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sinistra alla fine del palco ha a essere uno monte, in sul quale sia uno bosco con uno arbore grande, dove arà apparire una fonte d'acqua a modo di pozo, quando sarà il tempo. »

Tranne alcuni casi (quando gli argomenti come l'Annunziazione, la Natività, la Passione, in certo modo la richiedevano, o la consentivano, essendo i loro limiti ben determinati) all'unità di azione si sostituì quella, ch'è stata chiamata unità biografica. E se ne comprende la ragione, se si considera che gli autori di rappresentazioni sacre, in sostanza, non facevano se non porre in dialogo un racconto, adattandolo alla meglio alla recitazione. D'ordinario traevano la materia dall'antico e dal nuovo Testamento, dalle leggende e vite di santi; talvolta da racconti popolari. Uliva, Guglielma, Stella, prima di esser credute e chiamate sante, prima di diventar protagoniste di drammi sacri, avevan ciascuna riprodotto, sotto diversi nomi, ma con poca diversità di particolari, il tipo della innocente perseguitata, popolarissimo nel Medio Evo, celebrato da poemi, da romanzi e da novelle. La materia di alcune rappresentazioni, come il Barlaam e Josafat, (è noto, Josaphat e il Buddha sono una persona sola) e l'Imperator superbo, deriva da leggende orientali, penetrate in occidente passando di traduzione in traduzione. La maggior fatica la richiedevano i versi: l'ordito e il ripieno si avevan belli e pronti; solo di tanto in tanto capitava di dover sopprimere qualche episodio di poca importanza, o qualche particolare. А росо а росо e non ci volle gran tempo - si venne determinando un modello unico, al quale bastava attenersi, o, piuttosto, la tradizione, il costume, imponevano che lo scrittore si attenesse : al modo stesso, in Francia, una moule comune servì a gran numero di Chansons de geste. Di qui la uniformità dell' anda

mento e della tela, l'identità de' personaggi in composizioni diverse; di qui l'incontro degli stessi versi e delle stesse ottave in parecchie di esse.

Da quanto precede, agevolmente si ricava che alle rappresentazioni sacre mancarono i due principali elementi del dramma, caratteri ben determinati e analizzati, lotta di sentimenti e di passioni. I personaggi furono tipi anzichè caratteri, raffigurati sempre allo stesso modo. Lasciando da parte i soprannaturali Dio, che rarissime volte appare, Gesù, Maria, gli angeli, che spessissimo ricordano Iride e Mercurio, messaggeri, nunzi della volontà degli Dei dell'Olimpo, que' santi, martiri, romiti; que' re, imperatori, prefetti; que' siniscalchi, osti, banditori, cavallari, birri, oltre al riprodurre costantemente le stesse parvenze esteriori, non sono persone. Parlano, dissertano, predicano più spesso e volentieri che non operino, e, quando operano, di rado lo fanno per propria iniziativa: la grazia divina, il comando venuto dal cielo, il miracolo uccidono la loro personalità. Le conversioni, che pure si presterebbero ad analisi interessante, si compiono con rapidità fulminea. Analisi? Nou se ne parli nemmeno! Quanta poesia potrebbe scaturire dal contrasto tra la religione e gli affetti umani! Ma gli affetti sono inesorabilmente e tranquillamente sacrificati, non appena il sentimento religioso fa udir la sua voce. Abramo, ricevuto il comando di uccidere il figlio, subito si dispone a ubbidire, accennando appena alle promesse, che gli erano state fatte da Dio. Isacco si duole bensì di morire, ma facilmente si rassegna, saputo che la sua morte piace al Signore. Il giovane risoluto a farsi monaco afferma provar dolore di abbandonare i genitori, ma il suo dolore è una parola; più tardi apprende che sarà dannato, non se ne accora punto; contento Dio, contento lui. Josafat ascolta una brevissima espo

sizione delle credenze cristiane e si converte; il padre lo prega e lo minaccia, belle fanciulle vanno a tentarlo ed egli, a minacce, preghiere, tentazioni, oppone la sola indifferenza. Nemmeno Lorenzo de' Medici riusci a delineare un vero carattere; la sua mente di acuto politico si rivela nelle considerazioni di Costantino su' doveri del principe, di Giuliano sul bisogno di tener alto il principio d'autorità, di Costanza sull' utilità di prometter lungo e attender corto; ma sono massime astratte. Forse l'unico tratto vero è l'apparente buona accoglienza fatta da Costantino alle parole, con cui l'orgoglioso Gallicano gli chiede la mano di Costanza; il mostrarsi desideroso di contentare il vittorioso duce e l'esclamare immediatamente dopo: « O superbia inaudita! o arroganza! » e il domandarsi:

Che farò? darò io ad un suggetto

La bella figlia mia, che m'è si cara?
S'ei non la do, in gran pericol metto
Lo stato; e chi è quel che ci ripara?

