarizia di un suo ministro. Da Spagna, da Napoli, da Piemonte si preparavano i mezzi di ridurre Siena all'ultime strette ed alla volontà cesarea. Commise Carlo a don Ferrante che mandasse in Toscana per la guerra di Siena quattromila Tedeschi sotto la condotta di Ascanio della Cornia. Quindi essendosi apprestati nel regno di Napoli sei mila Spagnuoli ed ugual numero di Tedeschi, comandava al vicerè don Pietro che si conducesse contro Siena, e che, come capo, l'indirizzo di tutta l'impresa assumesse. Parte di queste genti, sotto guida di don Garzia figliuolo di don Pietro, doveva viaggiar per terra, attraversando lo Stato ecclesiastico per cui il papa aveva dato il passo, e parte essere portata per mare sulle galere del Doria con la persona stessa del vicerè. Voleva l'imperatore che questi movimenti

giovare il sopragiungere avanti che le forze dei Francesi avessero messo più addentro le barbe in quel terreno. Questo tentativo poteva fare a man salva; perchè l'armata turchesca, come si è veduto, era passata ne' suoi porti in Levante e le galere francesi col principe di Salerno erano andate a svernare all'isola di Scio.

I Francesi udendo tali provvedimenti cominciarono di nuovo a soldare fanteria italiana e fecero passare le genti loro a piè ed a cavallo rimaste in Lombardia, e mandarono Aurelio Fregoso a condurne quante più potesse dal ducato d' Urbino e dalla Marca, disegnando di mettere insieme almeno diecimila fanti e cinquecento cavaileggieri, con animo di guardar Siena con le migliori e più fedeli schiere che avevano e con le altre mantenere quanto più potevano del dominio Sanese. Erano signori oltre Siena, di Chiusi, Montalcino, Grosseto, Portércole, Asinalunga, Casòli, Montereggioni, e Lucignano. Ma l'importanza di tutta la guerra era Siena medesima; però i Sanesi oltre l'aver racconciato per ogni parte le mura, fortificarono il luogo fuori alla porta di Camollia dove pareva la città più debole e dove si poteva agevolmente fermare esercito nemico da vicino e quasi sopra le mura stesse della città, essendo il sito alquanto rilevato. E con tanto studio ordine lavorarono in questa bisogna soldati, cittadini, religiosi e donne, che in meno spazio che non si saria stimato, quantunque il disegno fosse grande, l'ebbero messo in guardia e finito.

Accrebbe le speranze loro l'essere certificati che il re di Francia si mostrava accesissimo nel salvargli dal pericolo, mandando in Toscana lo Strozzi con tremila Tedeschi veterani, ed otto insegne francesi.

Conveniva anche pensare al modo di reggimento con ridurlo a forma più stabile; ma in ciò i Francesi e il cardinale di Ferrara fecero poco frutto, perchè la parte popolare non volle mai udire che si rendessero partecipi dello stato al par di loro quelli della parte contraria, a loro | sospetta.

Stava il duca Cosimo in molta ansietà pei moti di Siena, perchè oltre al guasto della guerra ei conosceva che sarebbe rimasto a discrezione del vincitore qualunque ei fosse. Suo proposito era che si trovasse mezzo di fare che Siena, sgombrata ugualmente dai regii e dagli imperiali, con un governo quieto, signora di sè stessa ed amica di tutti continuasse. Il papa scopriva il medesimo pensiero, ed ambedue s' ingegnavano con le loro esortazioni ai Sanesi o coi negoziati colle potenze di ridurlo a perfezione: ma ostarono invincibilmente le passioni troppo vive di Siena, e l'odio irreconciliabile tra Carlo ed Enrico.

