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Il di vegnente gli fu risposto, che l'altre proposizioni non erano disperabili: ma che l'assolvere Marcantonio, ed Ascanio sudditi del papa, e condannati per altri falli di sommo peso, e nulla appartenenti al re, pareva condizione sì dura che niuno ardiva di portarla a sua santità : e che il duca non avrebbe dovuto per essa ritardar la quiete comune. Ma il vicerè si fermò nella sua domanda. E benchè dipoi fosse ordinata una conferenza tra lui e'l cardinal Carrafa in Grottaferrata pel di ventesimoquarto di settembre, il Carrafa non vi comparve, mostrandone il vicerè ammirazione ed indegnazione. L' apparente sembianza dell'impedimento fu (1), che essendosi divisato che andassero col cardinal Carrafa quel di Santa Fiora e'l Vitelli, il cardinal di Santa Fiora chiese licenza scritta dal papa, acciò che una tal andata non gli potesse in alcun tempo essere opposta in giudicio, quasi trasgressione del severissimo divieto, e debito della grossissima sicurtà onde il papa l'avea legato a non partirsi di Roma, co

(1) L'istoria del Nores, e la relazione del Na

vagero.

me fu raccontato: ma il pontefice negolli questa cautela, e si disciolse il trattamento del viaggio. Di che Paolo incagionava il non essergli paruta quella mession di tre cardinali al vicerè nè onorevole al grado, nè sicura dalla fraude. Ma ciò per avventura fu opera del Carrafa, il quale disperando o ver non curando di piegare il duca a ritrarsi da quelle proposizioni a cui era inesorabile il papa, temè di non fare intiepidire con questo infruttuoso colloquio i Francesi nell'inviare i soccorsi per sospetto d'instabilità nel pontefice. Onde colla lingua di Cesare Brancacci (1) mandato colà nuovo nunzio in que' giorni appunto, gli assicurò sopra l'onor suo, che'l papa non sarebbesi mai fidato degli Spagnuoli, nè avrebbe mancato alla lega, quando il re prima non le mancasse. Anzi stava dubitoso che la stessa interposizione di fra Tommaso Manriquez, la quale non aveva potuto egli impedire, non producesse ne' Francesi dannose immaginazioni: bastando sempre mai poco a ri

(1) Varie lettere del cardinal Carrafa al Brancaccio, d'ottobre e di novembre del 1556, tra le scritture de' signori Borghesi.

tenere altrui dal sollecitarsi molto. Ma il fe respirare da una tale ansietà il signor di Selva pur allora giunto di Francia, confortandolo in nome del re ad incantar gli Spagnuoli con le parole, finchè (1) giungessero i preparati soccorsi. Imperò che per beneficio d'una tale ambasciata potè il cardinale ed ascrivere a quel medesimo intento il trattato introdotto prima con l'opera del Manriquez, ed introdurne altri dipoi, sicuro che s'egli non conchiudeva, non cagionerebbe ne' Francesi o amarezza o freddezza per quella praticata concordia e se conchiudeva, cessava il bisogno de' loro aiuti, e poteva onestare l'azione con la tardità di tali aiuti assai oltre e alla promessa del re, e alla necessità del papa. Non rifinava egli fra tanto di spronarli con figurar la vittoria per facile. I nemici smunti, i regnicoli, e i toscani maltrattati, e cupidissimi di mutazione ma far mestiero di prestezza per le angustie presenti di Roma. Queste e veramente eran grandi, e le rendeva gran

(1) Si raccoglie da una del cardinal Carrafa al Brancaccio segnata il dì 23 d' ottobre.

dissime il concetto che ne formavano i cittadini: il quale spesso nelle guerre, quantunque falso, ha forza di verità: e nel popolo di Roma composto in gran parte o di togati, o di plebei, e infievolito dalla quiete, rappresenta all'animo la impossibilità del guerreggiare pari all'abborrimento del guerreggiare. Sollevò alquanto il terrore la venuta del signor di Monluc con alcune compagnie dal territorio di Siena, come di capitano che nell'assedio lungamente e valorosamente sostenuto di quella città s'avea guadagnata riputazione di perito e valoroso difensore. Onde il popolo ravvivossi e colla fidanza in un tal custode presente, e con la speranza per questo pegno de' maggiori aiuti venturi.

Non andò molto che alcune perdite vicine, e variazioni lontane più gravemente spaurirono il popolo, ed afflissero il papa. Il duca si fe padrone di Tivoli, città forte presso a Roma, ed opportuna a unir le forze col regno. Nettuno, fabricato sul mare tra le rovine d'Anzio antico, si ribellò al pontefice, cacciandone la guernigione, e riponendosi in dominio de'Co

lonnesi. E, ciò che fu maggior colpo, cadde in poter de' regii, benchè a costo di molto sangue, la fortezza d'Ostia, luogo di grande effetto, sì come quello in cui si unisce la prossimità con Roma, e la comodità del mare. Ma la più nociva percossa, benchè più lontana e più sorda, fu la riconciliazione del duca di Parma con gli Spagnuoli. Secondo le cose già raccontate, era ogni di maggiormente scemata in Paolo la tenerezza del beneficio e la riverenza di creatura mostrate da lui al cardinal Farnese ne'primi giorni, avendo imparato, ciò che s'apprende con breve scuola, a trattarlo non più come capo, ma come suddito: onde il cardinale sentiva al cuore un tal cambiamento di scena: ma sopra questo lo pungeva il soverchio fasto de' nipoti Caraffi, che già usavano con ognuno come padroni. Nè almeno l'utilità de' buoni frutti ricompensava la caduta delle splendide foglie: non veggendo egli destinato al duca Ottavio nella lega o carico di gran decoro, o condizioni di gran profitto. Il che rendevalo insieme scontento de' Francesi, i quali, com'egli avvisavasi, l'avevano pasciuto di lunghe speran

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