Immagini della pagina
PDF
ePub

-

romana, o si fermarono a mettere in luce piccoli frammenti del grandioso edifizio, o pure - limitandosi al presente lasciarono affatto intatti i grandiosi ricordi del passato.

Ma quando, colla fondazione dell'Impero, l'età eroica o antica potè dirsi compiuta; quando Augusto ebbe ridonato pace e sicurezza a quell'antico organismo, ormai già vecchio e disfatto, dello Stato romano; allora fu possibile di effigiarne come in un quadro la splendida vita e di tramandarne la memoria all'ammirazione perenne delle età future. Il solo scrittore che riuscisse, posto com'egli era tra le due età, ad abbracciare il largo giro di quella storia e a ritrarne gli eventi con forma maestosa e venusta, pari a un tempo alla grandezza del passato e alle esigenze letterarie del secolo di Augusto, fu Tito Livio.

La storia, così ricca di notizie e d'eventi per altri scrittori di assai minor fama, fu quasi del tutto avara e muta con lui. Una data di Geronimo, un breve cenno di Seneca e di Quintiliano, e qualche parola gettata a caso dallo storico nei suoi libri, ecco le sole fonti a cui ci è dato di attinger notizie della sua vita. Secondo la prima di queste fonti, Tito Livio nacque in Padova nel 59 av. Cr., sotto il consolato di G. Giulio Cesare e M. Calpurnio Bibulo (4). Sebbene gravi dubbii sieno stati mossi dal Ritschl (5) intorno all'attendibilità delle notizie, sopratutto cronologiche, aggiunte da Geronimo alla cronaca di Eusebio e da lui attinte probabilmente all'opera di Suetonio intorno agli uomini illustri (6) ; e sebbene ad accrescere il dubbio intorno a questa data concorra anche il fatto, che essa è ricordata contemporaneamente da Geronimo quale anno natale di M. Valerio Messala il quale fu per fermo anteriore a Livio (7) —; pur tali dubbii non ci sembrano bastevoli per screditarla.

(4) Hieronym. ad Eus. chron.: « a. Abr. 1958 = 695/59: Messala Corvinus orator nascitur et T. Livius Patavinus scriptor historicus. Secondo la traduzione armena della medesima fonte, Livio sarebbe nato invece nell'ol.

180,

[blocks in formation]

(5) Cfr. Ritschl, Parerga, p. 609.

(6) Cfr. Mommsen, die Quellen der Chronik d. Hier., in Abh. d. sächs. Ges. d. W., 1, 669; Reifferscheid, Suetonio, p. 365, 380.

(7) Cfr. Teuffel, G. d. R. Litt., § 222, 1 e gli autori ivi citati.

La cosa, ad ogni modo, di cui non si può dubitare è che egli nascesse in Padova, a tempo di Augusto. La costante affermazione degli antichi scoliasti (8), e l'accusa di padovanità inflittagli da Asinio Pollione, non lasciano su tal riguardo luogo ad alcuna incertezza (9). Il Niebuhr notava, a conferma di ciò, nello stile di Livio il ricco colorito dei pittori Veneziani. Certo egli è che la patria, come forse lasciò una forte impronta sul suo stile, così non si allontanò mai dal suo cuore. E mentre, da un lato, egli ha cura di cominciare la sua storia col ricordo di Antenore, il fondatore di Padova (10), in cui onore si celebrarono ogni trent'anni, fino ai tempi più tardi dell'Impero, i cosiddetti ludi cetarii o giuochi di pescatori (11); d'altro canto, nel decimo libro (c. 10, 9), abbandonandosi ad una digressione per lui affatto insolita, si ferma con compiacenza a ricordare la vittoria, che riportarono i suoi concittadini - nel 453 U. c. /301 av. Cr. sul pirata lacedemone Cleonimo.

Padova, situata nella fertile vallata del Po e attraversata dal corso del Medoacus minor (oggi Bacchiglione), il quale, a quattordici miglia dalla città, sulla laguna veneta formava il porto Aedro o Medoacus, era sfuggita assieme alla Venezia, di cui poteva considerarsi come il capoluogo, tanto all'occupazione degli Etrusci (Liv. 5, 33, 9 e Polib. 2, 17), quanto all'invasione successiva dei Galli nell'Italia settentrionale. Costretta a vivere continuamente in guerra con essi e stimolata dal bisogno d'essere forte e potente, ella era

(8) Cfr. Sidonio Apollinare, Carm. II, 189: « volumina Patavina»; Simmaco, Epist. IV, 18: Patavinum scriptorem ; Asconio Pediano, ad Cornel. p. 68, 17 K.: Livius noster». Lo scoliasta Asconio Pediano, come è noto, era anch'egli nativo di Padova.

