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tra la fine di luglio e il principio d'agosto, sostenendo che proprio allora il Pindemonte parlò all'amico dei

<< Scriveva da Verona, il 28 luglio 1806, Ippolito al suo vecchio amico Bettinelli:

<< Anche Foscolo, che mi recò i vostri saluti, mi disse che la piaghetta non è ancora affatto rimarginata ». Qui, come è chiaro, si allude alla visita che nel giugno aveva fatta al Pindemonte il Foscolo di ritorno da Venezia. E della seconda visita, quella che era avvenuta il 23 di luglio, noi troviamo ricordo nelle seguenti parole che il Pindemonte scriveva ai 4 d'agosto: « Foscolo mi parla molto di voi in una lettera che scritto mi ha da Milano. Dovette fermarsi un giorno in Desenzano per esserglisi rotto il legno, e intanto si occupò nell'esaminare il primo tomo della nuova Crusca del P. Cesari, del qual tomo mi pare esser rimasto assai soddisfatto. Parlami anche d'una satira ch'egli dice di volere indirizzarmi ».

<< È questo, come ognun vede, un assai fedele riassunto della graziosissima lettera, che otto giorni innanzi il Foscolo aveva da Milano scritta all'amico, lagnandosi della infelice riuscita della sua corsa a Verona. Ora se Ugo avesse nei giorni scorsi fra il 26 di luglio ed il 4 del seguente mese trovato il tempo di ritornare in quella città per uno o più giorni, come si pretende, con qual fronte si potrà credere che il Pindemonte, scrivendo al Bettinelli appena avvenuta la di lui partenza, invece di dar conto all'amico di Mantova delle conversazioni, certo lunghe ed importanti avute col Foscolo, stesse pago a trasmettergli il sunto di una lettera ricevuta otto giorni prima? La assurdità di una ipotesi siffatta è troppo di per se stessa palese perchè io spenda più oltre parola a rilevarla. Ma se la terza visita non ebbe luogo sugli ultimi di luglio o sui primi d'agosto potrebbe essersi effettuata dopo il 4 di questo mese, obbietterà forse qualcuno. Rispondiamo che anche questa supposizione è insostenibile: infatti l'11 il Pindemonte riscrivendo al Bettinelli così rispondeva a certe interrogazioni fattegli sul Foscolo: << Di Foscolo non sapea ciò ch'io dovessi dirvi, conoscendolo voi di persona ed avendo lette le opere sue in verso e in prosa. Certo è ingegno grande, benchè bizzarro, ma bizzarri appunto sono il più delle volte gl'ingegni grandi ».

<< E neppur qui una parola che accenni ad una recentissima visita fattagli dal Foscolo. Se questa fosse avvenuta è credibile che il Pindemonte ne avesse anche questa volta taciuto? »

suoi sciolti sul tema de' sepolcri, gliene recitò, o gliene lesse de' brani. Al colloquio, secondo lui, dovette esser presente Isabella Albrizzi. 1 A lei, il 6 settembre, Ugo annunziò da Milano: « Io aveva già una Epistola sui sepolcri da stamparsi lindamente - non bella forse, non elegante, ma ch'io avrei certamente recitata con tutto l'ardore dell'anima mia, e che voi, donna gentile, avreste ascoltato forse lagrimando. Io la intitolo al cavaliere ricordandomi de' suoi lamenti e de' vostri: e per fare ammenda del mio sdegno un po' troppo politico ». Prendiamone nota: se Ugo si propose di scrivere il Carme soltanto dopo che Ippolito gli ebbe fatto sentire il proprio lavoro, cioè ai primi di agosto, un mese, o poco più, gli bastò a comporlo. Almeno, il 6 settembre il Carme doveva trovarsi a buon punto.

Sembra provato, da quanto precede, che le conversazioni col Pindemonte e con l'Albrizzi stimolarono il Foscolo a cantare i sepolcri. Di ciò non si contenta l'autore della V. St. Quello che egli chiama rifaci

1 In una lettera del FoscoLo all'Albrizzi (27 dicembre 1806) si legge: «Ricordate voi più la questione nostra su' sepolcri domestici io ho fatto in quel giorno il filosofo indifferente; e me ne sono pentito; ho diretto un' epistola al cavaliere un po' trista forse come il soggetto; ma parmi d'aver osservato che i muscoli del mio volto si muovono difficilmente al riso; pure il riso e il sorriso aggiungono qualche cosa alla brevità di questa mia vita mortale ma s'io non rido è più colpa della natura che mia; onde ho cantati i sepolcri, e ho tentato di fare la corte alle opinioni, al cuore ed allo stile d'Ippolito. Ve li manderò fra non molto stampati con tutte le lascivie Bodoniane ». Tra parentesi, fare la corte non significa punto rubare, come l'a, della V. St. traduce con troppa libertà. Probabilmente, tra il luglio e l'agosto del 1806, l'Albrizzi andò alla sua villa del Terraglio presso Treviso; un viale di essa era chiamato l'Ippolita, e il Pindemonte vi fece allusione, in una lettera alla nobil donna, il 28 luglio: « Quanto ai Cimiteri vedo che l'Ippolita vi ha suggerito de' pensieri a me favorevoli ecc. »>

mento dei Cimiteri in verso sciolto contiene concetti, immagini, frasi simili a concetti, immagini e frasi dei Sepolcri del Foscolo; perciò egli afferma: Il Foscolo « ebbe dinanzi a sè» il primo rifacimento dei Cimiteri; salvo a modificare l'asserzione poche pagine più in là, avvertendo: « Il Foscolo non ebbe, supponiamo almeno, dinanzi agli occhi il manoscritto del Veronese; da lui udi solo la lettura (e, forse, non una volta sola) dei suoi primi Sepolcri. Dotato di una memoria portentosa... potè afferrare e ritenere più concetti dal Pindemonte espressi ne' suoi versi ». 1

