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profitto a' concilii la presenza de' pontefici e degl' imperadori, egli era pronto a tollerar tutte le incomodità, e a trascurar tutti gli affari per opera così santa; confortando a ciò parimente la beatitudine sua.

In fine, egli pregava il papa di sollecita risposta.

Contenne l'imperadore questa lettera in termini si generali sopra la riformazione, con qualche stupor de' Legati: ma ciò fu perocchè in tale argomento erane da lui scritta allo stesso tempo un' altra speciale al papa, segreta ed ignota a loro; riputando quella forma più dicevole alla materia. La risposta publica alla lettera publica già recitata, fu in questo senso.

Incominciava (1) il pontefice dalle solite lodi verso la pietà dell'imperadore; biasimando anch' egli le dissensioni de❜padri.

Su 'l primiero capo conveniva nel giudicare ogni sospensione offendevolissima: però affermava di non avervi mai rivolta per se la mente; anzi d'avere in ciò contraddetto all'esortazioni di principi grandi.

Intorno al secondo: volere egli la liber

(1) A'18 di marzo 1563.

tà del concilio, massimamente nel pronunziar le sentenze. La facultà di proporre dirittamente essersi riserbata a chi presedeva, com'era l'uso delle ben ordinate comunità ed a ciò aver consentito il medesimo concilio dapprima in senso concorde, salvo uno o due: ma esser sua volontà, che i Legati soddisfacessero alle richieste degli oratori, principalmente de' cesarei; e quando in ciò faltassero, prometteva di mettervi provvisione. Ma bene spiacergli le discordie de'padri sopra articoli non proposti da' presidenti, nè contesi daʼluterani.

Venendo al terzo: esser egli intentissimo alla riformazione: ed averle già dato principio negli affari di Roma, senza risguardo di qualunque suo interesse.

In ultimo, al quarto rispose, che nè l'angustia e la sterilità di Trento era capace di due corti sì grandi; nè per la vicinità de' Grigioni e degli Svizzeri eretici, e de' protestanti, sarebbe stato albergo sirimanendo fresca nella memoria la fuga da Ispruch dell' invittissimo Carlo V. Oltre a ciò, non potersi lui allontanar tanto da Roma senza rischio di tumulto per

terrore dello stuolo ottomanno. E che finalmente la sua andata a Trento sarebbe riuscita a danno, parendo rivolta ad opprimere la libertà del concilio. Ben offerivasi d'ire a coronar l'imperadore in Bologna; dove forse il concilio spontaneamente saria venuto: e quivi il pontefice avrebbe stabilita la riformazione ad arbitrio in gran parte della maestà sua. Ma nel tutto si rimetteva a ciò ch' egli più ampiamente le avrebbe fatto ascoltare dal nuovo Legato Morone. Questa fu la contenenza delle due scambie voli lettere publiche.

Alla segreta sua lettera dava principio l'imperadore dal ridurre in mente ał papa l'umana mortalità, e però la convenienza d'accelerar la riformazione avanti che altro infortunio precidesse il lavoro: anzi troppo essersi anche tardato per addietro nella convocazion del concilio.

In primo luogo parergli, che si dovesse pensare a forma per cui l'elezion de' sommi pontefici si facesse con perfetta santità e rettitudine, e massimamente senza verun' ombra di simonia: perciocchè dal capo sano deriva la sanità in tutto il corpo.

Quindi facea passo all' assunzione dei cardinali e de'vescovi; ricordando quali prerogative fossero in loro opportune, e quanto dall'opera, dall'esempio, e dalla riputazione di tali pendesse il bene e l'onor della Chiesa. E ciò non ostante vedersi così degli uni come degli altri, alcuni inferiori al grado, poco onorevoli e poco giovevoli alla medesima Chiesa. E, poichè fra' vescovi altri erano scelti dal papa, altri nominati da' principi, altri eletti da'capitoli, e i primi e i secondi si sperimentavano le più volte migliori deʼterzi, potersi dubitare sopra la sincerità di tali elezioni, e però convenire di provvedervi.

Appresso, dolevasi con maniere alquanto men ritenute delle usate da lui nella publica lettera: che tutto si ponesse a consiglio in Roma, e quivi se ne traftasse nella congregazione del papa, avanti che a Trento nella congregazione del sinodo: onde parea che vi fossero due concilii. Meglio dover essere per opposto, che 'l pontefice prendesse il consiglio del concilio generale in vece della sua congrega particolare, e coll'approvamen to di esso constituisse eziandio le leggi

appartenenti al conclave, ed alla riformazione di Roma.

Dimostrava susseguentemente il bisogno estremo della residenza episcopale. Intorno alla quistione combattuta in quel tempo, s'ella fosse o no di ragion divina, avervi fondamento di suspicare, che molti vescovi si piegassero a quella parte, la qual riputassero più gradita a sua santità. Senza che, tre maniere di vescovi distingueva: altri aspiranti al cappello: altri poveri altri dotati di ricche chiese, e contenti di esse. Non doversi aver dubbio, che gli ultimi non fossero per esporre schietti loro pareri: ma ben darsi luogo a sospetto, che a' primi e a'secondi la residenza fosse discara. In brevità, pregar egli la santità sua, che, ov'ella conoscesse di poterlo fare secondo Dio, lasciasse proceder quella diffinizione. E bench'ei non negava a sua beatitudine l'autorità del dispensar nella residenza, supplicavale nondimeno, che per acconcio universale non l'esercitasse.

Togliesse Iddio, soggiugneva, che da lui s'intendesse di contender al papa la podestà datagli da Cristo, per la qual

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