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intendessero con tal opera a scuotere la maggioranza del supremo inquisitore, che era in quel tempo nella Spagna l'arcivescovo di Siviglia, persona lor grave ed odiosa. Altri, che il vero fine degli oltramontani fosse il sottrarsi da si piena ed assoluta podestà del pontefice. Ma da'saggi il più piano, come suol avvenire, fu giudicato il più vero: cioè, che di fatto gli Spagnuoli fossero in tal sentenza, ultimamente insegnata da Francesco Vittoria, domenicano, teologo prestantissimo, e seminatore, per così dir, nella Spagna della scolastica teologia: la quale, per addietro quivi poco allignata, è dipoi fiorita segnalatamente in que' regni. E, come ogni uno è disposto a sentire altamente del proprio suo grado, cotal opinione aver trovato favorevole ricetto nella mente dei vescovi : la gelosia per altra parte essere cagione d'una contenziosissima resistenza ne' più amatori della sedia apostolica, e questa medesima resistenza rinfiammar la voglia, ed accrescer l'impeto ne' fautori. Sembrava ad alcuni, che la lite si fosse ridotta a meri vocaboli : da che gli uni volevano, che la giurisdizione de' vescovi

venisse immediatamente dal papa, gli altri da Cristo, si veramente che l'uso e la materia dependesse dal papa. Ma i più sottili o più scrupolosi vi avvisavano gran differenza: affermando, trarsi dalla seconda opinione, che, assegnatasi una volta dal pontefice alla giurisdizione del vescovo la materia, gli fosse disdetto il ritorla o diminuirla senza cagione, secondo una famosa dottrina dell'abate palermitano, e di Decio sopra il capitolo ultimo de confir. util., e dello stesso abate nella quistione la quale incomincia: Episcopus. E benchè, discorrevan essi, eziandio posta la sentenza contraria, non sia lecito al papa l'operar ciò a libito inragionevole ; nondimeno, ove il faccia, l'atto ha valore: là dove sarebbe cosa di grave perturbazione, se tali suoi inragionevoli ordinamenti, come non son leciti, così non fosser valevoli. Edacutamente consideravan costoro, che nel vero nulla di male ciò recherebbe, se il ragionevole e l'inragionevole fossero due colori che apparissero manifesti alla veduta: ma soggiacendo tutte le cose morali a diversità di pareri, meglio essere, che il papa, il quale ordinariamente suol

eleggersi pio e savio, e che ha i rimorsi della coscienza e dell'onore, possa talora obligare i sudditi eziandio con qualche inragionevole ordinazione, che non sarebbe constituir lui di principe ch' egli è, soggetto al giudicio vario e passionato de'suoi soggetti: per maniera che, qualora volesse riserbare a se un beneficio situato nella diocesi altrui, o prevenir la collazione dell'ordinario, o dar esenzione a un suddito dalla podestà del prelato, o far traslazione d'un vescovo da una cattedrale ad altra, si potesse litigar sempre mai di nullo valore, colorando ciò col difetto della sufficiente cagione. Questi risguardi facevano che molti ingelosissero ad ogni parola, nè consentissero a dichiarare, che i vescovi fossero senza mezzo da Cristo, se non vi si poneva, a preservar ciò da ogni sinistro intendimento, questa limitazione: in quanto è alla podestà dell'Ordine.

Quindi seguì che la forma divisata dal Lorenese non sorti la piena accettazione (1), com'egli s'era confidato di che

(1) Lettera del Visconti al cardinal Borromeo de' 6 di dicembre 1562.

e nell'animo, e nelle parole si dolse. Piaceva ella oltre modo a' due cardinali teologi Seripando ed Osio: ma il Simonetta, cauto a suo uso nella guardia dell'autorità pontificale, richiese che fossero deputati ad esaminarla per opera nove fra teologi e canonisti. I teologi furono Pierantonio di Capova, fra Leonardo Marini, fra Guasparre del Fosso, arcivescovi d'Otranto, di Lanciano, e di Reggio, e Diego Lainez generale della compagnia di Gesù. I canonisti, due futuri pontefici, Ugo Boncompagni, e Giannantonio Facchenetti vescovi di Vesta, e di Nicastro, due futuri cardinali, Gabriello Paleotti uditor di Ruota, e Scipione Lancellotti avvocato del concilio: e fu loro aggiunto il promotore Giambattista Castelli. A'tre primi teologi soddisfaceva il modello del Lorenese : non così al Lainez, il qual diceva (1), parergli d'antiveder da lungi una scisma. E con lui sentirono al fine concordevolmente i canonisti. La somma delle opposizioni fu tale.

(1) Lettera del Gualtiero al cardinal Borromeo de' 6 di dicembre 1562.

Il settimo canone, secondo la già detta forma, in dichiarando che i vescovi fosser instituiti da Cristo, nulla percuotere gli eretici, ch'era l'intento del concilio: imperò che non negavano essi ciò, ma dicevano, che i vescovi assunti dal romano pontefice non sono veri e legittimi vescovi, chiamandoli teste rase, unte, inoliate, e larve papali.

Condannarsi quivi la sentenza d' assaissimi scrittori cattolici, i quali tenevano, che un sol vescovo, cioè Pietro, fu instituito da Cristo, e tutti gli altri da Pietro.

Porgersi quindi apparenza per credere, che i vescovi eletti fra gli eretici da' re o dal popolo, sieno veri e legittimi vescovi; perciò che nell'affermare assolutamente, che i vescovi sono instituiti da Cristo, par che si dia ad intendere la lor podestà esser tutta da Cristo, si che l'elettore v'eserciti un ignudo ministerio, non virtù di cagione efficiente : il che dianzi aveva posto nella considerazione il vescovo Ibernese, come argomento indotto a suo uso dalla reina d'Inghilterra.

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