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scovi e dalle università, o da' concilii provinciali.

Nella general emendazione de' costumi, si rimediasse alla vita impudica degli ecclesiastici, fonte d'innumerabili mali: ed ove questo non si potesse altrimenti, almeno con ordinare i preti non prima di tal età che fosse manco soggetta a queste cadute.

Che oltre a ciò, qualora in concilio si proponesse qualche concedimento, il qual conferisse a ricuperar tante nobili provincie disunite dalla Chiesa, e non contrariasse alla parola di Dio; come non contrariavano, per esempio, il matrimonio dei preti, e il lasciamento dei beni ecclesiastici occupati; sempre gli ambasciatori di sua maestà unissero loro diligenza per l'impetrazione, e massimamente coi vescovi francesi: e questo si per l'utilità che se ne trarrebbe, come per dimostrare il buon animo del re ai separati; ai quali potrebbe ciò notificarsi o per via segreta, o mediante i loro rappresentatori, se ve ne avesse alcuno in concilio.

Facendosi quivi una santa riformazione, il re e la regina prometteano si a

nome proprio, sì dei figliuoli e dei fratelli, che accetterebbono quanto dal sinodo si fosse cattolicamente decretato e ordinato; non permettendo, che nei paesi a loro soggetti vivesse alcuno che da ciò dissentisse. E il re di Navarra, e gli altri signori del consiglio si obbligavano di spendere in adempimento di questo le proprie vite.

Giunse a morte (1) nel concilio su quei giorni fra Giovanni Colosuarino domenicano, unghero, vescovo di Chonad, con rammarico dei padri, meritatogli dalla virtù e dalla scienza, e con grave cordoglio del Drascovizio; al quale parve di aver perduto il compagno in procacciare il beneficio della sua Ungheria: ma egli, e con lui parecchi degli oltramontani speravano infinitamente nella venuta del cardinal di Loreno, quasi di persona che fosse per superare tutti gli ostacoli alle varie loro inchieste: molte delle quali coll' esaminazione poi si conobbero per impossibili, molte dannose, permolte per opposte fra esse. Non aveva però dato nu

(1) Lettere del Modonese al cardinal Morone ai 16 di novembre 1562. ¡

trimento il cardinale a questi concetti sopra la sua intenzione: anzi a Brescia, oltre all'amplissime significazioni contrarie fattene al Grassi con la voce, prese opportunità di raffermarle al pontefice con la carta (1). Onde gli scrisse, ringraziandolo che, sì come gli aveva testificato l'abate di Manna, da sua beatitudine si fosse negata fede ai romori diffusi in Roma di lui, ė ritenutane la buona espettazione. Avergli ciò confermato il vescovo Grassi mandatogli dalla santità sua incontro; il quale anche aveagli testimoniato, quanto ella di bene si promettesse dai fratelli del cardinale, e da tutta la casa, e specialmente dall' opera sua in Trento. Esser lui per conservare eterna memoria di tante grazie; non facendo cosa avvedutamente che fosse per dispiacere a sua beatitudine. Ed apparecchiarsiba corrisponder tosto coi fatti a questa propizia opinione ch'ella degnava portar della sua persona. Nè diversamente avea parlato il cardinale coi ministri degli altri principi, e specialmente col marchese di Pescara nel suo transito

(1) Di novembre, mandata a'Legati dal cardinal Borromeo a' 14 dello stesso 1562. †

per lo stato di Milano. Confidavasi molto il pontefice del marchese: ed era cresciuta la confidenza per gli ottimi ufficii da lui adoperati coi vescovi dependenti dal re nel breve tempo della sua ambasceria al concilio, e di poi ancora mediante il segretario Pagnano (1). Onde il papa in quell'accidente avea fatti notificargli per lettere da interposita persóna i sospetti suoi dei Francesi; e mostrargli, che que sta era opportunità degna di lui per illustrare la sua pietà, e quella del suo signore in sostenere la religione, e l'autorità pontificale. A che aveva risposto (2) il marchese si zelantemente, e con tante profferte, che più non sarebbesi potuto aspettare da un nipote del pontefice: scrivendo lui di conoscere, che il sostenimento di quella santa sede era conforme in ogni parte al servigio di Dio ed alla mente del re cattolico. Supplicare egli a sua santità, che sì come l'onorava col comanda

"

(1) Molte lettere in originale del Pagnano al marchese sono appresso l'autore.

(2) Da Milano agli 11 di novembre, mandata dal cardinal Borromeo a' Legati a'14 di novem bre 1562.

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mento generale, così l'illuminasse intorno ai modi particolari. Fra tanto per mandar le profferte vestite di qualche effetto; significò d'aver già fatto ciò ch' era in se, e coi vescovi spagnuoli in Trento, e col cardinale nel suo passaggio. Che al concilio sarebbe egli pronto di ritornare eziandio con pericolo della vita, se gli affari necessitosi del re non l'avessero tenuto a forza nel suo governo. Ma oltre alle commissioni caldissime iterate al segretario Pagnano, essersi da lui mandata persona la quale opererebbe coi prelati spagnuoli niente meno di ciò che avesse potuto adoperare egli stesso. Col cardinale aver lui parlato delle materie sinodali: e il cardinale essersi riso del gran romore sparso, ch' egli venisse per confondere, o per turbare il concilio, o per recare alcun diservigio alla sede apostolica: dicendo, unico suo intento essere il rappresentar vivamente le miserie della sua nazione, e il supplicare con le ginocchia in terra a quella santa adunanza, che ne procurasse il ristoro: per ciò ch' elle erano tali, che, ben sapute, avrebbono intenerita di compassione ogni mente umana, non che cri

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