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egli avea poc'anzi faltato. Nè questa vittoria fumen funesta al vincitore, rimanendo Maurizio quivi ferito d' archibusata si mortalmente, che fra due giorni uscì di vita senza prole, succedendogli nell'elettorato il fratello Augusto dopo qualche controversia terminata per concordia con quel Gianfederigo prima elettore, e dipoi fatto prigione e privato da Cesare nell'altra guerra coi protestanti, liberato ultimamente da lui, sì come tosto racconterassi. Tal premio ebbero i motori, benchè vittoriosi, di quella tempesta contra la religione. Ma sì ella, si la potenza cesarea ne patì gravissimi ed irreparabili detrimenti. Nè mancò chi dicesse, aver Dio voluto mostrare a Carlo V, ch'eziandio a costo della sua Chiesa il puniva per la smoderata avidità d'occupar la città di Parma. Senza entrar noi negli arcani della divina provvidenza, e nella giustizia delle contese fra' principi, questo è certo che se Carlo avesse uditi i conforti di Giulio, addietro commemorati, sarebbe divenuto signor pacifico della Germania, ridotta dal suo braccio alla fede, e lasciata in retaggio, come trofeo della sua pietà e della sua fortezza, a' vicarii di

Cristo, ed a' principi d'Austria. Ma il sapersi moderare nella somma felicità, sarebbe un nuovo compimento di felicità che trascenderebbe l'umano. Ora ci ritrarremo a' tempi d'onde scorremmo.

Ferdinando, principe avidissimo della pace, e come tale non diffidente de' protestanti, nel primo prorompere di questa guerra dimorava alla guardia dell'Ungheria : e quindi fu chiamato frettolosamente da Cesare fin sul mese d'aprile, benchè con sua grave incomodità per li grandi avanzamenti, che'l Turco vi fe quell' anno. Sì ch'egli dopo molti viaggi e colloquii, con l'opera ancora del duca di Baviera suo genero, conchiuse la famosa concordia celebrata nel convento di Passavia (1), e che insieme con quella di Norimberga stabilita l'anno 1532 chiamansi da' protestanti le due colonne della loro libertà. Quivi congiunti i principi dell'imperio, intorno alle cose di stato fu pattovita specialmente la liberazione di Filippo Langravio, e che Maurizio militasse

(1) Oltre agli autori allegati, la relazione del vescovo Delfino nunzio in Germania al cardinal Carrafa nipote di Paolo IV l'anno 1557.

con diecimila uomini a servigio di Ferdinando nell' Ungheria contra 'l Turco. Il qual patto non riuscì però ad alcun giovamento (1), perchè la stagione e l'armi turchesche erano si avanti che le perdite non si poterono ritardare. Liberò anche Cesare spontaneamente Gianfederigo elettore già di Sassonia, a cui egli aveva offerto di lasciarlo in sua balia nella tumultuaria partenza da Ispruch, ma esso l'avea ricusato, volendo seguirlo. Nel che uni egli una generosa apparenza con una sottil prudenza, intendendo che solo per questa via poteva sperar la ricuperazione della perduta dignità elettorale, se variandosi la fortuna, Cesare avesse superato Maurizio in cui l'avea trasportata, con punire in questo modo l'ingratitudine dell' uno, e premiare la fedeltà dell'altro. Nel resto non poteva Gianfederigo dubitar più della libertà in veruno avvenimento, posta l'offerta di Cesare e'l magnanimo suo rifiuto in quel sinistro del suo signore.

Sopra le materie di religione fu convenuto in due articoli. Il primo era: che

(1) Vedi l'Adriano nel libro 9.

niuna delle due parti chiamate della religione vecchia, e de confessionisti (rifiutando questi o di ricever l'odioso nome d'eretici, o d'attribuire lo splendido di cattolici) potesse molestar l'altra per causa di religione. E così ebbe fine il decreto dell'Interim, che uscendo con uno scoppio sì strepitoso, poco durò, e meno operò. Aggiugnendosi a quest' articolo: che agli uni ed agli altri fosse amministrata indifferentemente giustizia nella camera imperiale. Il secondo era che tra sei mesi fosse raccolta una novella dieta ove si deliberasse in quale de'quattro modi si potessero meglio accordar le contese di religione, o col concilio generale, o col nazionale, o con un colloquio, o con un convento imperiale. Non intervenne Carlo personalmente a questa concordia. E però, benchè egli adempiesse la liberazione di Filippo, e l'altre convenzioni, prorogando solamente per qualche tempo la convocazione della dieta, e benchè il tutto fosse promesso a nome di lui dal re de'Romani, nondimeno, riputando egli quell'atto difforme all'altre sue gloriosissime operazioni, non volle mai publicare d'avervi consentito. Dal che

T. VII.

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avvenne, che ne rimanesse incaricata la fama del fratello, e che'l pontefice Paolo IV per questa fra l'altre cagioni sempre ricusasse di conoscerlo e di confermarlo per imperadore. Ma chi sapeva l'infinita riverenza di Ferdinando verso Carlo, e la diffidenza che di Carlo avevano i protestanti, cui allora l'orgoglio per la prosperità rendeva più insaziabili nelle soddisfazioni, non può sospettare o che l'uno promettesse per Cesare quel che non aveva in commessione, o che gli altri consentissero nella pace senza vedere i mandati. Onde l'unica scusa di Carlo V può essere quell'imperiosa necessità di cui rimangono ligie tutte l'umane potenze.

Non erasi trascurata dal pontefice veruna industria per liberar l'imperadore da quelle strette. Onde sollecitamente avea spinti due nunzii dopo la tregua di Parma a procacciar la piena concordia fra le corone, Prospero Santacroce auditor di Ruota, che fu poi cardinale, ad Arrigo, ed Achille Grassi vescovo di Montefiascone a Carlo. Al Santacroce fu imposto, che assicurasse il re intorno alla sincera riconciliazione del papa, la quale benchè aves

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