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solo, la cui pontifical dignità egli e Carlo V suo fratello aveano difesa con tanto dispendio, con tanto rischio, e con tanto odio di molti popoli e gran signori? Qual esempio darebbesi agli altri principi si stranieri, si alemanni, e a tutta la cristianità di sostenere il pontefice, da cui poscia fossero per titoli si sottili non solamente abbandonati ma impugnati? Pesasse la santità sua queste ragioni con le bilance della sua gran pietà e prudenza: e non volesse che'l frutto del suo troppo scrupoloso zelo fosse l'aver cagionato l'esterminio della religione. Il papa s'ingegnò di giustificar l'opera sua, dicendogli, che quanto il fatto era in personaggio più grande, e perciò più riguardevole, tanto la novità del caso richiedeva maggior maturità di consiglio. Fosse certo, ch'egli e i cardinali deputati da lui userebbono ogni arbitrio in consolazione di sua maestà: alla quale e per onorarla, e per renderle ragion dell'affare avea destinato nunzio il Boncompagno, che fu poi Gregorio XIII. E diegli (1) allora la dignità episcopale

(1) Lettera del cardinal Dandino al cardinal Capodiferro de' 23 di luglio 1558.

nella chiesa di Vesta. Benchè otto giorni appresso alla dipartita del Guzman (1) per maggior significazione d'onore verso Ferdinando, la quale valesse a raddolcirlo, deputògli un Legato, che fu il Rebiba, con opportunità che'l mandava in Pollonia per opporsi all'infezione ogni di più crescente in quella provincia.

Studio il re Filippo di muovere il papa alla ricognizione di Ferdinando, con destinargli ambasciadore a tal fine Giovanni Figueroa che in quel tempo governava Milano, il qual ad un'ora gli confermasse le sommessioni usategli per parte del re dal duca d'Alba nella pace. Ma il papa ricusò tale ambasciadore, come contumace della sacra inquisizione per aver fatto battere ignominiosamente un basso ufficiale di essa in odio dell'esercitato suo ministerio. Per la quale (2) offesa commise nel concistoro al cardinal Alessandrino supremo inquisitore, che formasse processo contra'l Figueroa; e al cardinal

(1) A' 20 di luglio, come negli Atti Concistoriali.

(2) Appare da una lettera del cardinal Dandino al cardinal Farnese de' 23 di novembre 1558.

Pacecco, che gl'interdicesse a nome suo la venuta, altrimenti l'avrebbe rinchiuso in Castello. Onde al Figueroa convenne ritirarsi in Gaeta, per dolore d'una tal repulsa mortificato, ed indi a poco anche morto perciò che quantunque il pontefice mitigato dalle preghiere del cardinale gli concedesse finalmente (1) il venire, la novella di ciò non gli giunse ad ora. E'l re gli sustituì Francesco Vargas, persona accetta al pontefice, senza però dargli in quel tempo titolo d'ambasciadore, per esser egli gentil uomo bensì d'antica famiglia, ma non così rilevata che giugnesse alla condizione solita nella corte di Spagna per la romana ambasceria: benchè in Roma sì come tale fosse onorato e nominato.

Nella causa di Ferdinando tutti gli altri consiglieri del papa concorrevano alla sentenza più dura, o perchè nelle cose ambigue il parer de'ministri suol conformarsi all' inclinazione del dominante, o perchè i consiglieri sogliono esser eletti

(1) Si narra da Pio V in un Breve al duca d'Alburqueque governator di Milano segnato il giorno ottavo d' ottobre 1569.

d'inclinazione a se conforme dal dominante (1). Solo profferia diverso giudicio Giovanni Groppero: il quale dopo la magnanima umiltà del ricusato cappello, era venuto a Roma chiamato dal pontefice, che intendeva d'impiegarlo nella destinata riformazione: e vi stava in sommo credito di dottrina e di senno, massimamente negli affari della Germania, in cui nè altri l'agguagliava d'esperienza, nè, considerato il suo gran rifiuto, cadeva in lui suspicione d'umano interesse. Consigliava egli, che condescendendo al tempo non si procedesse con tutti i rigori della ragione non correndo sì felici le avventure che la prudenza potesse cercar l'ottimo, ma il tollerabile. Spesso non solo il buon padre di famiglia, ma eziandio il cauto tutore rimettere qualche porzion de'crediti: e spesso chi è restio a donar con pace il poco, esser levato con forza il molto. Aver errato sì Carlo, sì Ferdinando in tralasciare qualche dovuta solennità: ma si confessasse l'errore: e'l pontefice a

(1) Lettera del nunzio in Ispagna a Pio IV, segnata il dì 22 di maggio 1560, fra le scritture de' signori Borghesi.

preghiere di tanti chieditori quali erano Ferdinando e Filippo, il rimettesse benignamente. Così dall'un lato non si verrebbe a perdere, anzi a corroborare l'autorità della sedia apostolica: dall'altro il medesimo fallo commesso gioverebbe acciò che il pontefice con la grazia acquistasse merito appresso que' principi, che aveano sì gran potenza di rendergli gratitudine. Il far altro imperadore che Ferdinando, non solo non esser possibile, ma nè appetibile. I Tedeschi volerlo tedesco, e ciò con ragione di publica utilità, così particolare della Germania come universale del cristianesimo. Or fra'principi tedeschi non trovarsene altro, nel quale si unisse tanta fermezza di religione a tanta potenza e per gli stati patrimoniali, e per la congiunzione col re di Spagna. Le condescensioni usate da Ferdinando agli eretici doversi imputare a necessità, non a volontà nel qual concetto concorreva il nunzio Delfino (1). Presupposto poi, che la podestà cesarea dovesse risedere in persona di quel principe, il richieder che'l

(1) Nella recata instruzione.

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