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la reina Maria, e contribuendovi anche il valore della sua opera. Paolo dunque venne in parere di mandar due Legati (1). Il cardinal Rebiba, confidente ed a se per lungo servigio, ed a Carlo ed a Filippo per natio vassallaggio, fu indirizzato a questi due: il Carrafa, sul quale dovea fondarsi la mole del più arduo e più intimo negozio, ad Enrico. La prima, e publica loro cura doveva esser di convertire la sospensione a tempo in pace perpetua : il che quando fosse avvenuto, il papa ne avrebbe acquistato merito e benivolenza con amendue; e vi saria stato compreso e dall'uno e dall'altro, com'è l'usanza, o almen dall'uno senza fallo. Sì che sarebbe rimasto e glorioso e sicuro. Ma quando ciò non sortisse, fu data al Carrafa una seconda instruzione occultissima: ch'egli col vigor della voce e della presenza, con gli strumenti che avrebbe saputo guadagnarsi in corte, s'ingegnasse di trarre il re all'osservanza della lega, ed alla rottura della tregua: parendo a Paolo che

(1) Furono dichiarati a' 10 d'aprile 1556, e ricevettero la croce per partire agli 11 di maggio, come negli Atti Concistoriali.

ciò volesse la giustizia per le ragioni premostrate. Onde in Roma si tennero due registri di lettere che a nome del papa scriveva al Legato successivamente il fratello: l'un ordinario, e che rimase nella segreteria di palazzo, contenente le commessioni del primo intento: l'altro segretissimo da non lasciarne memoria, composto delle ordinazioni sopra il secondo trattato. Il che diede poi materia d'apporre al Carrafa, che avesse incitato il re alla guerra senza comandamento del papa. E questo è un de' pesi nel ministerio de' sommi affari, che talora per esser fedelissimo al suo signore convien avventurarsi ad essergli in altra età riputato infedele.

L'instruzione data al Rebiba dimostrava gran zelo, ma più imperioso che mansueto, e però mal adattato alla condizione de' tempi, e mal convenevole alla qualità del pontefice in cui non vedeasi quell'animo sciolto dalle cose temporali che si richiede per atterrire i monarchi con la podestà spirituale. Dicevasi dunque in essa (1) che mirando il papa i gravis

(1) Queste instruzioni sono fra le scritture dei signori Panfilii.

T. VII.

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simi danni della religion cristiana, riputava che niente meglio potesse ristorarli d'un concilio ecumenico da celebrarsi col suo intervenimento. E perchè la decrepità non gli concedeva l'andar altrove, destinavalo in Laterano, chiesa la più riverita del mondo, e nobilitata da tant' altri famosi concilii. Roma per l'ampiezza della città, per la clemenza del cielo, per l'abbondanza dell' annona, per l'ospitalità degli abitatori, dover esser grato albergo a tutte le persone venture. In questo sinodo volersi primieramente riformare gli ecclesiastici e i laici, correggendo negli uni la corruzion de' costumi, e vietando agli altri l'intromettersi contra il divino comandamento nelle faccende spirituali. Talora personaggi constituiti nelle somme dignità, e che si nominavan cristiani, richieder al pontefice con ismoderato ardore e con messaggi apposta sconvenevolezze tali, ch'egli non le poteva udire non che concedere. A ciò fra gli altri disordini si provvederebbe dal concilio, restituendo il dovuto onore e diritto alla Chiesa. Essersi il papa sì fitto in questo pensiero, che niuna cosa ne l'avrebbe po

tuto rimuovere. Ed a tal fine indirizzarsi principalmente quella legazione; dovendo il Rebiba confortare que' due grandissimi principi padre e figliuolo a promuovere si santa impresa. Ma perchè il concilio avea bisogno d'uomini schietti di cuore e non passionati, e la passione dei signori suol distendersi ancora ne' sudditi; perciò esser necessario che tra i re si fermasse una perpetua e sincera pace : altrimenti rimanendo fra loro contrarietà d'interesse e di fini, in vano o si proporrebbe, o si decreterebbe nel sinodo ciò che giovando e piacendo all' una parte, fosse ricusato come a se dannoso e molesto dall'altra. Dovere adunque i principi riconciliarsi tra loro, antiponendo i rispetti eterni a' temporali: e considerando che s'è reo di grave pena chi uccide un uomo, incomparabilmente maggior sup plicio sosterrà chi cagiona tante stragi e tante ruine di regni. Nè valere ad un principe il dire, che la ragione sta dal suo canto. Primieramente la ragione nei litigii inviluppati de' grandi apparir sempre dubbiosa. Oltre a ciò doversi rimettere della propria ragione per beneficio

del mondo e per servigio di Dio ; nè lasciarsi vincere nella virtù da que' gentili che con un solo barlume d'onestà naturale si rappacificarono co' loro capitali nemici, e andarono a manifesta morte per salute della republica. Esser debita a Dio questa gratitudine da coloro, ne' quali egli ha versata la pienezza degli onori e delle grandezze. E più ergersi il papa nella speranza, però che il re cristianissimo gli avea publicamente offerto, mediante il cardinal di Loreno, in concistoro, di rimettere in sua santità come in supremo giudice tutte le differenze. Onde a promuovere questo bene mandarsi da lui anche il cardinal suo nipote a quella corona; col quale il Rebiba dovea tener assidua corrispondenza. Vedersi tanto cresciuto il potere de' barbari, e'l pericolo del giogo loro sul collo di tutti i fedeli, che'l guerreggiar questi fra di se non era più opera, non solo cristiana, ma umana: nè poterla il pontefice per debito dell'ufficio suo tollerare. Per tanto qualunque da cui mancasse la conclusion della pace, avrebbe sentite le sue pene e spirituali, e temporali: senza temer egli la potenza di veru

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