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questo fatto, certo è che Carlo V nipote, e successore ne' regni di Ferdinando, benchè nominasse il Carrafa all'arcivescovado di Brindisi, mostrò nondimeno sempre di lui più stima che confidenza. Or egli in Roma al tempo del sacco, annoiato del mondo, partissi quindi, lasciata e la chiesa di Brindisi, e quella di Chieti che possedeva, e ritirossi con alcuni compagni di santo zelo nello stato di Vinezia, dopo aver fondato con loro in Roma l'ordine nominato per esso de' Teatini, come altrove fu scritto. Ma indi richiamato da Paolo III, fu aggregato al concistoro, ed impiegato nelle più gravi cure ecclesiastiche, nelle quali mostrò egli sempremai picciola inclinazione ad approvar l'opere, ed a compiacer le richieste di Carlo V. Si che nutrendosi la diffidenza, provò i narrati ostacoli alla possessione dell' arcivescovado di Napoli. E certamente la sua assunzione al pontificato giunse a Cesare così discara, che al cardinal di Santa Fiora convenne mandare a Brusselles Gianfrancesco Lottini suo segretario per iscolparsi; recando prove, che 'l cardinale, dopo ogn' industria adoperata per distornarne la

riuscita, in ultimo a mera forza v'era concorso. E se Cesare non avesse giudicato maggior senno e decoro il dissimulare in palese la preceduta contrarietà, e la seguita molestia sua verso un fatto di tanto peso, il quale non poteva disfarsi; per avventura sarebbesi risentito con gravi dimostrazioni contra quei cardinali suoi dependenti che l'avevan promosso. Quest' animo avverso dell'imperatore, ch'era noto al papa eziandio per la medesima instruzione del cardinal di Santa Fiora al Lottino capitatagli in mano, ulcerava naturalmente quello del papa contra l'imperadore. E concorrevano ad innasprirlo gl'irritamenti del nuovo cardinale suo nipote. Stimavasi egli maltrattato da Cesare: quando in Alemagna non pure non avea conseguito alcun merito de' suoi militari servigi, ma fattosi da lui un prigione assai principale (1) da cui sperava grosso

(1) Uno dice l'Istoria del Nores, molti la Relazione del Navagero. Ma il primo s'accorda con ciò che narra il cardinal Caraffa medesimo in una scrittura mandata in Francia, ove annovera tutte le ingiurie a lui fatte dagli Spagnuoli, veduta da me dopo scritta quest'opera nel processo autentico fabricato contra di lui sotto Pio IV.

prezzo di riscatto, gli era stato con violenza tolto da uno spagnuolo: di che non trovando ragione alla corte, anzi condannato nel litigio dal duca d'Alba supremo nell' esercito dell' imperadore, avea nel tornare in Italia sfidato lo spagnuolo a duello: ma per tal causa era stato di commessione cesarea ritenuto in Trento, nè mai liberato, fin che non cedette alla disfida, e ad ogni diritto. E dipoi datogli da Paolo III il priorato di Napoli (1), glie n'era stata impedita la possessione. Onde gittatosi al servigio de' Francesi, secondo che fu narrato, avea sofferto il bando come ribelle, traendo fra tanto dallo Strozzi, sotto cui militava, non meno gli affetti politici del suo cuore, che gl'insegnamenti bellici della sua disciplina. A tutto ciò aggiugneva egli tragicamente insidie alla vita tramate (com' ei figurava) dagli Spagnuoli, si contra (2) il zio in grado di cardinale, sì contra se nell' una, e nell'altra (1) Adriano nel lib. 13.

(2) Di queste congiure macchinate contra quei tre signori, fa menzione il cardinal Farnese in una lettera de' 30 di settembre 1555 al cavalier Tiburzio ministro suo in Parigi, e in un'altra dello stesso giorno al cardinal di Ferrara.

condizione; congiugnendovi anche il cardinal Farnese, ch'era in quel tempo unito ad essi più d'ogni altro nell'autorità, nella confidenza, e ne' fini: o fosse perchè il sospetto misto all'odio crede anche l'incredibile, o perchè è usanza di chi vuol gravemente offendere il divolgarsi per gravemente offeso. Ma, più che l'ira per l'ingiurie, infiammava il Carrafa la cupidità degl'innalzamenti. Disperava egli, che 'l zelante quantunque amorevole zio dovesse smembrar di alcun ampio stato la dizione ecclesiastica in favor de' parenti : nè altronde aspettava le desiderate grandezze che dagli avversarii degli Spagnuoli: intendendo che i più vantaggiosi patti s'ottengono da chi promette quel che non ha, e dona con sicurtà di niuna iattura, e con isperanza di gran guadagno. Tal che sapendo esso l'impazientissima sete che ardea ne' Francesi, del regno napoletano, non meno che per conquistarlo a se stessi, per levarlo agli Spagnuoli, volgeva tutti i pensieri ad una lega con loro; la quale avendo prospera riuscita, gli frutterebbe amplissimi acquisti, ed anche più cari sì per inclinazione, si per ambizione, perchè

nella sua patria. Ma il pontefice, quantunque più contento del re Arrigo, il quale con la rinovazione di severi editti manteneva il vigor della religione in Francia, che di Cesare, il quale con que' disavvantaggiosi recessi pareva a lui che la indebolisse in Germania; e meglio inclinato al primo che al secondo per istinto, e per gratitudine, contuttociò non era disposto a prender l'armi temporali: ben conoscendo, ch'elle usate da un papa contra i cattolici, l'abbassano le più volte dall'autorità di padre all'equalità di parte, e rendono ottuso il taglio delle spirituali. Non astenevasi pertuttociò egli dal prorompere in minacce : le quali non sono altro che armi del minacciato, o a difesa per ammonizione di munirsi, o ad offesa per titolo di prevenire. Ma si come spesso i rivolgimenti grandi dependono dagli accidenti piccioli, così avvennero due casi di private famiglie, i quali trassero in gran tumulto e lo stato d'Italia, e i potentati d'Europa.

Uno di questi casi fu, che Carlo Sforza (1) priore di Lombardia e fratello del (1) Vedi l'Adriano nel lib. 13.

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