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ria del peccato originale, e della giustificazione, fe venire a se molti teologi principalissimi; e recitati in loro presenza ad uno ad uno gli articoli della nostra fede, giurò per quel Dio che tosto dovea giudicarlo, d'averli sempre tenuti con certezza purissima d'ogni dubbio.

Il suo pericolo immediato dopo il caso del Mantovano è incredibile di qual dolore, e spavento riempiesse il concilio, quasi stimandosi in ira al cielo. Ed affinchè questa seconda iattura, ove non fosse opera della volontà divina, non fosse difetto, come fu riputata la prima, dell'arte umana, s'applicò alla cura sua con ogni sollecitudine Simone Pasqua genovese, vescovo (1) di Sarzana, uomo eccellente in varie scienze, ma raro nella medicina. Tal che il Visconti (2) pochi di avanti, coll'esempio del Mantovano ricordando al cardinal Borromeo i danni che reca la poca perizia de' medici, l' avea consigliato che sott'altro titolo facesse chiamare il

(1) Vedi il Ciaccone, ed anche l' Ughello nelr'Italia sacra sopra la Chiesa di Sarzana al vescovo cinquantesimoquinto.

(2) A' 4 di marzo 1563.

Pasqua a Roma per attendere alla sanità del papa già cagionevole. Nè di quest'uomo dee tacersi per compimento di notizia, ch' egli prima del vescovado era ito ambasciadore della sua republica al re Filippo; e che terminatosi il concilio fu onorato per pochi mesi del maggior grado. Ma tutte le diligenze e del Pasqua, e d'altri esperti fur nulla, perchè, dopo un alternare di gravi timori, e di leggiere speranze, il diciassettesimo giorno di marzo quell'uomo egregio non cadesse.

Era egli nato nella città di Napoli settant'anni prima, di nobil sangue: cinquantasei aveva portato l'abito de' religiosi romitani, preso da lui mentre alla regola presedeva Egidio da Viterbo, anch'egli poi litteratissimo cardinale. Egidio immantenente conobbe l'ottima indole del giovane; e ne trasse i frutti con la coltura. Avendo il Seripando la lingua pari all' ingegno, diventò non meno eloquente che scienziato. Fu eletto dal pontefice Paolo III per general vicario dell'ordine, e poscia dall'ordine per general maestro. Andò, mandato per affari della sua patria, a Carlo V imperadore: il quale non

ad altro prego che del suo merito il nominò, e lo strinse contra sua voglia all'arcivescovado Salernitano. Indi il pontefice Pio IV gli diè il cappello, più per affatigarlo che per rimeritarlo; volendo che travagliasse in trarre a compimento con autorità di Legato quel concilio, a' cui principii avea recato gran lume, e sostegno ne' giorni di Paolo III in condizione di generale. Il potremmo credere maltrattato dalla fortuna, perchè gli negò di veder perfetto quell'edificio del qual egli era stato si principale architetto; se ci fuggisse dalla memoria, che la vera fortuna è Iddio; e che agli animi virtuosi non si toglie, anzi s'aumenta il piacere per le prosperità della religione in terra, quand'elle son fatte rimirar loro di cielo.

Per affanno maggior de' Legati nelle due morti, l'una già seguita, l'altra fin allora sol imminente, de' primi e più autorevoli lor colleghi, alle contese togate si erano poc' anzi aggiunte le armate. Il (1)

(1) Due lettere de' Legati al cardinal Borromeo a' 15 di marzo 1563, e il Diario agli 8 di marzo, nel quale tuttavia è qualche divario da ciò che narrano i Legati.

di ottavo di marzo s'appiccò una quistione fra parecchi servidori di due vescovi, l'uno francese, l'altro spagnuolo; nella quale un franzese sostenne mortal ferita. E fu voce o per verità, o per l'uso della fama, il cui favore suol opporsi a quello della fortuna, che vi fosse intervenuta soperchievole violenza per esser andati molti spagnuoli sopra il francese: onde alcuni italiani si mossero o per aiutarlo, o per vendicarlo. Di ciò gli spagnuoli adirati contro alla nazione italiana, cominciarono ad oltraggiar qualunque italiano in cui sprovveduto abbattevansi. Quindi vennero frequenti zuffe; e con queste non isfogandosi, ma nutrendosi l'ira e l'odio, si giunse a tale, che i prelati più non osavano di mandare i famigli loro fuori di casa; nè per poco eglino d' uscirne o per la messa, o per le congregazioni: dubitando sempre di qualche nuovo romore ; specialmente essendosi introdotto il gridare, Italia e Spagna il che negli animi di gran turba temeraria e leggiera riusciva a un segno di battaglia, quasi per fedeltà verso l'onor di sua gente. Intermisero i Legati per qualche di le raunan

ze, chiamando fra tanto i vescovi principali delle nazioni per trovar concio alla pace. Ma nulla fu in pro: e 'l giorno duodecimo di marzo avvenne un combattimento si grosso, che parve anzi conflitto che rissa: con rimaner molti o uccisi, o feriti. I Legati in si orribil tumulto ricorsero, oltre al governatore di Trento, che era (1) Dario Poggiolini da Imola, al capitano imperiale custode della città, il quale, facendo sonare una campana a martello, raccolse in piazza buon numero di soldati, che per quella volta repressero il movimento. Ma tosto cessatone il terrore, tornò il furore. Onde i presidenti spinsero corrieri al cardinal Madruccio; il quale, aspettando la dieta, facea soggiorno in Brissinone non lungi da Ispruch, e a Niccolò suo padre che dimorava a Riva di Trento, perchè ritornassero, e ponessero freno e ordine a tanto scompiglio. Ma tardando la risposta del cardinale, e trovandosi il padre infermo, e però inabile al

(1) Appare da varii strumenti autentici che sono in mano dell' autore: e ne' quali si vede che poi fu data al Poggiolini anche dagli stessi Legati per la parte loro la giurisdizion di quel governo.

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