Cosimo vedeva di essere venuto in sospetto dell'imperatore a motivo delle pratiche tenute coi Francesi. Ora dovendosi la guerra fare in Toscana, non solamente gli conveniva dare il passo agli Spagnuoli, ma ricevere con onore il suocero don Pietro ed il cognato don Garzia che venivano per governargli; le quali cose non poteva fare senza dare sospetto ai Francesi, per modo che si trovava in grado di aver per nemiche le due parti. Considerato pertanto da un lato che l'essere amico di Cesare era in lui non che necessità, propensione, e che dall' altro si teneva molto gravato dalla Francia per avere lei chiestogli l'amicizia degli Strozzi, si risolveva di ritornare nell'antica confidenza cogli imperiali; ma per non tirarsi addosso del tutto i Francesi, come se egli con poca sincerità procedesse, disdiceva la convenzione che aveva per opera del cardinal Tornone contratta col re, promettendo però di non fargli contro nè coi denari propri nè co' suoi soldati, e dichiarando solamente alcune cose comuni non potere negare all' imperatore.

Arrivava il vicerè di Napoli a Livorno col fiore degli Spagnuoli, dove il duca Cosimo aveva mandato il figliuolo Francesco ad onorarlo. Don Pietro si tenne sulle prime assai male soddisfatto del genero, perchè Cosimo che non voleva trovarsi a discrezione altrui, aveva munito, all'arrivo del suocero, Pisa di grosso presidio: il duca opponeva le arti italiane alle arti spagnuole, e non si voleva fidare; e forse in questo caso lo Spagnuolo si doleva del sospetto perchè 'Italiano aveva ragione di sospettare. Giunto poi il vicerè in Firenze fu ricevuto cortesissima

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mente dal duca e dalla duchessa; ma un accidente funesto venne tosto a turbare l'allegrezza. Il vicerè, già grave d'anni e travagliato dal disagio del mare, dalla mutazione dell' aria e da disordine fatto con la moglie che era bellissima, s'infermò, e dopo pochi giorni morì. Le esequie parche, notturne, segrete, fecero nascer voce che Cosimo, pei disgusti di Pisa, l'avesse fatto avvelenare ; il che secondo ogni probabilità, era fuor di ragione, ma che si dicesse, era colpa di Cosimo.

Don Garzia rimasto al governo delle genti, non aveva nè nome nè sperienza sufficiente nei casi di guerra, nè passava molta confidenza tra lui e Cosimo; il che nuoceva all'impresa. L'imperatore mandava per condurla con supremo imperio Iacopo de' Medici marchese di Marignano, già conosciuto pel suo valore in molte guerre, e principalmente nell'ultima terminata così infelicemente sotto le mura di Metz, guerra che egli avea sempre, contraponendosi al duca d'Alba, dissuasa. S' intendeva egregiamente d'artiglierie, e di esse aveva avuto il carico nella guerra di Metz.

Intanto si scoprivano congiure fomentate da Cosimo dentro di Siena, accidente che rendeva la città piena di sospetti, e la parte che dominava, crudele. Giulio ed Ottaviano Salvi ed Enea Piccolòmini erano capi principali di questi trattati sotto colore di liberare la patria dal giogo dei Francesi, anzi pure di tutti i forestieri; perchè il moto, secondo l' intendimento di Cosimo, non era meno indirizzato contra gli uni che contro gli altri. Scoperti, Giulio ed Ottaviano furono decapitati; di Enea benchè si sospettasse, non avendosene certezza, non si fece giudizio.

La necessità del difendersi faceva star fermi i Sanesi, e certamente ne avevano gran bisogno: gl' imperiali, in sul primo giugnere, si erano impadroniti d'Asinalunga, Lucignano, Montefellònico, Massa, Montichiello, Buonconvento, Treguarda, Giamarico, e già mettevano il campo intorno a Montalcino, terra più forte delle altre, siccome quella che è posta in luogo rilevato, il quale sopra una collinetta si distende in lungo e di maniera che da tre parti è sicuro: i Francesi avevano munito di forti ripari la parte accessibile.