(9) Il solo scrittore, che si attentasse a revocare in dubbio tale notizia, fu G. A. Schmidt in una dissertazione stampata ad Altdorf nel 1867, p. 7 segg. Non sarà forse inutile ricordare, che Livio è imperfettamente denominato da Stazio, Silv. IV, 7, 55, Timavi alumnus », col nome cioè di un fiume, il quale scorreva a grande distanza da Padova, tra Aquileia e Trieste, cfr. Virg. 1, 242 e Claud. XXVIII, 197.

(10) Liv. 1, 1, 1-3; Virg. 1, 242; Pomp. Mela 2, 4, 2.

(11) Tac. Ann. XVI, 21: < Thrases Patavi, unde ortus erat, ludis cetastis a Troiano Antenore institutis habitu tragico cecinerat ».

riuscita assai di buon'ora a mettere in campo 120.000 combattenti (Strab. 5, 1, 7); e si era trovata, quasi senza saperlo, alleata di Roma contro il nemico comune. Il giorno in cui i Galli, padroni di Roma, posero l'assedio al Campidoglio, fu un'improvvisa invasione dei Veneti nel loro territorio che li decise, secondo Polibio 2, 18, a toglier l'assedio e a venire a patti col nemico già vinto. E quando più tardi Annibale, sfruttando l'odio inveterato dei Galli contro di Roma, si era di essi servito come di avanguardia contro l'impeto dei nemici, i Romani trovarono in Padova, tanto nella buona quanto nell'avversa fortuna, un'alleata costante e fedele (Polibio 2, 23). Di che essi la ripagarono non avaramente, concorrendo a sedare le discordie intestine, che minacciavano la pace interna della città (Liv. 41, 27, 3).

Poichè Padova era come un punto di fermata o uno scalo per le merci, che dall'Italia meridionale venivano trasmesse verso la settentrionale o anche più oltre, e poichè essa inviava in ogni parte del globo i prodotti speciali della sua industria, e sopratutto i suoi tappeti e le sue tuniche (Strabone 1. c.); le sue ricchezze si erano di tanto aumentate, che éssa numerava 500 cavalieri e poteva ben reggere al confronto di Gades, la città più ricca e notevole dell'impero romano. Vi era inoltre nelle sue vicinanze, a prescindere dall'oraculum Geryonis del quale ci restano ancora alcune tavolette sacre o sortes (cfr. Suet. Tib. 14 e C. I. L. I, 267; V, 1, 271) una sorgente di acqua calda, anch'oggi assai pregiata, che piglia il nome di bagni d'Abăno tico di Aponi fons o pure Aponus (12) -; dalla quale appunto si trova denominata, in Marziale, la regione che diede i natali a Tito Livio:

[ocr errors]

Censetur Apona Livio suo tellus (13).

e in an

Sebbene Padova avesse ammassate oramai immense ricchezze

(12) Il villaggio di Abano, nelle cui vicinanze sorgono le acque termali, dista oggi circa 10 km. da Padova.

(13) Mart. Epigr. 1, 61, 3; cfr. riguardo al costrutto, qui usato da Marziale, Plin. N. H. 34, 80 Naucides et immolante arietem censetur, cioè « è famoso anche per la statua del vittimario che immola l'ariete ».

e si fosse notevolmente accresciuta per il concorso dei forestieri, che venivano a ricercare il suo oracolo e le sue salutifere acque, pur essa conservò intatta sino ad età assai tarda l'antica purezza e severità dei suoi costumi (cfr. Plin. Ep. 1, 14, 6; Mart. Ep. 11, 61, 8; Macr. 1, 11, 22), e contribuì non poco allo svolgimento della coscienza morale di Livio, il quale ne fu certamente indotto a mettere in luce più viva la corruzione dei costumi, trionfante sfacciatamente in Roma.

