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stiana. Onde soggiugneva il marchese, che se il cardinale per sorte lavorasse in animo qualche altro fino disegno, con questo colore l'avria dipinto.

Fra tanto il pontefice, applicando novelle industrie a proporzione delle novelle gelosie, spigneva perpetuamente al concilio nuovi prelati italiani. Nel che, quantunque intendesse a non lasciar negli oltramontani l'arbitrio delle determinazioni, con tutto ciò non poteva sostenerne ragionevole accusa: non usando in ciò egli altro modo che il costrignere i vescovi all'adempimento del loro dovere.

Tra i prelati che il pontefice mandò al concilio in quel tempo, il più riguardevole fu Bastiano Gualtieri vescovo di Viterbo, nominato da noi altrove mentre esercitava la nunziatura di Francia. Il cuí fratello fu avolo di Carlo Gualtieri oggi vivente, litterato, ed onoratissimo cardinale. Era egli poco amato dai-ministri di quella corte, come colui che avea sempre scritto in biasimo della tiepidezza usata dalla regina contro gli eretici, secondo che allora contammo: e dopo il ritorno con severità di zelo e con diffidenza verso

l'animo dei Francesi porgeva consigli opposti alle loro domande. Sì che a lui attribui (1) l'ambasciadore dimorante in Roma certi discorsi dati al papa in quei giorni sopra il concilio, dove parlavasi reamente de' loro pensieri. E scrisse, che ei si era procacciata questa messione con dare a credere che penetrerebbe colla perspicacia nell' animo del cardinal di Loreno, e lo svolgerebbe; facendo ragionare da molti teologi contra il suo detto; e così ponendolo in angustie, e di poi confortandolo. Sciocchezze, che s' egli avesse proposte al pontefice, sarebbono valute ad escluderlo, non ad eleggerlo. Ma il papa veramente lo scelse considerandolo bene esperto (2) degli animi francesi, e specialmente del cardinale, con cui aveva trattato assai e con mutua soddisfazione. Egli meno seco Lodovico Antinori, nel quale concorrevano in parte le medesime condizioni; per essere l'Antinori rimaso in Francia alla cura degli affari nella partenza

(1) Lettera del signor dell'Isola alla reina de' 29 di novembre 1562.

(2) Lettera del papa a' Legati, e del cardinal Borromeo al Mantovano a'13 di novembre 1562.

del nunzio. Giunse ai ventidue di novembre (1) e trovò che il cardinal di Loreno per una febre di catarro sopravvenutagli due giorni dopo il fine del viaggio, non era potuto andare fino allora nella congregazione. Porse il vescovo ai Legati lettere del cardinal Borromeo: aperse loro la cagione della sua venuta ; e con partecipazione di essi fu subito a visitare il Lorenese, e gli rendette una epistola che il papa gli scriveva con molta onorificenza. Erasi avvisato il pontefice di dovere accompagnare il Gualtieri con altre sue lettere a Lansac, ed al Ferier, per non accrescer la diffidenza, che sapeva esser ne' ministri francesi di quel prelato; della qual diffidenza Lansac, ricevuta la lettera, diè nuovo segno; scrivendo (2) al signor dell'Isola, piacergli di avere in Trento quel testimonio col papa delle sue azioni; nelle quali speravá che nulla troverebbe da biasimare. Ma il Gualtieri per non diminuire appresso al cardinale il pregio dell'onoranza che il pontefice ad esso faceva, con mostrarla egli

(1) Lettera del Gualtieri al cardinal Borromeo de' 23 di novembre 1562.

(2) A' 12 di novembre 1562.

comune ai due oratori, gli aveva detto avanti quasi in credenza, essersi da lui procurate cotali lettere del papa, affinchè quei ministri che l'aveano veduto partir dalla nunziatura, non lo riputassero in picciola grazia di sua santità, e però il dispregiassero e richieselo del suo giudicio intorno al presentarle. Il quale ufficio valse a far sì, che il cardinale si stimasse avvantaggiato in più maniere sopra gli ambasciadori; commendando l'avvedimento del Gualtieri, e consigliandolo di non tardar la presentazione. Dimostrògli insieme il cardinale piacer grandissimo d'avere quivi persona con cui per l'antica domestichezza potesse usare libertà: condimento senza il quale tutte le conversazioni hanno dell' austero e dell'insoave. E cominciò ad esercitarla in quell' ora stessa; aprendo il cuore ad una doglienza quanto più modesta, tanto più grave, pei giudicii bestiali fattisi in Roma dei suoi pensieri e dei suoi propositi. A che il Gualtieri s' ingegnò di soddisfare, negando che la credenza del papa si fosse mai lasciata occupare da quelle voci. E quindi prese materia di ragionare sopra

il disordine che il cardinal troverebbe in concilio, di consumare il tempo in disputazioni si aliene dai bisogni presenti, e altrettanto opposte alla sollecita conclusione, quanto ella era necessaria e desiderata in ogni parte della cristianità. Ma disse, che questo medesimo partorirebbe al cardinale un' immensa gloria, se con l'eloquenza e coll'autorità sua imprendesse e ottenesse di levar tanto sconcio. Egli, come savio e circuspetto, rispose che questa doveva essere opera dei presidenti, e non di lui ch' era un privato in quell'assemblea. Ma ripigliò il Gualtieri: che tutti insieme non potevano in ciò quanto egli solo potrebbe. Non altro avere incoraggiati gli Spagnuoli ad intentare cotali macchinazioni, che la speranza di aver lui favorevole insieme coi suoi prelati francesi; e così di fabricarsi una maggiore autorità nelle chiese loro. Ove si ve dessero non solo non invigoriti ma repressi da un tant' uomo, si ridurrebbono entro ai segni onde erano trascorsi. E qui ricercollo, e ne trasse quasi promessa, che nel suo primo ragionamento publico esortasse i padri a materie più giovative e più

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