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punto che nella solennità dell'Epifania stava tutto fra le allegrezze e le feste col Legato Carrafa (1). Ma tornando agli affari di Roma: questa fiera semenza sparsa dall' acceso ragionamento del duca di Guisa, se non germogliò così presto, non rimase però mai secca nell'animo del papa, e vi pose i nipoti non in disgrazia, ma in suspicione. Seguirono le querele degli Spagnuoli: perciò che veggendo il re Filippo, che niun frutto si raccoglieva dalle caldissime intercessioni usate da se col cardinal Carrafa per la remissione di Marcantonio Colonna, alla cui difesa parevagli quasi aver mancato nella pace, e che sopra la causa di Ferdinando il pontefice, non ostante le sue instantissime lettere, e i vivi preghi del suo ambasciadore, riteneva tanta durezza, entrò in opinione, che'l cardinale, creduto da lui per arbitro del zio, conservasse un animo tutto avverso alle sue voglie, e alla sua corona. Onde con l'opera dell'ambasciadore, e del cardinal Pacecco procurò d'indebolire appresso al papa l'autorità del

(1) Diario del maestro delle cerimonie a' 6 di gennaio 1558.

nipote. Ed avvenne, che lamentatosi Paolo il di quinto di gennaio dell'anno 1559, appo i cardinali dell'inquisizione avanti a lui ragunati, per non avergli verun di essi notificata non so qual azione di scandalo commessa quattro di prima dal cardinal del Monte, per la quale minacciava di levargli eziandio il cappello, fu la colpa soavemente diminuita e scusata dal cardinal Pacecco, sì come non degna di tanta pena : ma il papa riscaldato nel zelo, proruppe, gridando, come avea talora in costume, riformazione, riformazione. Allora il Pacecco soggiunse: padre santo, convien che la riformazione comincisi da noi. Ben intese il pontefice, che significasse quel, noi, non dimenticato di ciò che con libera verità gli aveva esposto nel concistoro, come narrossi, il Pacecco medesimo, e seco il Compostellano, quando ei trattò di dar vescovado al Carrafa. E prestò maggior credenza a quella tacita ammonizione, però che nel visitare il nipote ch'era stato non molto prima infermo, gli avea trovate d'intorno alcune persone che ei riputava per istrumenti d'ogni licenza, e d'ogni lascivia. Al muro che già si crol

lava, diè l'estrema spinta Bongianni Gianfigliazzi ambasciadore del duca Cosimo. Riceveva egli trattamenti pessimi dal cardinal Carrafa, inzuppato de' sensi di Pietro Strozzi, e tutto inclinato agli usciti fiorentini, quali erano, oltra l'Aldobrandino principal ministro del papa, varii cortigiani del cardinale (1), che altro non avevano in cuore e in bocca, salvo l'antica libertà di Toscana. Ed erasi quest'affetto nel cardinale accresciuto dalla parzialità del ducă verso gli Spagnuoli nella prossima guerra, non ostante gli allettamenti del papa alla parte di Francia, dei quali avea quegli profittato a guadagnar Siena dal re Filippo in concorrenza dei Carrafi. E però il cardinale, che o non sapeva o non degnava celar questo suo interno rancore, usava ogni dispettoso modo coll'orator del duca. Onde avvenne, che il Gianfigliazzi una volta fu escluso con disprezzevol maniera dalla entrata al cardinale. Egli indi a pochissimi giorni, ed ancora caldo di vergogna e di collera, andò a prendere la sua ordinaria

(1) Relazione del Navagero.

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udienza dal papa e versò contra il cardinale, e contra i fratelli ciò che gli seppe dettare e la lunga informazion della corte, e l'acuta eloquenza della passione. Il papa dunque non rivocando più in dubbio ciò che intendeva per tanti gravissimi indizii, e per tante autorevoli testimonianze, incominciò a sguainar la severità con escludere il cardinale dal suo cospetto. Ed egli sconsigliatamente, anzi di procacciarsi amici in sì gran bisogno, fece segno di riconoscere la percossa dagli ufficii del cardinal Vitelli, e d'altri palatini, obligandoli a divenir nemici di chi sapeano che gli teneva per tali, e che per tali gli avrebbe trattati quando fosse risurto. Crescendo però nella corte il numero degli amareggiati, ed aumentandosi in essi la speranza d'atterrare, e per conseguente scemandosi in loro la tema di rovinare, cominciarono ad usar quell'ardire che da principio non ebbero, eccetto i non dependenti stranieri. E dove prima il biasimare i nipoti al papa sarebbesi fuggito come grand' offesa del suo amore, allora eleggevasi come lusinga del sopravvenuto suo sdegno. Così andossi ondeggiando

fin al giorno ventisette di gennaio dedicato a s. Giovanni Grisostomo di cui era il papa singularmente divoto. Quel dì tenne concistoro, e v'introdusse Salvadore Pacini vescovo di Chiusi e governator di Roma, il datario, il Boncompagno vicegerente della camera, Pier Giovanni Aleotto vescovo di Forlì, Luigi Lippomani traslato dianzi alla chiesa di Bergamo (1) e suo segretario, con due altri segretarii il Floribello, e'l Berengo e oltre a questi il fiscal Pallantieri, e Camillo Orsini dell'Amentana baron romano marito d'una sua nipote, nel quale molto fidavasi, e che l'avea servito nelle preterite guerre. Alla presenza di tutti questi detestò con lunghissimo ragionamento bagnato di lagrime la mala vita de' nipoti: scoprì molti lor mancamenti e fece il seguente decreto, ingiugnendo a'tre segretarii Lippomano, Floribello, e Berengo, che lo notassero, al governatore, e al vicegerente della camera, che l'intimassero, ed usando gli altri prenominati per testimonii. Nel decreto imponeva loro l'uscir di Roma con

(1) A' 20 di luglio 1558, come negli Atti Concistoriali.

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