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Fra tanto il giorno decimosesto di dicembre (1), cui seguiva immediatamente il deputato alla funzione, il cardinal Seripando disse nell' adunanza: ch'egli sarebbe forsennato, se mettesse in discorso il potersi tenere o no la sessione il crastino giorno. Solo il dubbio cader sopra la cagion del prolungamento. I Legati essere accusatori ed insieme accusati: accusatori dell'altrui prolissità, accusati per la tolleranza di questa prolissità. Non venir grave ad essi il titolo di tale accusa, la qual finalmente apponeva loro un eccesso di umiltà e di pazienza. Ma che ben essi ripregavano i padri con sommo affetto di cuore ad emendarsi per innanzi. Aver lui letto in sua gioventù presso non so qual poeta, in riprensione d'un pastore che im prendeva opere superiori al suo mestiero: pastorem, Tityre, pingues pascere oportet oves. Parergli ciò acconcio al loro proposito. Si ricordassero che 'l pastore dee pascere il gregge, e non gli altri pastori; quali erano quelli alle cui orecchie ciascun de'pa dri ragionava, allungandosi in dottrine a

(1) Diario a' 16, e lettera de' Legati al cardinal Borromeo de' 17 di dicembre 1562, ed Atti.

tali uditori notissime. In queste frequenti prorogazioni essersi cercata dagli amici materia di lode, e non averlavi trovata: essersi cercata dagl' inimici materia di biasimo, ed averlavi trovata; significando elle discordia, contrasto, pertinacia. Due cose potersi fare al presente. L'una era il ritardar la sessione a giorno incerto, per dichiararlo quando si fosse in punto. A ciò da un legista opporsi, che la giornata della sessione, come di sentenza, convien che sia certa e prenunziata. L'altra era il riserbarsi a constituirne il di certo fra lo spazio di quindici giorni, quanti appunto ne rimanevano di quell'anno. Eleggessero i padri ciò che giudicassero per lo migliore.

Il secondo modo fu antiposto ad una voce: sì come sempre fra due partiti il più accettevole è quello che lascia maggior potere agli accettatori. E così fecesi la quarta prorogazione.

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Avvenuto ciò, mentre i Legati stavano in punto d'accommiatare il Visconti, entrò in loro speranza (1) ch' egli potesse portare insieme le petizioni de' Francesi ;

(1) Lettera de' Legati al cardinal Borromeo ai 21 di dicembre 1562.

sembrando questi già in termine di stabilirle. Ma come il vincolo della legge par di seta a chi l'ordisce, e di ferro a chi lo riceve, così tra gli stessi Francesi nacque discordia: imperò che gli ambasciadori volevano legare i vescovi a più che i lor vescovi non consentivano di tollerare. Onde alla riformazione che quelli ricercavano da tutta la Chiesa coll'opera de' loro prelati, i medesimi loro prelati furono i primi contraddittori. Sì che i Legati, antivedendo lunghezza, troncaron gl'indugi; e licenziarono il Visconti ai ventisei di dicembre con tale informazione.

Mandar (1) essi lui a due fini: di scolpar se stessi dalle imputazioni che sentivano esser date loro presso il pontefice : e di saper la sua volontà intorno agli affari presenti.

L'imputazioni esser due. La prima, che avesser lasciata avanzar tanto questa disputazione sopra il settimo canone; ove sarebbe convenuto fin al principio dare in sul petto a chi voleva importunamente introdurla. Sopra questo ritessevasi da

(1) Sta fra le scritture registrate dopo la relazione del Musotto.

capo la tela del successo. Ricordavano che innanzi di portare il canone ai padri, il cardinal Seripando avea fatte recidere quelle parole: di ragione divina, apparecchiatevi nel tempo del Legato Crescenzio. Rammemoravano il romore e i protesti fattine dagli Spagnuoli; la testimonianza dell'Aiala intorno alle cose stabilite sotto il già detto Legato, convinta poi dal Mantovano con gli atti autentici: e quel più ch'era intervenuto avanti e dopo la giunta del cardinal di Loreno. Or considerasse il pontefice, di quanto scompiglio sarebbe potuto esser cagione l'usar maniere più violente per interdire ai prelati il trattare di quell'articolo, posta la moltitudine delle teste, la varietà delle nazioni, la durezza de' cervelli, l'ardore della contesa.

In secondo luogo imputarsi loro, che si fosse dinunziata la sessione per troppo vicino termine, il che avergli costretti a prorogare, e la stessa prorogazione essersi fatta così breve, che non erasi potuto a tempo aver consiglio col papa delle materie da statuirsi. Ora i Legati per loro escusazione riducevano in memoria gli assidui stimoli dati loro da Roma: sì che

in prima il giorno prescritto della sessione era paruto lontano. La prorogazione poi essersi fatta secondo le più sentenze; le quali non l'aveano ammessa per ispazio maggiore. In fine di questo capo dolevansi agramente d'alcuni, i quali vendevano care al pontefice bevande d'assenzio; ostentando appresso di lui la fede e la divozione, con porgergli molesti annunzii e sinistre informazioni d'altrui: e così gli portavano sempre il falso insieme e l'acerbo, e ne ritraevano stima di benivoli, e trattazione di benemeriti.

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Intorno al secondo fine per cui si mandava il Visconti, premettevano una relazione sopra gli andamenti del cardinal di Loreno, i quali dicevano esser seguiti oltre modo più tollerabili di ciò che s'era sperato innanzi alla prova. Aver lui parlato sempre con piena riverenza verso il pontefice e verso la sede apostolica. Nelle due quistioni di più gelosia essere stati i suoi pareri assai temperati e comportevoli. Più oltra, aver lui consentito che la forma da se proposta si comunicasse al papa, con offerire che, ove la santità sua vi trovasse qualche malagevolezza, egli

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