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glio 1347-è indicato da un manoscritto del secolo XIV, 1 e la data parrà esatta, sol che si ricordino alcune altre circostanze. Il tribuno voleva sottomettere Giovanni di Vico prefetto di Viterbo, che gli aveva negato ubbidienza. Prima lo privò « in pubblico parlamento de la sua dignitate »; 2 poi gli mandò contro Cola Orsino con buon nerbo di truppe. 3 Perdurando il prefetto a resistere, Cola risolse andare in persona a procurar di domarlo. << Quando 'l Prefetto questo sentio, incontanente pensò d'obbedire. » 4 Il 16 luglio cominciarono le trattative; il 22 tornò a Roma l'esercito, accolto con grandi feste. 5 Ora, i Romani mossero contro il prefetto non prima della seconda quindicina di giugno, e s'impadronirono di Vetralla il giorno

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come a voi piacerà, facendo questo servizio prima a Dio. E potrassi ben dire di voi quella parola che scrive Matteo: merces vestra copiosa est apud Deum; e giustamente, perchè aiuterete a servare quella santissima città sua, comune patria, legittimo ovile, fondamento della fede cristiana, gente sana, popolo da acquistare, lo quale Iddio in eredità se lo elesse, ecc. » RE, Vita di Cola, ediz. di Forlì, vol. II, pp. 382-85; di Firenze, 323-24.

1 Laurenziano, 38 Pl. 42.

2 Vita, cap. XV.

3 Ivi, cap. XVI; cfr. PAPENCORDT, pp. 116 seg.

4 Vita, cap. XVI.

5 V. il trattato di Cola con Giovanni di Vico (Dat. in capitolio XVI Julii), nel PAPENCORDT, doc. V, p. 343.

6 Infatti il 24 giugno Cola andò a San Giovanni in Laterano con grande apparato e « la prima gente che venisse fu una milizia di gente armata da cavallo, adornata e bella, la quale dovea ire a ponere il campo sopra 'l Prefetto » Vita, cap. XIII. D'altro lato sappiamo che all'assedio della rocca di Vetralla « exercitus permansit XXVII dies ». V. lettera di Cochetus de Cochetis in PAPENCORDT, doc. IX, p. 368, dov'è anche raccontato: « In recessu ad urbem dicti Capitanei cum militia in festo Sancte Marie Magdalene (22 luglio) recepit idem Nicolaus (Orsini) maximum onorem, veniendo Romani in genere cum olivis in manibus, et per urbem usque ad Capitolium facti fuerunt arcus jocalium et pannorum pro honore ipsius ».

che vi giunsero; però dovettero assediare la rocca, molto forte: in quel mezzo Cola ricorse a Firenze per aiuti. 1 La data del due luglio, per conseguenza, è probabilmente esatta, tanto più se si bada che gli ambasciatori romani passarono da Firenze a Siena per lo stesso motivo, e Siena mandò cinquanta cavalieri a Roma il 22 luglio. 2 Il Baroncelli parti da Roma agli ultimi di giugno, quando Cola, come ho mostrato, doveva aver già ricevuto l'hortatoria e la canzone. Perciò non occorreva « che il tribuno avesse agio di mandare un corriere a Firenze con la canzone per il Baroncelli, e che questo corriere giungesse proprio a tempo perchè il Baroncelli potesse cogliere dal Petrarca i fioretti di bello stile per consolarne i priori di Firenze ». 3 La scelta del Baroncelli ad ambasciatore mostra che il tribuno riponeva fiducia in lui, perciò non era nemmeno necessario che la canzone fosse sparsa perchè gliene giungesse notizia: bastava che Cola gliela desse a leggere. Uomo di poca scienza, quale ce lo descrive Matteo Villani, non gli parve vero di rubare al Petrarca parecchie frasi ed immagini per abbellirne la sua diceria. E, forse, anche codesta fatica gli fu risparmiata, se la diceria fu composta da Cola, come suppongono concordemente il Re ed il Betti, per tutto il resto avversari. 4 Se la canzone fosse già

1 << Et ordinò oste contra il prefetto et alla città di Viterbo, che non lo ubbidiva.... E poi ci mandò cinque solenni ambasciadori, gloriando se e poi il nostro comune; e come la nostra città era figliuola di Roma e fondata et edificata dal popolo di Roma; e richiesene d'aiuto alla sua oste. A'quali ambasciatori fu fatto grande onore; e mandati a Roma cento cavalieri, e profferto maggiore quantità, quando bisognasse ». G. VILLANI, lib. XII.

2 PAPENCORDT, P., 117.

3 CARDUCCI, Saggio, p. 47.

4 RE, Nuove osserv., p. 15. BETTI, Esposiz., p. 13.

stata conosciuta a Firenze, con qual faccia l'ambasciatore l'avrebbe saccheggiata senza nominare il Petrarca, senza neppur fare una lontana allusione a lui? Appunto perchè non era ancora diffusa, gli era permesso far passare per roba propria la roba d'altri. Il Re domandava: « Sarebbe stato opportuno divisamento che il Baroncelli, ovvero Cola stesso, il quale probabilmente scrisse per lui l'orazione, vi avesse inserito quelle sentenze, quelle parole e que' versi, con cui era lodato un nemico del Tribuno, ed uno di que' nobili baroni, contro i quali l'oratore declamava?» 1 Nessuno ha risposto a questa osservazione. Io vi aggiungo un corollario: se quelle sentenze, quelle parole, que' versi, fossero stati rivolti a un altro, molto prima del 1347, il Baroncelli e Cola si sarebbero essi lasciati sfuggir l'occasione di notare che il liberatore di Roma vaticinato dal poeta era, alla fine, apparso? Che il poeta aveva potuto ingannarsi nell'indicare la persona, ma aveva pur fatto una profezia, destinata a verificarsi, come provavano gli ultimi avvenimenti?