In tale condizione pruovarono i Sanesi qualche indugio ai sinistri casi loro per cagioni venute molto di lontano. Già era il principio di maggio, e si udiva di certo che l'armata turchesca condotta da Dragut, congiunta alla fran- · cese su cui era il Polino, se ne venivano verso le coste della Sicilia e di Napoli. Il cardinale di Siguenza, nuovo governatore del Regno dopo la morte del Toledo, mandava a chiedere le genti inviate in Toscana. Vennero poscia ordini espressi dell' imperatore, perchè senza soprastamento alcuno elle si rimenassero nel Regno, stimando che più facesse a lui il difendere

le cose proprie che quelle d'altrui. Fu fatta opera, perchè almeno vi si lasciasse dimorare quanto bastava a correre il paese, ma non giovò nulla, dicendo l'imperatore che non voleva perder Napoli per guadagnare Siena. Don Garzia pertanto se ne tornava colle genti a Napoli. Così Siena ebbe respiro, non si però che gli animi vi fossero del tutto sgombri dal timore delle future cose.

I Genovesi intanto vedendosi tolta un'isola che a loro era molto cara, conchiusero che avanti che i Francesi vi fermassero il piede, fosse ben fatto il cercar di cacciarnegli. Nella qual deliberazione con tanto maggior ardore entrarono che temevano, che fosse loro agevole dalla Corsica il travagliare Genova stessa in cui non pochi per le reliquie dei Fieschi inclinavano alla parte francese. Già il Termes, andato da Siena in Corsica per nutrire questi umori, vi aveva mandato un suo uomo alla Signoria, avvertendola che quell'isola le sarebbe renduta ogni volta che si risolvesse ad essere amica del re, ed a fargli comodo dei suoi porti e luoghi; la quale proposta i Genovesi non avevano voluto consentire.

Il duca di Firenze che vedeva crescere ogni giorno la potenza francese e cignerlo da ogni banda, pensò essere tempo di partirsi del tutto da quella via di mezzo che aveva seguitata sin allora, e che senza amicargli i Francesi gl’inimicava appoco appoco l'imperatore. Togliendosi adunque da queste ambiguità, si risolveva da una parte a far guerra a Siena, dall'altra a soccorrere di qualche ajuto i Genovesi affinchè potessero ricuperare la Corsica. Laonde messe le sue genti in ordine e datone il governo al marchese di Marignano, le mandava contro la pertinace città. Nel tempo medesimo inviava Lione da Ricasoli a Genova offerendo comodi di soldati, di porti e di navi.

Le armate francese e turchesca desolarono in prima le spiagge di Napoli, poi quelle di Sicilia, finalmente gettaronsi sulla Sardegna, menando dapertutto gran prede d'uomini e di robe. Quivi, spalmati i legni, se n'andavano a combattere l'Elba e Piombino per far prova di fermare un piede d'importanza in Toscana. Corsero in brieve quasi tutta l'isola, e la guastarono dai lidi di terraferma furono risospinti dalle milizie del duca, che vegliò, secondo il solito, sopra tutti questi accidenti con grandissima diligenza. Le quali cose conoscendo i Turchi ed i Francesi, poichè furono stati dieci giorni sopra l'Elba e tutta disfattola, si volsero inverso la Corsica, avendo seco Sampiero da Bastélica Corso e molti soldati e capitani di quella nazione, nemici dei Genovesi, in possessione dei quali, e specialmente dell' officio di San Giorgio, viveva allora l'isola. La parte dei fuorusciti era molto forte in Corsica, essendovi odiato assai l'imperio di Genova, ei Corsi generalmente poco sofferenti di giogo forestiero. Sampiero poi, siccome natovi di famiglia principale ed apparentato con gli Ornani, famiglia principalissima, uomo di non poco valore ed esercitato in molte guerre, vi aveva gran seguito. Adunque i Galloturchi con le forze proprie e coll'ajuto di Sampiero, appena smontati, presero col favore dei popoli Porto-Vecchio, Bastia, Ajaccio, Sane condusse a' suoi soldi Chiappino Vitelli e Fiorenzo, e dopo pochi giorni quasi senza fatica nè senza sospetto di secreto intendimento, s'insignorirono anche di San Bonifacio, porto e fortezza molto opportuna, massime per travagliare la Sardegna. In somma tutta l'isola, eccetto la fortezza di Calvi, venne in pochi giorni in potere dei Francesi che vi mandavano continuamente nuove provvisioni da Marsiglia, e cominciarono a fortificarsi in San Fiorenzo ed Ajaccio, valendosi degli uomini del paese che volentieri gli servivano. Facevano intanto opera di prender Calvi, tenendolo assediato con molta diligenza.

