Immagini della pagina
PDF
ePub

I

Il dramma religioso, nel Medio Evo, fu naturale e graduale svolgimento di germi contenuti nella liturgia, con la quale rimase strettamente legato finchè, compostosi ad organismo indipendente, abbandonato l'uso del latino, si staccò dalle cerimonie ecclesiastiche ed uscì dalle chiese. In Italia questo mutamento si compi per l'azione di cause, e in mezzo a circostanze singolarissime.

Quando, tra le popolazioni dell'Umbria, - commosse alla voce di Raniero Fasani (1258) che, rivestito di sacco, cinto di fune, con una disciplina in mano, percorreva le vie incitando, con la parola e con l'esempio, alla penitenza, -si formarono le compagnie de' Disciplinati, e queste presero a vagare per città e per campagne, frustandosi a sangue in memoria della passione di Cristo e per implorare l'aiuto divino; tacquero omnia musica instrumenta et amatoria cantilenae: sola, scrisse il Monaco padovano, cantio penitentium lugubris audiebatur ubique. Quelle rozze composizioni, ingenua, ma vigorosa espressione del sentimento delle turbe, che le cantavano dum se verberando incedebant, assunsero nome di Laude ed ebbero dapprima indole e forma lirica. Forse sin dal principio il canto, secondo l'occasione, era alternato tra due o più schiere di devoti:

ben presto, quando l'argomento lo comportava, fu naturale mutarlo di narrativo in dialogico e distribuirlo tra personaggi, anzichè seguitare nella primitiva alternazione delle strofe da gruppo a gruppo di cantori. 1 Nacquero così le Laude drammatiche. Per recitarle, i Disciplinati ebbero cura di provvedersi di vesti e di attrezzi, come quelli di cui troviamo menzione nell'inventario delle confraternite perugine di S. Domenico e dell'Annunziata: una vesta nera da Madonna, doie barbe de pelo l'una biancaccia e l'altra nera, doie paia d'ale fornite d' Angnole, una tonacella per Cristo, la cacioppa chollo velo e la faccia del Demonio, una soma de paglia e le bestie (per la notte di Natale), la cordella della Palomba, la capellatura della Madalena e simili. 2

Secondo Ernesto Monaci, fortunato scopritore delle laude drammatiche umbre, queste furon composte traducendo, ovvero imitando drammi liturgici latini: invece, secondo il D'Ancona, si riconnettono direttamente ai testi evangelici delle lezioni rituali; in altre parole, chi componeva una laude attingeva alle medesime fonti, a cui aveva attinto l'autore d'un dramma liturgico corrispondente. Ma, domanda con ragione Adolfo Bartoli, « senza il precedente dell' uffizio liturgico ammesso dalla Chiesa, e facente quasi oramai parte dei suoi riti, queste confraternite devote avrebbero introdotto nel loro seno la rappresentazione drammatica? >> Del resto, anche il dottissimo storico delle origini del nostro teatro ammette che, ai compositori delle laude,

3

1 D'ANCONA, Origini del Teatro in Italia, vol. I, p. 107.
2 MONACI, Uffizi drammatici de' Disciplinati dell' Umbria,

pp. 27 seg. e D'ANCONA, I, p. 184.

3 Storia della letteratura italiana, vol. II, p. 220.

poterono servir di modello e d'incitamento i drammi liturgici.

Non sono giunti sino a noi, insieme con le laude, i nomi di coloro che le scrissero: di parecchie è presumibile fosse autore Jacopone da Todi. A lui si attribuisce il Pianto della Madonna, in cui parlano Maria, Gesù, le turbe e un Nunzio (ovvero San Giovanni); e ch'è stato giudicato, e merita il giudizio: « il monumento più notevole della poesia spirituale del secolo decimoterzo. » Alcune laude sono brevissime, un dialoghetto di sei strofe tra Maria ed Elisabetta, uno di quattro tra Cristo e il Centurione, uno di quattro tra Cristo e Pietro; in altre, assai più ampie, furono introdotti molti personaggi, per esempio, in quella per la Natività del Signore: però, congettura il Monaci, essa < consta di due parti distinte, le quali in origine debbono essere state due Laude affatto tra loro indipendenti, e la prima (str. 1-6) che rappresenta i profeti del Cristo, forse era dapprincipio destinata pei vespri innanzi al Natale, e pel giorno di Natale soltanto la seconda.» Metro primitivo fu la strofetta di sei versi ottonari; talvolta (appunto nella Laude per la natività del Signore) s'incontra la struttura della ballata maggiore.

