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farebbe opera coi suoi confidenti per su perarla. Ed in breve, se il processo corrispondesse ai principii, essersi per avere assai minor fastidio da lui, di quel che si era sofferto non solo dagli Spagnuoli, ma da qualche strano spirito degl' Italiani. Cosi prometter l' esteriore: dell' interno, sì come Iddio solo è conoscitor non errato, così lui solo esser giudice non teme

rario.

Dopo questa relazione pregavano il papa del suo comandamento in tre capi, e chiedevano a punto il comandamento, non un consiglio modesto e rimesso alla lor prudenza, qual egli soleva dare: intendendo essi, che ai ministri, nelle materie incerte e pericolose, la miglior condizione si è la meno splendida, cioè di meri esecutori, non d'arbitri.

Il primo capo era: se, quando sopra il settimo canone non si trovasse concio di comun soddisfazione, i Legati dovessero in qualunque modo sopprimerlo, non ostante qual che si fosse rischio, qual era, che gli Spagnuoli, tanto in esso infervorati, s'astenessero in tal caso dalla sessione; e, che veggendosi in questa materia

sì gran corrispondenza fra i principi e fra le nazioni oltramontane, si potesse venire ad un rompimento, o ad una scisma.

Il secondo, se, ove accadesse, che nell'articolo della residenza non si potessero amorevolmente ritenere i padri dalla scogliosa quistione, dovessero i Legati, usando l'assoluta lor podestà, ritrarneli a forza, o più tosto lasciarla lor proseguire, e determinare.

Il terzo, avvenendo che i Francesi volessero far proposizioni pregiudiciali all'autorità della sede apostolica, se i presidenti avessero da proibirlo, non ritenendosi da ciò per sapere quanto strepito si era eccitato e in Ispagna ed altrove della particella, proponenti i Legati, quasi di catena che annodasse le mani ai padri, e togliesse loro la libertà: o pure si volessero permetter tali proposte, quantunque elle si conoscessero pericolare l'autorità pontificia. Con tale instruzione mosse verso Roma il Visconti.

Fu opportuno ch' egli portasse le sole ambasciate dei presidenti, e non insieme le richieste del Lorenese: imperò che avendo questi proposto per un tale ufficio il

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Gualtieri, e ricevutone in risposta dai Legati (1), che 'l cardinal Borromeo per ciò nominava il Visconti, se n'era il Gualtieri attristato, quasi gli diminuisse presso il cardinal di Loreno l'opinion della confidenza col principe: la quale opinione valevagli d'onore insieme e d'autorità nel negozio. Onde riconfortossi quando per lui rimase quell' opera.

Non finava (2) egli di travagliar con tutti i suoi ingegni per dissipar le nebbie, e per disacerbare l'acetosità in amendue le parti. A Roma fece sentire che la sinistra fama intorno ai pensieri del cardinale non avea solido fondamento, ma stava appoggiata o sopra qualche parola di suspizione profferita in Fiandra dal cardinal di Granuela, forse alterata nel rapporto, e almeno pronunziata da uomo poco autorevole in giudicar dei Francesi, o sopra qualche violento concetto uditosi in bocca del vescovo di Metz, e d'alcun altro prelato di quella schiera: i quali concetti

(1) Lettera del Gualtieri al cardinal Borromeo a' 14 di dicembre 1562.

(2) Lettera del Gualtieri al cardinal Borromeo de' 17 di dicembre 1562.**

nulla più conchiudevano, tale esser la mente del capo, che molti detti impru denti d'alcun vescovo riputato confidentissimo dei presidenti, conchiudessero, conformarsi a ciò la loro intenzione. D'altro canto mentre la lingua del cardinale, il suo grado, la professione che facevano in Francia i suoi di propugnacolo alla religione, e l'altre sue qualità intrinsiche ed estrinseche promettevano un difensore della sede apostolica, qual regola di buon discorso volere che si credesse il contrario, solo perchè era contrario al retto? E, posto eziandio che si volesse di lui presumere il peggio, qual senno consigliare, che con l'ingiuria della palese diffidenza si facesse egli per sorte divenir avversario, o qual non sarebbe, o prima che non sareb be, o più acerbo che non sarebbe? Vero esser ch'ei non si rendeva cotanto agevole a sopir nel silenzio il settimo canone, quanto in prima s'era mostrato; ma ciò essere avvenuto perchè i presidenti avevano lodata la nuova forma da lui proposta, ed invogliatolo della gloria, che 'l suo ingegno fosse riconosciuto per accordatore di si alto e famoso litigio.

Così studiava il Gualtieri di serenare l'animo del papa verso il cardinale: ma non meno di studio usava per serenar quello del cardinale, a cui venivano altronde perpetue nuvole per farlo adombrare verso il papa ed i suoi ministri. Fra Tommaso Stella (1) vescovo di capo d'Istria, che professava una somma parzialità della sede apostolica, ed era intrinsico del cardinal Simonetta, in una sua lunga diceria sopra la residenza avea profferito nell'assemblea, che i petitori della riformazione vedevano le paglie negli occhi altrui, e non le travi nei loro: e che sotto il velo d'emendare i cattivi usi ascondevano l'intendimento di suscitare una scisma. Ed eransi da lui replicate più volte quelle parole della Scrittura: ogni male dall'aquilone: il qual taglio di vesta fu tutto dal cardinale applicato al suo dosso. E perchè lo Stella avea conchiuso, che il papa è obligato dalla ragione divina di costrignere i vescovi a risedere, il cardinale prese quindi materia di proverbiarlo, quasi nel

(1) Tutto appare da lettere del Gualtieri al cardinal Borromeo segnate ne' dì 17, 19, 20 e 21 di dicembre 1562.

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