Non è nota nè l'occasione nè l'anno in cui egli vi entrò la prima volta. Attiratovi forse dal bisogno di conoscere più da vicino le persone e i luoghi, che formavano come il teatro principale della sua storia, egli si sentì attratto nell'òrbita dell'amicizia di Augusto, senza forse averla nè desiderata nè ambìta. Certo egli è che, se non la respinse da sè con disdegno, non fece d'altra parte nulla per conservarla. E contemporaneo di Orazio e di Virgilio, i quali non lasciarono occasione per inneggiare ad Augusto e collocarlo tra gli dèi, egli conservò intatto il suo animo e la sua penna da quell'adulazione, che era diventata come la veste ufficiale della letteratura del tempo.

-

Discendente da una ricca e nobile famiglia Padovana, Livio portava con sè un largo tesoro di ideali e di memorie, a cui seppe restar fedele in tutto il corso della vita operosissima. Negli anni della sua fanciullezza, era a lui giunta l'eco delle lotte e delle vittorie, le quali aprirono a Cesare la via delle Gallie e prepararono il passaggio del Rubicone. E, forse, sul suo animo sensibile di fanciullo aveva destato una fortissima impressione la voce di quell' amico di casa, il quale nel giorno della battaglia di Farsàlo, osservando il volo degli uccelli, in preda ad un fatidico furore aveva esclamato: "tu vinci, o Cesare, (Plut. Ces. 47). Quando fu più innanzi negli anni, non solo sentì, ma vide alle porte di Padova gli orrori e le crudeltà delle guerre civili, le quali seguirono alla morte di Cesare e terminarono ad Azzio. In mezzo a quella confusione generale di uomini e di idee, tra cui disparvero gli ideali gloriosi della repubblica, i Padovani si attaccarono al partito del Senato, e cercarono di difenderlo con tutte le loro forze (cfr. Cic. Phil. 12, 4,10). Tito Livio, il quale si destava allora

per la prima volta alla coscienza della vita pubblica, si consacrò a quegli ideali già distrutti per sempre, se non col sacrifizio ormai inutile della vita, con tutto lo splendore del suo ingegno e la sincerità del suo cuore.

La sua Storia, se non fu una satira del nuovo Impero, fu però un elogio costante dell'antica Repubblica, del governo libero e dell'onestà dei costumi. Nè l'amicizia del Principe gli fu mai velo tra il vero e l'intelletto. Considerò il Governo monarchico come intollerabile per Roma (14); previde la fine di questa nella fine della libertà (15); sferzò a sangue quella smania immoderata di lusso e di giuochi, che avrebbe condotto fatalmente a rovina l'Impero; lodò Bruto e Cassio; sostenne le parti di Pompeo (Tac. Ann. 14, 34); e osò affermare del gran Cesare, che restava ognora dubbio intorno a lui se fosse stato più utile o nocivo alla Patria (Sen. N. Q. 5, 18, 4). Nè mentì innanzi alla sua coscienza di Storico sincero, quando delineando il carattere di Cicerone - uno dei principali istigatori ed autori della morte di Cesare (Phil. 2, 11, 25) —, scrisse dell'Arpinate che egli fu trattato dai sicarii di Antonio così come avrebbe trattati i suoi proprii nemici (Sen., Suas. 7). Nominò appena Augusto nella sua Storia: due volte per segnare una data, un'altra volta per provare un fatto (16). Nè gli si darà la taccia di adulatore, se con risentimento ispirato dal più vivo patriottismo di fronte al greco Timagene detrattore, sebbene ospite, di Ottaviano

-

[ocr errors]

di affermare che Augusto, ridonando la pace all'Impero e se

(14) Cfr. 44, 24, 2: natura inimica inter se esse liberam civitatem et regem ». La sua però fu una libertà illuminata, che senza trascendere a licenza demagogica s'informò ognora al rispetto vivo e costante delle leggi, cfr. 5, 6, 17: ea demum Romae libertas est non senatum, non magistratus, non leges, non mores maiorum, non instituta patrum, non disciplinam vereri militiae; 24, 25, 8: haec natura multitudinis est: aut servit humiliter aut superbe dominatur; libertatem, quae media est, nec sumere modice nec habere sciunt ; 42, 30, 1: in liberis gentibus populisque plebs ubique omnis ferme, ut solet, deterioris erat ».

(15) Liv. 2, 15, 3: eam esse voluntatem omnium, ut, qui libertati erit in illa urbe finis, idem urbi sit »; sentenza codesta che fu comune non meno a Livio che a Trasea Peto, altro suo nobilissimo concittadino, il quale immolò ad essa la propria vita, cfr. Dione Cassio 62, 26:

(16) Liv. 1, 19, 3; 4, 20, 7; 28, 12, 12.

« IndietroContinua »