Dall'Umbria passarono nelle provincie vicine le compagnie de' Disciplinati e, insieme, la laude drammatiche. Le Devozioni del giovedì e del venerdì santo, benchè ritengano forme del dialetto umbro, ne presentano molte più di dialetto veneto; il Pianto delle Marie serba tracce evidenti di dialetto abruzzese. Un codice aquilano, scoperto dal Monaci, in mezzo a una cinquantina di laude liriche, non posteriori al secolo XIV, ne contiene cinque o sei drammatiche intorno all'Annunziazione della Madonna, all'Epifania, alla Passione, alla Pentecoste. Riguardo alla forma, sono identiche

alle umbre, differendo da esse soltanto pel dialetto: qualche tratto par proprio calcato sul testo umbro; ma nella redazione aquilana si riscontra un po' più di larghezza, o piuttosto, prolissità di espressione. Un altro codice aquilano della prima metà del Quattrocento (appartenuto prima al Corvisieri e da lui venduto al Morbio) contiene: Lu lamintu della nostra dopnna lu venardy sancto, La devozione della festa de Pasqua, La devotione et festa de sancta Susanna, La disponsatione et festa della nostra dopnna, La devozione et festa de sancto Petro martire, La legenna de sancto Tomascio. Ognun lo vede, il titolo di devozione non appartenne solo alle composizioni, le quali commemoravano gli ultimi fatti della vita di Cristo, la sua passione e la morte. Ne' libri della Confraternita dell'Annunziata di Perugia son ricordate La devotione de sancto Paulo (1376) La devotione de Magie (1380) La devozione del Limbo (1386). Anzi, s'ha da avvertire che i tre nomi di Lauda, Devozione e Rappresentazione non servirono dapprima a designare tre forme distinte del dramma sacro volgare, bensì furono adoperati indifferentemente: quelle, che furon chiamate laude da alcuni, forse perchè tali erano morfologicamente, altri le chiamarono devozioni per lo scopo a cui servivano, ed altri rappresentazioni, per l'effetto drammatico, che cominciava ad attirare a preferenza l'attenzione. Infatti, in un codice orvietano si trovano più di quindici composizioni drammatiche, identiche per la forma alle umbre e di provenienza umbra, intitolate ora laude, ora devozioni, ora rappresentazioni: si recitavano nel 1378, in Orvieto, ma il codice 1 fu scritto nel 1405 per uso di

1 È di proprietà privata; lo ha scoperto e illustrato, in una dissertazione ancora inedita, il sig. Vaggi discepolo del professor Monaci, dal quale ultimo ho avuto questa e le notizie del codice aquilano già menzionato.

una Confraternita. E devozioni chiama il Graziani la rappresentazione della natività di Cristo, fatta da' frati di San Domenico di Perugia l'11 giugno 1444, e quella diretta da fra Roberto Caracciolo, il venerdì santo del 1448, nella piazza della stessa città. Tutto ciò prova che la forma primitiva perdurò nell'uso anche nel secolo XV, quando la rappresentazione vera e propria non era più una novità. Ma se le due Devozioni del giovedi e del venerdi santo non si debbono più considerare « documenti di una forma intermedia, che non è più Liturgia nè Lauda drammatica, e non è ancora rappresentazione vera e propria », 1 è innegabile che, tra tutte le composizioni drammatiche umbre sinora pubblicate, esse presentano maggior ampiezza di svolgimento. Le copiose didascalie, da cui sono accompagnate, permettono di figurarsi abbastanza precisamente l'effetto scenico dello spettacolo e i movimenti de' personaggi.

In generale, nelle composizioni umbre, manca l'arte: i loro autori non sanno, o non possono discostarsi da certe situazioni tradizionali, che da' testi sacri eran già passate prima ne' drammi liturgici, e, se non si giovano di questi, imitano, riproducono, traducono, poco o punto rinnovano, o cambiano, la tela di racconti, che tolgono dal Vangelo, o da altre fonti, mentre l'adattano alla rappresentazione. Ma la stessa mancanza assoluta, o quasi, di criteri e d'intendimenti artistici, il sacrifizio inconsciente dell'arte allo scopo religioso, conserva a que' drammi rudimentali l'ingenuità dell'espressione, la naturalezza e la freschezza del sentimento. Rare volte, nelle posteriori rappresentazioni toscane e napoletane, s'incontrano tratti efficaci nella

1 D'ANCONA, I, p. 171.

« IndietroContinua »