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preparato avea ritenuta con lode nella licenza data al marchese.

L'ultimo segno della battaglia parve al viceré la comparigion del fiscale nel concistoro: ben sapendo che si fatte molestie non si danno a'monarchi nel foro senza prima destinarle nel campo. Ma, considerata la brutta faccia che ha sempre negli occhi de' cristiani chi assalta il vicario di Cristo, volle usar nuova diligenza sì per giustificar tanto più la sua causa quasi di forzevol difesa, sì per gettare sopra il pontefice l'odio della guerra appresso i sudditi e i cardinali. Per tanto inviò a Roma Pirro Loffredi cavalier napoletano, imponendogli d'esporre al papa, che l'ingiustissima, ed ignominiosissima instanza fatta dal fisco, ed ammessa da sua santità nel concistoro contra Cesare e'l re cattolico, e contra i loro stati, ben manifestava qual animo egli avesse, e quali ruine macchinasse a que' principi. Onde non rimaner loro altro da fare, se non ciò che farebbe ogni ossequioso figliuolo verso il padre, il quale gli corresse sopra col ferro ignudo; ciò era, sforzarsi di levargli l'arme di mano. Che ad una

simil opera verrebbon Cesare e'l re con estremo cordoglio, ed a mera forza: ma innanzi per l'infinito desiderio ch' era nel duca, e ne' suoi principi di potersene astenere, voler egli soprabbondare con quest'ultimo ufficio; pregandolo supplichevolmente a deporre la persona di nemico, e a riprendere quella di padre, con rivocar l'offese, e con fomentar la pace nel cristianesimo. Ed egli prometteva, che in questo caso l'imperadore e 'l re cattolico, dimenticate le preterite ingiurie, avrebbono conservata la persona di riverenti ed amorosi figliuoli. Che degnasse sua santità comunicar queste significazioni col sacro collegio, dando a ciascun de' padri libera facultà d'esprimer il proprio suo sentimento: da'quali era certo che non avrebbe ricevuti se non fedeli, pacifici, e salubri consigli. Un'altra lettera recava Pirro indirizzata al collegio quasi della medesima contenenza; pregandoli oltre a ciò di piegare il pontefice a sensi d'equità, e di carità pastorale.

Aveva commessione il Loffredo di presentare al papa, ed a'cardinali le let

tere, e di far loro le ambasciate del duca, sì veramente ch' egli non dimorasse oltre a quattro giorni in Roma, qualunque risposta, o anche nessuna che ne traesse. Ma il pontefice, a cui veniva in acconcio di prolungare finchè tornasse il Carrafa, e con esso qualche aiuto di Francia, come dirassi, gli diede a vedere che in sì breve spazio non era possibile il fargli saper la determinazione; convenendo che il Loffredo, dopo aver parlato a lui, visitasse il collegio, e ch'indi il papa ne sentisse il parere, e con questo gli rendesse risposta di qualche agevol compenso intorno al quale l'invaghi di speranza: che d'altro modo la sua venuta sarebbe stata non di pacificatore, ma di beffatore. Il Loffredo, vinto dalla ragione del papa, e ignorando il segreto del vicerè, lasciò tenersi a bada. Il che fu di gran pregiudicio al suo signore per la nota quindi contratta, e a lui per la sventura quindi patita; con insegnamento a' ministri di non usar mai dell'arbitrio sopra que' punti di cui hanno preciso, e stretto il comandamento; e meno in que'casi che nulla vi scorgono di ragione; non potendola essi allor misu

rare, ma dovendola creder valida, e per avventura ancor massima.

Il giorno quarto di settembre raccoltisi i cardinali davanti al papa (1), furon lette le lettere scritte al collegio dal vicerè; e fu ragionato dell'affare, proponendosi maniere di pacificazione. Ma la notte del di vegnente arrivò novella che'l duca d'Alba, uscito da Napoli con giusto esercito il giorno primo di quel mese, aveva poi assalito lo stato ecclesiastico, e preso il quinto di Ponte Corvo, ch'è un minuto vestigio dell'antiche Fregelle, ove si ritardò e si franse l'impeto d'Annibale: e indi Frosinone, con molta preda di bestiami. Il papa, oltre modo acceso, tantosto ragunò i cardinali (2), e gli fe consapevoli dell'insulto. Ed appresso, chiamato alla presenza loro il Loffredo, il domandò a qual opera fosse venuto. Egli rispose, che avea portate due lettere del vicerè, l'una a sua santità, l'altra al sacro collegio per trovare accordo alle differenze presenti. Allora il papa notificò al

(1) Negli Atti Concistoriali.

(2) A’6 di settembre 1556, come negli Atti Concistoriali.

cavallo, e prendesse Ascanio. Spiato ciò
dal cardinal della Cornia, fe precorrere
la notizia al fratello; la quale gli arrivò
appunto quando altresì Papirio arrivava
alle porte di Velletri. Onde nello stesso
momento per
l'una di esse entrò Papirio,
e per l'altra scappò Ascanio, perseguitato
a tutta briglia da' cavalli di Papirio. Asca-
nio, volgendosi al mare, corse a Nettuno;
e quivi sì come fu conosciuto per capita-
no del papa, così di leggieri diede a cre-
dere che i cavalieri seguitatori erano sol-
dati suoi contra di lui ribellati. Si che le
guardie di Nettuno uscirono contro ad es-
si; nè prima rimaser disingannate, che
Ascanio con un solo famiglio si fu posto
in salvo per opera d'una barchetta. Su la
quale condotto a Napoli, fu accolto con
grand' onore dal duca d'Alba; che ne ri-
trasse le debolezze dello stato ecclesiasti-
co, e si rincorò maggiormente all'impresa:
stimolandolvi tanto più Ascanio, perchè il
papa, infocato d'ira, avea riserrato in ca-
stello il cardinal della Cornia, e spogliati
amendue di tutti i lor beni.

Ma il duca, non avendo ancora nè apparecchio di forze, nè determinazione

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