È possibile; ma non sarà certo, sino a quando, a chieder poco, non sarà dimostrato con fatti e con documenti, che gli sciolti del Pindemonte, a' primi di agosto, fossero già tanto innanzi, da poter esser letti o uditi dal Foscolo. Il 14 luglio, si ricordi, il rifacimento non era cominciato ancora; il 28 luglio il poeta parlava ancora dei Cimiteri, e, a quanto pare, aveva bisogno dei consigli, degl'incoraggiamenti dell'Albrizzi per continuarli, giacchè quel giorno si sfogava così con lei: « Quel sentire a dir sempre il soggetto è troppo triste, troppo uniforme, e cose simili, ammazza la fantasia ». E, il 25 agosto, doveva scrivere alla stessa signora: «Ho fatto qualche cosa; ma non so ancora se qualche cosa sia quel che ho fatto!» Ciò non ostante ammetteremo noi che il rifacimento, in quindici o venti giorni, dalla metà di luglio ai primi d'agosto, fosse giunto, poniamo, ai versi 209-215:

Così eletta dimora, e sì pietosa
L'Anglo talvolta . . .

Alle più amate ceneri destina

Nelle sue tanto celebrate ville;

1 V. pp. 246 e 251.

o ai versi 307-308:

Nè già conforto sol, ma scuola ai vivi
I monumenti son di chi disparve,

i quali ognun vede quanto somiglino ad alcuni del Foscolo? Che, in quindici o venti giorni, fosse stato condotto tanto innanzi, da averne potuto il Foscolo ritenere, a memoria (dopo una o due letture), una settantina di versi, non seguìti, ma sparsi qua e là?

Al ragionamento dell'autore della V. St. manca finora, a parer mio, ciò che importerebbe di più — la prova sicura, inoppugnabile, che gli sciolti del Pindemonte, ai primi d'agosto del 1806 si trovassero in istato da essere uditi dal Foscolo. Si noti: proprio su questo punto della sua trattazione egli non si ferma, nemmeno con le argomentazioni sottili, di cui fa uso spessissimo. Mancano i dati di fatto: sinchè egli rimarrà nel campo degl'indizi, delle supposizioni, delle induzioni, si avrà ragione di opporgli: Può essere; ma non è certo.

A lui sembra la dimostrazione dell'assunto debba principalmente derivare dal confronto degli sciolti del veronese con quelli di Ugo. Senza dubbio, data la priorità di quelli, Ugo li ha imitati in più luoghi; ma codesta priorità, appunto, se ho ben letto, rimane tuttora dubbia. Messo poi su lo sdrucciolo, giunge persino a negare che i Cimiteri fossero noti al Foscolo. Pure, egli stesso osserva che i versi:

Vergine forse a cui beltà fioriva

Pura e celeste per le membra intatte,
Nella faccia ancor lubrica e lasciva
Della più infame Taide s'abatte,

analoghi, se non addirittura simili al « ricordo che il Foscolo fa del Parini », non hanno riscontro negli

sciolti del Pindemonte. E, 'continua, il Foscolo non scrisse:

forse l'ossa

Col mozzo capo gl'insanguina il ladro,
Che lasciò sul patibolo i delitti,

ispirandosi ai due versi dei Cimiteri:

Credi tu che or la mia mano innocente
Dall'omicida man tocca si sente?;

invece, l'idea delle ossa del Parini insanguinate dal capo del ladro, dovette trarla dalla frase del rifacimento pindemontiano: Indistinte son le fosse fra loro! Ma, questa, che ci ha a vedere? E nei Cimiteri non si leggeva pure: Questo corpo con quel giace indistinto? L'idea, così egli prosegue, potè « esser suggerita dal Pindemonte stesso nel conversare che fecero insieme su questo soggetto »; oppure, « e ciò è ancora più probabile », nacque nella mente dei due poeti « senza che l'uno ne avesse quasi contezza dall'altro », trattandosi qui « d'una somiglianza di concetti assai facile ad accadere tra poeti che trattano lo stesso argomento ». Curioso quel quasi! Ma le due ultime ragioni spiegherebbero da sole tante analogie e somiglianze!

Confesserò, a proposito, che non tutte mi paiono somiglianze reali quelle, che si son volute vedere tra il rifacimento del Pindemonte e il Carme del Foscolo. Il ricordo delle antichissime usanze funebri, 1 quello

1

Dal di che nozze e tribunali ed are
Dier alle umane belve esser pietose
Di sè stesse e d'altrui, toglieano i vivi
All'etere maligno ed alle fere

I miserandi avanzi che Natura

Con veci eterne a sensi altri destina...

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