L'acquisto di quasi tutta la Čorsica fu di gran giovamento ai Francesi, potendo da'suoi porti infestare la Sardegna e la Toscana e tentare anche Genova.

Quanto a Dragut, sdegnato che i Francesi non gli avessero pagati venti mila ducati promessigli acciò non saccheggiasse San Bonifacio, carico di preda e di schiavi cristiani, si gittava in Sardegna, poi dirizzava le prore verso Levante.

Nè l'imperatore lasciava la tutela dei Genovesi in sì improvviso e grosso frangente; imperciocchè mandò loro promettendo duemila Spagnuoli ed altretanti Tedeschi pagati e forte in assetto. Per le quali cose la repubblica avendo preso animo, diede tutta l'autorità della guerra per terra e per mare ad Andrea Doria,

Lodovico Vistarino, capitani molto riputati ed
esperti. Provvide navi, artiglierie, munizioni,
farina, e tutte quelle cose che fanno mestieri
ad una guerra dura e grossa. Commise il Do-
ria le genti da terra ad Agostino Spinola.
L'armata genovese,
fornita di soldati e di
tutte le provvisioni necessarie, faceva vela nel
mese di novembre con animo di andare ad
Ajaccio, ma impedita dai venti contrari fu
costretta a volgersi al golfo di San Fiorenzo,
e quivi mettere assedio alla città di questo no-
me. Intanto i Francesi furono obbligati per
queste mosse di levarsi d' intorno a Calvi che
già pericolava per mancanza di vettovaglia. Ma |
San Fiorenzo, confortato anche del Termes che
era venuto ad accamparsi quivi vicino ed aveva
molti Corsi con sè, gagliardamente resisteva.
Il vincerlo per forza pareva impossibile; per-
ciò il cinsero diligentemente d'assedio con pren.
dere i passi da ogni parte: seguitavano spesse
scaramucce assai mortali, ma la contesa an-
dava in lungo. Intanto la stagione contraria al

guerreggiare, il disagio degli alloggiamenti e l'aria corrotta di uno stagno vicino infermavano le genti sì da terra che da mare. Videro i capitani della Repubblica che bisognava anche usare la forza, e perciò fatto un impeto contro il campo di Termes che aveva con sè anche il Sampiero, il costrinsero con molta uccisione de' suoi ad allontanarsi, ritirandosi a Corte.

Venne in questo mentre in Corsica Piero Strozzi mandato dal re con titolo di suo luogotenente in Italia alla guerra di Siena. Visitò i luoghi ancor tenuti da Francia, e portò loro qualche soccorso in uomini e denaro; poi se n'andò a Siena, raccoltovi con grandissimi onori. Ma San Fiorenzo per disagio di viveri era obbligato ad arrendersi. Ciò non ostante la guerra andava lenta, ed i soldati della Repubblica per la contagiosa infermità, si erano in gran parte distrutti; onde lo Spinola si risolveva a fortificar meglio i luoghi occupati da lui, principalmente Calvi, San Fiorenzo e Bastia, e finalmente anche Corte di cui si era impadronito. Restava in mano dei Francesi Ajaccio fortificato e guernito in guisa che dura impresa sarebbe stata il vincerlo. Sorgeva quindi una guerra di piccoli incontri molto arrabbiata, nella quale quanto si osservò di più notabile fu che nissun Corso venne a porsi sotto l'insegne di Genova, ma tutti si erano accostati al Sampiero, e guidati ed incitati da lui ferocissimamente combattevano.

