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per conservazion dell'imperio e per difesa contro al Turco l'unione in una stessa mano del suo potentissimo scettro patrimoniale, e di questo elettivo più maestevole che vigoroso; e sperasse di spignerli per tal modo a consentire in Filippo. Ma videsi che Carlo diceva per fare, non per minacciare. Imperò che quantunque il fratello a fin di ritrarlo da quel pensiero tentasse appo lui prima i conforti di Ferdinando arciduca d'Ispruc suo secondogenito, e dipoi del primogenito Massimiliano re di Boemia e genero dello stesso Carlo, restò egli immobile nel proponimento per esecuzion del quale molto avanti avea deputato Guglielmo di Nassau principe d'Oranges a far la solenne rinunziazione del titolo e delle insegne cesaree nella dieta degli elettori. Tanto che senza aspettarne l'effetto ritirossi a vita spirituale e libera da ogni cura mondana dentro a un monistero di religiosi ieronimiani in Ispagna. Or avendo il re Ferdinando prorogata lungo tempo la dieta per la speranza di vincere con sue preghiere il fratello, indi caduto da essa, adoperovvi l'autorità degli elettori, i quali ragunati

in Francfort, unitamente rifiutarono l' instanza dell' Oranges. Ma per contrario egli che avea le commessioni precise, espose loro, che non era ufficio suo il riportare altre ambasciate al suo signore già separato dal mondo, ma trarre ad opera la cedizione, e il rendimento di quelle insegne ad essi elettori, i quali gliele avean date: e questo rinunziamento della corona imperiale si fe appunto nel giorno ventesimoquarto di febraio, sacro all'apostolo s. Mattia, nel quale Carlo era nato, ed aveva conseguite le maggiori prosperità, e segnatamente la medesima corona per mano del pontefice Clemente in Bologna. Allor gli elettori tosto dichiararono per successore il re Ferdinando, ed egli prese il titolo d'imperadore. Di che mandò incontanente a dar contezza al pontefice con l'ambasceria di Martino Guzman. Ma Paolo non giudicò di poterlo ricevere, nè riconoscer Ferdinando per imperadore legittimo senza pregiudicio dell'apostolica autorità, e senza pericolo della cattolica fede. Il pregiudicio argomentavasi, perchè essendo gl'imperadori d'Occidente, e i loro elettori instituiti dalla sede apostoli

ca, ed avendo i papi un antichissimo possesso, che niuno ottenga quella dignità senza loro confermazione, pareva che nè la cedizione di Carlo, nè per conseguente la sustituzione di Ferdinando dovesse approvarsi come legittima, non essendovi intervenuta l'autorità pontificale. Essersi bensì con l'intervenimento di essa eletto già Ferdinando a re de' Romani; ma una tal qualità non farlo legittimo successore se non quando la sedia imperiale vachi per morte. In ogni altra maniera di vacazione abbisognar nuovo approvamento del papa al valore così della stessa vacazione, come della susseguente elezione. Il pericolo poi si considerava doppio. L'uno in consentire, che tre elettori già ribellati alla Chiesa ritenessero voce fra' sette di crear l'imperadore nel cristianesimo, il quale nel futuro s'ingegnerebbono che fosse uomo o parziale, o non avverso alla setta loro. L'altro, che allora la podestà imperiale venisse in Ferdinando, il quale aveva ed interposta l'autorità in tanti recessi dannosi alla religione, ed allevato il primogenito, destinato da lui alla succession dell'imperio, quasi col latte dei

luterani. Fe intendere per tanto al Guzman nella via il pontefice, ch'egli non poteva accoglierlo per que' giorni in qualità di ambasciadore imperiale, avendo commesso ad una congregazione di sette cardinali principalissimi e ben affetti alla casa d'Austria, che tenesser consiglio intorno all'affare. Tal che il Guzman senza pervenire a Roma ritirossi a Tivoli città fuor di strada, e vicina quivi mezza giornata. Di là fu richiamato da Ferdinando, che riputava suo incomparabile scorno questo rifiuto del papa, ov'egli fra brevissimo tempo non fosse ricevuto. Onde il Guzman o per verità o per arte laudevole di procacciar la concordia, mostrò che la divozione lo spignesse ad ire privatamente in Roma per visitare i luoghi sacri, e aver la benedizione del papa, forse sperando, si come ciascuno si confida assai nella propria lingua, di vincerlo con persuasioni. Passò a Roma senza solennità, e fu ricevuto non come orator di Cesare, nè publicamente nel concistoro, ma come ambasciador di re de' Romani, e con forma quasi privata, in una sala intitolata dell'udienza, con l'intervenimento d'alcuni

cardinali. Espose il Guzman la tristizia e'l senso del suo signore per questo negato riconoscimento; la giustizia della sua causa, per esser egli già creato non pur coll'approvazione, ma coll' aiuto del pontefice Clemente a re de' Romani, a cui disse non far mestiero altra elezione per succedere all'imperio, sol che vachi in qualunque forma, senza trovarsi mai fatta distinzione intorno a ciò sopra il modo del vacare. Ed a farlo vacare, niente altro esser necessario, ove di sua voglia sia rinunziato dal possessore. Procedette a dimostrargli qual piacere avrebbon i nemici della religion cattolica in Alemagna, veggendo urtarsi l'una con l'altra quelle due podestà, ch'erano e le due più forti colonne di sostegno per essa, e i due più temuti scogli di naufragio per l'eresia. Al zelo infaticabile degli Austriaci doversi l'obligazione, che fosse rimasto in quelle provincie chi riverisse il pontefice per capo della Chiesa. Qual gagliarda tentazione recherebbe all'animo di Ferdinando, la cui natura, secondo il costume de' principi, era dilicatissima nell'onore, il vedersi contesa l'imperial dignità da quel

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