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zioni volesse alzare il pregio della sua po tenza e 'l merito della sua opera: là dove per altra parte il Gualtieri venne a chia

rezza,

non essere lui arbitro dei prelati francesi, quando fu presente a un fervido contrasto fra tre di essi che riferivano totalmente, e senza limitazione la residenza a legge divina, e fra il cardinale che ciò impugnava. Sopra le doglienze contro al pontefice per le condizioni poste al sussidio, non lasciò egli di far vedere al cardinale, esser cose troppo fra loro disconvenevoli e ripugnanti, che 'l re chiedesse aiuto ad un braccio, e nello stesso tempo ne traesse il sangue per cui si rendeva robusto, con torre alla sede apostolica l'antichissima esazione di varii diritti nei beneficii di Francia. Nè la provvisione fatta contro a quel nuovo editto esser sufficiente, anzi vedersi quivi taciute con insolita ed affettata maniera alcune circostanze, il cui silenzio lasciava sì fatta provvisione di nulla forza.

Ma non così aggiudicava il Gualtieri la ragione ai pontificii nella rea credenza che ritenevano contra l'animo del cardinale. E ciò il facea vivere in perpetuo tra

vaglio, mentre ad ogni ora ei trovava il cardinale innasprito o per nuove lettere di Roma, o per nuove relazioni in Trento, le quali gli rapportavano i sempre rinascenti sospetti quivi nel pontefice, qui nel cardinal Simonetta, e in due vescovi con cui più egli si ristrigneva, cioè nel Castagna e nel Boncompagno: contra i quali è incredibile quanto sdegno il cardinal dimostrasse: non prevedendo in quei due prelati la futura grandezza cui ascondea nella presente mediocrità di lor condizione l'incomprensibile Provvidenza.

Già soprastava il dì stabilito per la sessione: e avendo parlato si pochi sopra il decreto intorno alla residenza, e rimanendo ancora sospesa la più combattuta quistione della dottrina, i Legati scorgevano necessità di novello indugio. Ed appunto giunsero loro in quel tempo (1) varie lettere da Roma che portarono la risposta sopra i due canoni proposti dal Lorenese, e sopra tutto l'affare. Significava il pontefice, che nella forma del ca

(1) Lettere del cardinal Borromeo al Mantovano in particolare, e a' Legati in comune de' 5, e dei 12 di dicembre 1562.

none posta innanzi dal Lorencse, i deputati di Roma, e principalmente i teologi sentivano varie difficultà, e desideravano varie alterazioni, le quali per la gravità della materia non si potevano aggiustar così tosto. Per tanto proponea tre partiti...

Il primo e 'l più gradito à lui era il messo a trattato per addietro dal cardinal di Loreno, cioè di smorzar quella quistione sopra l'instituzion de' vescovi, sì come inutile, intrigata, e pericolosa: parendo strano il fare un articolo di fede in mezzo a tante contraddizioni, e nel quale fosse mestier condannare o dall' un canto, o dall'altro l'opinione di molti buoni e santi scrittori. Sperarsi che 'l cardinale promoverebbe di ciò l'effetto, com'era stato autore del consiglio, tal che a se vedrebbe ridondarne tutto l'onore.

Il secondo, tanto nell'ordine della lettera, quanto nel desiderio del papa, era, che, ove i padri non potessero indursi a questo tralasciamento, almeno per non es ser l'affare ancora smaltito, si ponesse da lato nella imminente sessione.

L'ultimo fu, che, se nè pure a ciò consentissero gli animi riscaldati, si ritardas

se la sessione medesima, secondo che anche per altro avea consigliati il pontefice i presidenti, affinchè ella seguisse più ricca, e spléndida, comprendendo ancora gli articoli del matrimonio. Ma ora, oltre a un tal rispetto, il moveva la regola di ricorrere all' efficacia del tempo, quando fa bisogno di temperare il bollor della moltitudine: essendo natura del tempo raffrenare tutto il violento, e ridurre al mezzo gli eccessi. Onde scriveva, potersi indugiar la sessione fino alla metà di gennaio: e posta la brevità delle giornate vernali, non costrignere i prelati al travaglio di duplicate congregazioni cotidiane. A che anche fuor di questo necessitò i presidenti la stanchezza, e la querimonia dei padri.

In ultimo porse loro a considerare, che trattandosi nel sacramento dell'Ordine di tutta la gerarchia ecclesiastica, parea conveniente di non tacere intorno al capo di essa, ch'è il vicario di Cristo, ma di parlarne o con le parole medesime poc'anzi usate dal concilio fiorentino, o con altre non inferiori.

Ricevute queste commessioni, avvisarono i Legati che non si scorgeva possi

bile né il tralasciamento della quistione, nè l'arricchimento della sessione (1), quantunque prorogata, con aggiunta d'altre materie. Anzi, prevedendo essi che la necessaria lunghezza avanzerebbe di troppo e la voglia, e l'opinion del pontefice, e non confidandosi di fargli intendere il ve ro con la breve, e languida, esposizion delle lettere, deliberarono di prevenire il tempo, e cambiare il fine nella messione del Visconti, inviandolo senza aspettar le richieste del Lorenese, le quali poi riserbarono di mandare o coll' Antinori, o con altro messo. Imperò che si fero a credere, che niuno avrebbe potuto rappresentare vivamente agli occhi del papa e del cardinal Borromeo la presente immagine del concilio a pari di quel prelato, come di tale ch' era stato aspettante insieme del più intimo, ed autore del più arduo; ed a cui non si negherebbe credenza o dal pontefice al quale era confidente (2), o dal cardinal Borromeo, al quale anche era parente.

14,

(1) Lettera de' Legati al cardinal Borromeo dei e de'17 di dicembre 1562.

(2) Atti del Paleotto.

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