Fra tutti, il meglio espresso mi pare l'affetto materno: il linguaggio della madre del monaco, quello di Sara, è semplice, schietto, efficace; Maria, nella Passione del Castellani, si esprime, a quando a quando, con la tenerezza commovente, che dal Vangelo era passata, senza troppo sciuparsi, ne' tentativi drammatici dell'Umbria.

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Senonchè sarebbe ingiustizia condannare la povertà delle rappresentazioni, a nome dell'arte, essendo esse principalmente dirette a scopo religioso e morale. Bene, al solito, l'ha notato il D'Ancona: « entrando laddove si recitavano questi drammi, il cristiano, e specialmente l'adolescente, vi accedeva con sentimento misto di curiosità e di devozione; vi s'intratteneva trovandovi pascolo agli orecchi e agli occhi, e insieme

all'intelletto e all'anima; e uscendone dappoi, per mezzo del diletto e con l'aiuto di forme sensibili trovavasi avvalorato nella conoscenza dei misteri della religione; stava dunque in lui il trarre « buon frutto »> e « buon costrutto » da tali ricreazioni. Gli episodi piacevoli erano quasi un riposo all'animo commosso da' religiosi terrori, e ne temperavano la forza e la serietà; ma l'impressione generale ed ultima era profondamente devota e morale: ond'è che le ragioni di questa forma drammatica si confondono con quelle più alte e diverse del culto e della fede ». 1

III

Le rappresentazioni di altre parti d'Italia furono imitazione delle fiorentine, ovvero continuazione del dramma religioso dell'Umbria? Alla prima opinione si attiene il D'Ancona. A provarla si può ricordare che, nel 1475, i fiorentini dettero, in Milano, lo spettacolo della Resurrezione del figliuol di Dio; che Alfonso il Magnanimo mandò in Toscana a studiare il modo di celebrare i giuochi Cristiani e, dopo, riformò ed abbelli quelli già usati nel Regno. Però le notizie degli spettacoli religiosi usati a Ferrara nel secolo XV richiamano a mente, piuttosto che le rappresentazioni fiorentine, le laude e devozioni umbre; delle quali erano «< continuazione ampliata, » a giudizio del D'Ancona medesimo, gli spettacoli perugini già mentovati. Comunque, sinchè non verranno fuori de' testi e saremo obbligati a contentarci degli aridi cenni dei cronisti, dovremo ammettere che, fuori della Toscana, non at

1 Op. cit. II, p. 119.

tecchisse la vera Rappresentazione, « mista di sacro e di profano, di liturgico e di comico, di personaggi biblici ed evangelici con caratteri plebei e moderni » in lingua volgare.

Bisogna fare un'eccezione pel Napoletano, e, in particolare, per la città di Aversa, dove, durante il secolo XVI, furon recitate composizioni d'argomento sacro, le quali s'han da ricongiungere con le forme drammatiche umbre, anzichè con le toscane. Nelle laude e devozioni abruzzesi si trova, dirò col Monaci, cronologicamente e topograficamente quasi l'anello di congiunzione tra le rappresentazioni umbre e i successivi esplicamenti del genere nel Napoletano. Inoltre, le rappresentazioni napoletane conosciute sinora - cioè le aversane e le Farse spirituali, di cui lasciò ricordo il Napoli-Signorelli, invece dell' ottava, propria del teatro sacro toscano, usarono costantemente la terza rima, da' rimatori napoletani del Quattrocento proferita a ogni altro metro anche per temi politici e morali. Solo una farsa spirituale su la Passione era in sesta rima, come l'antico Pianto delle Marie. Ancora, le rappresentazioni napoletane rarissime volte son precedute dall'annunziazione, la quale, quando c'è, non è fatta da un angiolo: poche volte si chiudono con la licenza, che, del resto, non manca alla devozione umbra del venerdí santo.

Il Napoli-Signorelli faceva risalire le Farse spirituali al tempo degli ultimi re angioini, ma ignoriamo su che fondasse l'opinione sua: noi possiamo, senza gravi difficoltà, far risalire le Opere aversane (così eran chiamate) alla fine del Quattrocento, benchè i manoscritti appartengano al Cinquecento. L'Opus Creationis Adae et Evae fuit recitatum in templo Divae Marie Annunciate in anno 1545; ma l'autore di essa e di altre quattordici, Luca Ciarrafello, era morto sin dal 1511.

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