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quel che tanto rileva per servigio di nostro Signore, per bene della sua Chiesa, e per l'autorità della santità vostra, com'è la conservazion della religione, e il rimediare ai mali che oggi corrono nella cristianità. Questa lettera del re al pontefice, aggiunta alla antecedente sposizione fattagli dal Vargas, il confermò nella fidanza, che la controversia del luogo nè ritarderebbe il conte dal venire a Trento, nè porterebbe scompiglio dopo la sua venuta. Ond' egli prese consiglio d'invitarlo e di sollecitarlo anche per una sua epistola (1): nella quale faceagli segno che assai gli piacesse l'elezione fatta di lui a quell'impresa e gli prometteva con molte parole appostevi dalla sua medesima penna tutto il giusto e'l convenevole in servigio del cristianesimo. E mandò la già detta epistola a'presidenti, rimettendo al giudicio loro il farla presentare al conte: e con questo significò, parergli buono ch'essi gli spignessero qualche messaggio, ma non prelato, il quale facesse con lui un simile ufficio per parte loro, mostrando informa

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zione ad esso di ciò che'l re gl'imponeva, e che a'nunzii aveva comunicato. Onde i Legati, intendendo come il conte facea dimora in Augusta appresso il re de' Romani con lenta cura di pigliare il cammino, mandarono Scipion Lancellotti (1) avvocato del concilio ad esporgli il desiderio loro della sua venuta, significazione che mostra, e però cagiona benivolenza ed insieme a comunicarli le proposizioni di Cesare e del re cristianissimo, a fine di preoccupare il suo animo con le ragioni a varii di que' capi contrarie.

Nè minor diligenza usava il pontefice per guadagnare anche l'animo del cardinal di Loreno, il quale molti di prima nella mession del Bertone suo segretario gli avea scritto con grave querela delle tante mormorazioni, onde in Roma si lacerava la sua fama, e si falsava la sua mente. Il papa dunque gli rispose un'amorevolissima lettera (2). Esser noto al cardinale, quanto la città di Roma per antico fosse licenziosa in parlare e sparlar di

(1) Lettera de' Legati al cardinal Borromeo ai 4 di gennaio 1563, ed Atti del Paleotto.

(2) A' 30 di dicembre 1562.

tutti, eziandio dello stesso principe: il quale in ciò non avea potenza di porle freno. Che il sano ed unico rimedio era il far essi tanto meglio, quanto gli altri dicevan peggio. Fosse certo il cardinale, che'l pontefice il teneva in quell'opinione in cui avrebbe desiderato d'esser tenuto egli stesso. Doversi il cardinale appagare di ciò, et malignum (1) (così appunto scriveva con le parole d' Orazio) spernere vulgus. Si trascurassero le sue vane mormorazioni, e s'attendesse meramente così al bene universal della Chiesa, come al particolar della Francia: perchè ad amendue prometteva egli di concorrere in ogni lecito modo, secondo che più ampiamente avrebbe detto al vescovo di Viterbo.

E però che il papa avea conceputa opinione si dalla maniera di scrivere del cardinale e dalla voce del Bertone, sì dalle lettere sopra riferite del Gualtieri, che dal Lorenese la parsimonia dei Legati nella confidenza verso lui s'attribuisse o a bassa o a mala stimazione di lui, fe loro significare (2), che intendeva per varie parti (1) Oratius lib. 2, ode 16.

(2) Lettera del card. Borromeo a' Legati ai 30 di

queste doglienze del cardinale; a cui pareva non solo d'esser lasciato da parte come dispregevole, ma tenuto studiosamente lontano dai negozii come nemico : ond' era sua volontà che seco largamente comunicassero gli affari del concilio. E mandò loro da rendergli, sì come fero, la sua mentovata risposta, insieme con un'altra (1) del cardinal Borromeo appartenente a tener bene animata la reina di Scozia nipote sua contra l'arti e gl' impeti degli eretici, e a prestarle dal canto di Roma ogni aiuto. Ma i Legati, avvisandosi che questo colpo venisse a loro da più malevola mano, e quanto più avvezzi, tanto più stanchi d'esser bersaglio ad accuse, riscrissero con risentimento. Prender essi maraviglia, che sua santità desse udienza, non che fede, a tali bugie, dapoi che tante volte ne l'avevano ammonita. Essere strana loro sciagura lo star soggetti alla penna di chi che fosse. Qual similitudine di vero persuadere alla santità sua, ch'eglino si guardassero dal cardinal di Loreno co

dicembre 1562, e dei Legati al cardinal Borromeo dei 7 di gennaio 1563.

(1) A' 30 di dicembre 1562.

me da nemico, quando si spesso nelle lettere loro s'eran lodati del suo dire e del suo fare? Aver essi in lui trovato tanto di probità, e di religione, e d'affezione verso il papa e la sedia apostolica, che s'avevano recata a ventura la sua presenza : stimandolo come angelo di pace mandato da Dio al concilio. Essersi da loro in conformità di ciò adoperato ogni ingegno fin da principio a fine di liberarlo dalla rea opinione in cui era stato posto, che fosse venuto pieno di mal talento contro alla santa sede: rammaricandosi col cardinal Borromeo, che alcune lettere di Roma, ed alcuni mali spiriti in Trento facessero opera contraria a questa loro industria. Sempre averlo renduto partecipe de' negozii, senza mai sentir cagione di ritrarsene per innanzi. Se il pontefice avesse data la conveniente disciplina a tali calunniatori, sarebbono rimasti liberi i Legati dall' ingiusto travaglio, e sua santità dall'inutil fastidio. Così risposero. E pur mentre si richiamavano che 'l papa desse vana fede agli altrui rapporti, davano essi vana fede ai loro sospetti: imperò che ciò non era punto falsa calunnia ma vera relazio

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