Ma è autentica l'orazione attribuita al Baroncelli? Se non fosse, tanto meglio per la mia tesi. Però non mi hanno abbastanza persuaso le ragioni addotte a dimostrarla apocrifa. Primo il D'Ancona sospettò << fosse un documento apocrifo, da non doversi citare nè pro nè contro », una « esercitazione rettorica di età posteriore » 2 Più tardi, il Bartoli, confermò i dubbi del D'Ancona. L'orazione del Baroncelli e quelle di Pandolfo de' Franchi, altro ambasciatore di Cola, sono in italiano, mentre la lingua ufficiale, alla metà del secolo XIV, era il latino; tanto ciò è vero,

1 Nuove osserv., p. 15.

2 Studi, p. 82.

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che Cola, i Fiorentini e lo stesso Baroncelli scrivono in latino. << Nè si può ammettere che le dicerie del codice laurenziano sieno traduzioni, perchè bisognerebbe in tal caso ammettere che il Baroncelli avesse prima voltate in latino le frasi del Petrarca; e che il traduttore si fosse presa la cura di ritrovare le parole originali della Canzone per inserirle nella sua versione ». Poi, il Baroncelli dice che è stata fatta « una nobilissima militia de' nostri cittadini in numero di cinquecento, et davanti che passi il mese saranno mille », mentre il Franchi afferma che « sarebbero dentro l'agosto cresciuti a più di ottocento ». 1 — Tralascio altri appunti di minore importanza. Al D'Ancona si potrebbe rispondere che, per esercitazione rettorica, quella diceria è molto scarna, molto secca, corre troppo direttamente allo scopo. E al Bartoli: che uomini di poche lettere, quali erano il Baroncelli e il Franchi, parlando alla buona a persone di non grande cultura, potettero servirsi dell'italiano anzichè del latino; che, se il latino era la lingua ufficiale delle cancellerie, non era, perciò solo, quella degli ambasciatori; che, se pure il latino era la lingua ufficiale delle ambascerie, la regola ben poteva soffrire eccezioni; 2 che, se il traduttore si fosse presa la briga di ricercare le parole originali della canzone per inserirle nella sua versione, ve le avrebbe inserite senza togliere o aggiungere, e, invece,

1 BARTOLI, Storia della Lett. ital., vol. VII, pp. 132-34.

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༥ Il Bartoli obbiettò che la lingua officiale era la latina; ciò ch'è giustissimo, ma non così assolutamente: si scrivevano in volgare alcune petizioni, le istruzioni agli ambasciatori; si scrivevano in volgare o si volgarizzavano i tanti trattati retorici che porgevano i modelli di codeste dicerie. Per chi, domando, se alcuno non se ne fosse servito? » S. MORPURGO, recensione di questo scritto nella Rivista Crit. della Lett. it., anno II, n. 3.

nel testo della diceria si trovano in buona parte parafrasati i versi del Petrarca; che la contraddizione tra il Baroncelli e il Franchi sarebbe lievissima e facilmente spiegabile, ma io temo che il Bartoli abbia confuso insieme due cose diverse, perchè nel mese di luglio dovevan raggiungere il migliaio i 500 Romani della milizia a cavallo, nel mese di agosto si dovevan aggiungere ad essi 800 mercenari. 1 Checchè ne sia, se l'orazione attribuita al Baroncelli fu composta molti anni dopo il 1347, come spiegare la conoscenza precisa de' fatti di quell'anno, che l'ignoto autore vi dimostra? Sapeva precisamente quando il Baroncelli parlò, e la data non la trovava ne' cronisti fiorentini, eppure, l'ho già provato, si deve ritener esatta quella del 2 luglio; sapeva a menadito la biografia del tribuno e i suoi intendimenti; 2 sapeva i nomi degli ambasciatori, che Giovanni Villani e il biografo di Cola tacciono; sapeva lo scopo della loro andata a Firenze.

Ma sia pure apocrifa la diceria: tanto meglio, ripeto. La questione del tempo, che ci volle perchè l'hortatoria e la canzone venissero da Avignone a Roma, diventa vana; mentre non perde valore il fatto che uno Iscrittore del secolo XV, tanto bene informato delle vicende di Cola, si giovasse, per la sua esercitazione rettorica, proprio della canzone Spirto gentil, senza dubitar punto che essa non fosse stata diretta al tribuno, senza alludere ad altro personaggio. E si che,

1 PAPENCORDг, p. 116.

2 Per esempio, dice che i fatti degl'illustri Romani antichi, Cola <«< ha tutti bene a memoria ed ebbe dal principio di sua gioventù ». Dice che Cola considerava il suo innalzamento come « opera dello Spirito Santo, della grazia del quale esso manifestamente era ed è pieno >>. Cola si credeva davvero animato e diretto dallo Spirito Santo: egli stesso lo scrisse più volte. V. PAPENCORDT, Documenti, pp. 355, 358, 443, ecc.

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