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fortarvi il pontefice quasi benevoli consiglieri, e riverenti pregatori. A (1) fine di trattar ciò fu destinato dal re il cardinal di Tornone principal reggitore della parte francese in Italia, il qual soggiornava in Vinezia. Ed egli chiede al pontefice salvocondotto a che fu risposto, che un cardinal suo pari non ne abbisognava ; ma che pure non tanto per sua sicurtà, quanto per sua dignità si manderebbe a condurlo l'abate Rossetto cameriere del papa con titolo di commessario. E così fu posto in effetto: onde il cardinale venuto a Roma, tornò di nuovo a combattere il papa, acciò che non ricusasse di lasciare in Parma il duca, offerendoli nel resto larghe soddisfazioni. E sentivasi inanimato ad incarir la sua merce dalla voglia che scorgea nel pontefice di comperarla. Era Giulio per l'una banda mal contento del Gonzaga, che non solo guerreggiasse tiepidamente, ma non avesse impediti i continui soccorsi di vittuaglie, i quali e dal Milanese governato da lui per Ce

(1) Lettere del cardinal Dandino al Legato Verallo da Roma a' 26 di dicembre 1551 e agli 8 di gennaio 1552.

sare, e dal Mantovano, paese di principe suo nipote, erano condotti in Parma, tirativi da quella potentissima calamita ch'è la certezza di gran guadagno: per l'altra banda l'angosciava la vicinità del formidabile stuolo turchesco, temendo egli il carico appresso a Dio, e alla fama, che in lui fosse prevaluta l'altura di volere una rigorosa ubbidienza da un suo feudatario, alla salute universale de' vassalli e de' cristiani. Cominciò egli dunque a prestar l'udito a quella condizione, senza la quale poco sperava la conclusione. E si trattò di lasciar Ottavio in Parma con una sospension d'armi; la qual preservasse la riputazione del pontefice più che non avrebbe fatto il nome di pace, ma che insensibilmente poi divenisse pace che il duca, passati due anni, rimanesse in sua libertà d'accordarsi stabilmente con la Chiesa, e sciolto da ogni obligazione col re di Francia: che fosse consegnato a' due cardinali Farnesi lo stato di Castro, il quale, secondo la regola, che conviene odiare come se una volta si debba amare, dal papa s'era occupato con la già narrata moderazione lasciandovi la vecchia du

chessa nel governo della giurisdizione, e de' beni, ed esercitandovi meramente con l'opera di Ridolfo Baglione il dominio dell'armi che non si tenesse quivi maggior milizia, che la bastevole alla guardia e che 'l re, e 'l duca promettessero, che per niuna di queste parti sarebbe molestato o❜l papa, o anche l'imperadore quando volesse entrar nell'accordo: che'l re fosse buon figliuolo del pontefice, e lasciasse venir dal suo regno a pigliar le Bolle de' beneficii nella dateria di Roma. Questo era il modello della trattata concordia.

Ma Cesare, quantunque distratto dai movimenti onde il minacciavano l'armi de' protestanti, e però impotente di forze per imprese straniere, ritirava con ogni studio il pontefice da tal composizione, e nello stesso volere concorreva Giambattista del Monte nipote e capitan generale del papa: il quale fervido ed animoso per gioventù, e oltre modo vago ed intendente dell'arte militare, e sprezzatore in essa delle fatiche e de' pericoli, s' esponeva con egregio valore alle più ardue e formidabili avventure, ed era cupidissimo d'il

lustrarsi in quell'impresa. Onde non gli permettendo l'età di scernere il vistoso dal virtuoso, era trascorso ad una magnifica, ma inconsiderata denunziazione, che, ove il zio avesse mancato alle sue parti, non però egli l'avrebbe seguito in ciò, ma continuata l'opera della spada come soldato di Cesare il che poneva il pontefice in gran travaglio. Ma ne fu tosto liberato da un travaglio maggiore. Avea Giambattista nelle mischie sotto alla Mirandola mostrata egualmente l'abbondanza del valore, e la mancanza della cautela: onde era incorso in gravi e propinqui rischi, non distinguendo quanto vaglia al suo signore la vita d'un privato fante, e quella d'un general condottiero, e perciò la disugual cura, che, secondo la diritta fortezza, la quale, come l'altre virtù, prende regola dalla prudenza, deono essi tenerne. Tanto che'l papa con ogni sollecitudine l'avea fatto di ciò ammonire, (1) prenunciandoli che la morte di lui sarebbe stata il fin della guerra a pro de'nemi

(1) Lettera del cardinal Dandino in nome del papa a Gio. Battista del Monte da Roma a' 12 di gennaio 1552.

T. VII.

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ci: e che non volea per veruna condizione trarre dall'assedio della Mirandola 'un frutto così funesto. Ma l'ardente giovane, idolatra della gloria, e di quella gloria ch'è un simulacro composto dall'aura del popolo, e non una luce risultante dall'approvazione de'savii, dispregiò, quasi vil tenerezza di zio, quell'avvertimento che era giudiciosa considerazione di principe. Onde in certa zuffa maneggiando l'armi con singular coraggio, e più cupido del sangue altrui, che stimatore del proprio, non conosciuto da' nemici, dando e ricevendo molte ferite, rimase morto. E di poi quel cadavero costò molte vite sì agli uccisori ambiziosi di guadagnarlo, come a' suoi, che, infiammati di vergogna e di sdegno, vollero costantemente difenderlo e vendicarlo. Quest' accidente fe, che 'l papa conchiudesse una sospensione d'armi, imponendo tosto alle sue genti il cessar da ogni opera ostile sotto Parma e sotto la Mirandola, con dar tuttavia per un certo spazio di giorni facultà agl'imperiali di sottentrare ne'medesimi forti. Ma o perchè i soldati di Cesare mandati a quella fazione fosser nuovi e poco esperti, come

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