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e non colle mutazioni fattevi poi con sua participazione, si com'essi destinavano. E perchè questi si rendevano a ciò restii, soggiunse loro, che altramente sarebbesi fatto palese, il concilio non esser libero. Onde i Legati, che per la malattia del cardinal Seripando erano scemati di numero e così ancora d'ardire, non volendo che potesse loro imputarsi verun perturbamento, risposero che quantunque a tal proposta ripugnasse il loro giudicio perchè sapevano, ripugnarle il voler di molti prelati; nondimeno, da ch'egli affermava, che ciò facesse mestiero per non dare apparenza d'offesa libertà nel concilio, vi sarebbono condiscesi: proponendo quel decreto, ma come suo, non come loro; e protestando fin da quell'ora, che se quindi nascea disconcio, essi n'erano fuor di colpa. Egli, di ciò allegrissimo, notificò presentemente l'assenso de' Legati nella proposizione a'cesarei. Questi immantenente furono da'Legati per altro affare ed inteso da loro il dubbio, che si fatta proposta fosse per eccitar dissensione, e per tanto il modo col quale si piegavano a consentirvi; ripigliarono,

nulla esser più opposto alla volontà loro e di Cesare, che ogni materia di rompimento: onde, se i Legati ne prevedevano verun rischio, per niuna condizione venissero alla mentovata proposta. E di ciò gli oratori fecer subito relazione al Lorenese (1). Ma occorrendo all' Antinori d'esser mandato dal Gualtieri recando ambasciata di quel negozio al cardinale, egli mutato il tema, com' è uso de' passionati, saltò in una infiammata querela. Essergli convenuto ricever notizia da' suoi lacchè de' Legati nuovamente eletti dal papa; senza che i presidenti, i quali dopo il corrier venuto erano stati seco nella congregazione, ne l'avesser degnato d'un cenno. E qui trascorse da'lamenti delle circustanze a quelli della sustanza che più il coceva. Parergli gran torto che 'l papa, sapendo pur le sue qualità e di cardinale, e di principe, e di benemerito verso la Chiesa, non si fosse inchinato a offerirgli una legazione; la qual senza fallo egli avrebbe ricusata, contento assai coll'onore della profferta. Questo essere il senso

(1) Cifere del Gualtieri al cardinal Borromeo a' 14 e a' 17 di marzo 1563.

occulto del detto da se poc' anzi, che non potea significare a sua santità per venti giorni quel modo occorsogli di terminar felicemente in un mese il concilio: imperocchè ritornato egli d'Ispruch, e destinando di mandare al pontefice con la proposizione d'un tal pensiero l'abate Manna, avea poi deliberato di soprassedere; intendendo che molti prelati ed ambasciadori gli auguravano la legazione; e non volendo perciò mostrare, che la mession del Manna caminasse a quella meta.

Il Gualtieri, udito ciò dall' Antinori, fu tosto dal cardinale a fin di pacificarlo. E gli disse: creder sè, che 'l pontefice per due riguardi si fosse ritenuto dal collocar nella sua persona quel grado. L'uno era per non pregiudicargli con la reina, la quale avealo mandato al concilio, acciò che v'assistesse ministro suo, e guidator de' Francesi, non rappresentatore del papa: l'altro, per non privar se, e la sede apostolica di maggior frutto, il quale sperava raccorre dal zelo del cardinale mentr'egli si conservasse quell'autorità, e quella confidenza co' suoi, e con tutti gli oltramontani, la quale tosto avrebbe perduta

nel divenir ministro papale. Ma queste scuse non l'appagavano: e seguiva dolendosi con tanta caldezza e lunghezza, quanta è solita delle persone accorte quando amplificano l'asperità dell'offesa per conseguirne soddisfazione, non per dimostrarne inutilmente passione. Onde il Gualtieri suspicò, che bramoso eziandio dei secondi onori, da che l'elezion del Morone per l'antichità del cardinalato gli rendeva impossibile il primo luogo, aspirasse a quello del Seripando: il quale a punto in que' di fu al sinodo materia di nuovo lutto.

Avealo assalito una febre nella congregazione che si teneva il giorno ottavo di marzo (1), e tosto cominciarono gli altri a temere, ed esso a dubitare della sua morte. Ond' ei non tardò, e non s'arrestò un'ora di far come da vicino quelle preparazioni, le quali avea fatte da lontano in tutta la sua religiosissima vita. Prese (2)

(1) Tutto sta in lettere de' Legati al cardinal Borromeo da' 9 di marzo fin a' 17, e in altre del Visconti, e del Gualtiero su que' giorni.

(2) Relazione sopra citata dell'ambasciador vineziano, e lettera del vescovo di Trevigi nell' infermità dell' arcivescovo di Zara al cardinal Cornaro a' 15 di marzo 1563.

l'Eucaristia, non dispogliato ed in letto, sì come i più passionati verso la sua corporal salute lo confortavano, ma vestito e ginocchione; dicendo che volea pigliar quell'estrema licenza nella più dicevole forma. E negli ultimi commiati da' colleghi, da' padri, e da' familiari, assai mosse di tenerezza, assaissimo di devozione. Ambedue questi affetti s'accrebbero nel volerne egli reprimer l'uno ne' circostanti ; allor che veggendo pianger molti principali prelati suoi amorevoli, disse loro quelle parole dell'Apostolo: quare contristamini, quasi in vobis non sit spes? nel qual tema latinamente seguì con un bellissimo sermone, e tale di cui andaron le copie, resistendo al forte giudicio degli occhi; o perciocchè l'uomo allora è più eloquente quando ragiona più daddovero; o perciocchè il parlare affettuoso è a guisa del fuoco, il quale non solo più incende, ma più risplende naturale, che dipinto. Ed avendo a lui feriti gli orecchi qualche susurro, che taluno sospettasse intorno alla sincerità della sua credenza, forse per le opinioni speciali da lui già seguite nel concilio sotto Paolo III sopra la mate

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