In questo mezzo non era stata oziosa la guerra in Piemonte, nè nelle Fiandre dove principalmente si combattevano le grossissime battaglie. A piè dell'Alpi i Francesi avevano preso di furto Vercelli, e pareva che in quella parte si andassero sempre avanzando, talmente che gl'imperiali erano al di sotto. Nondimeno, quanto a Vercelli, essendovisi salvata la fortezza, arrivò al soccorso don Francesco da Este, alla giunta del quale, non vedendo i Francesi modo di sostenersi in quell'acquisto, saccheggiata la terra, salvi se ne tornarono alle loro poste.

ma infelice, poco poi in questo medesimo anno era uscito di vita) avevano tenute molte pratiche con promessa di rendergli la maggior parte de' suoi stati e di dar per moglie al giovane principe, allora in età di venticinque anni, madama Margherita sorella del re.

Grave peso in ciò si addossava Emanuele Filiberto, perchè la superbia spagnuola ( ed erano fra gli Spagnuoli assai vecchi capitani di gran nome) non poteva tollerare che un giovane soldato, nato in estera terra, governasse l'esercito più grosso che allora avesse in piede la Spagna, ed avrebbergli imputata ogni disgrazia a fallo. Ma tali ombre assai presto disgombrava il piemontese principe, e colla virtù superò l' invidia: alto destino l'aspettava. Successe in Fiandra allora ciò che ai nostri tempi abbiamo veduto in Nizza, Emanuele Filiberto simile a Buonaparte, Buonaparte simile ad Emanuele Filiberto. Giovani ambedue, vinsero incontanente colla risoluta volontà e coll'energia del comandare la pervicacia dei vecchi, la superbia dei rinomati. Nacque bentosto l'ubbidienza precisa, e subito apparve alla puntualità delle mosse, alla precisione delle esecuzioni che un solo e forte e vivido pensiero indirizzava la numerosa oste spagnuola. L'esito poi dimostrò che mai governo di armi fu dato con più utile ed onore di chi il dava e di chi il riceveva, che questo.

Fu presa per assalto e per comandamento di Cesare abbruciata e spianata Terovana.

Il re, vedutosi aperta quella frontiera fortissima, metteva insieme le sue forze e mandava ambasciatori in Svizzera per levare di quella nazione almeno diecimila fanti. Intanto gl'imperiali pigliavano per forza, saccheggiavano e disfacevano Edino, dove fu morto, mentre combatteva valorosamente, Orazio Farnese da un colpo di moschetto che gli squarciò la spalla. Il re si ritirava verso le sue frontiere a San Quintino. Successero poscia fatti maravigliosi di guerra che saranno da noi a suo luogo raccontati con quella brevità che conviensi alle cose accadute fuori dell' Italia.

La ostinata guerra di Siena fu preceduta da Moriva in quest'anno, non senza sospetto una gravissima guerra in Fiandra. Cesare fra di veleno, Odoardo re d'Inghilterra in età di Tedeschi, Spagnuoli e Fiamminghi aveva mes- sedici anni. Fu assunta, per gli aggiramenti so insieme oltre cinquantamila combattenti, e del duca di Nortumbria, Giovanna Suffolca, si diffilava così grosso verso Terovana, forte nata per madre di stirpe reale, con pregiuditerra del re Enrico sulle frontiere di Piccar-zio di Maria ed Elisabetta sorelle di Odoardo. dia. L'imperatore diede la condotta di sì fiorita gente ad Emanuele Filiberto principe di Piemonte, figliuolo unico del duca Carlo, di cui aveva già sperimentato il valore nelle guerre di Germania ed in quelle stesse di Fiandra. Il suo intendimento era, oltre all' utile che ricavava dalla perizia di guerra del principe, di onorarlo e tenerlo contento, non ignorando che i Francesi e con esso lui e col duca suo padre (che dopo un regno lunghissimo,

Ma il popolo si sollevò e chiamò regina Maria, Giovanna mandata in carcere, il duca all'estremo supplizio. Per questa mutazione concepì il papa speranza che quel paese potesse ritornare alla fede cattolica ed all'obbedienza della Santa Sede. Mandovvi con commissioni secretissime il Commendone, che poi per la sua virtù fu creato cardinale. Ebbe segreto colloquio colla regina che si mostrò desiderosissima di far quanto il pontefice accennava.

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