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re, o da' suoi ragionamenti coll' Avila, quando ella si scorgea chiaro nella lettera ad esso dianzi mostrata del cardinal Borromeo la buona ed efficace volontà di sua beatitudine sopra la riformazione apparir da ciò ch'egli giornalmente andava operando e con le severe constituzioni, e con gli effetti rispondenti alle leggi nella corte. La tardità in ciò del concilio essersi cagionata dall' osservazione dell' ordine di conformar successivamente le riformazioni alle trattate dottrine. Averne però allora i Legati in lavoro alcune rilevatissime corrispondenti al saoramento dell'Ordine ben volersi tenere in mente il detto del sapientissimo cardinal Torrecremata nel concilio di Basilea: che conveniva levare gli abusi, ma non gli usi. Il sospetto della lega torsi dalla pace ultimamente conchiusa in Francia con gli ugonotti, di cui dirassi tantosto: finalmente la destinazione de' nuovi Legati essere avvenuta tanto di subito dopo la morte del Mantovano, che non era rimaso agio a veruno di sollecitarvi il papa con lo stimolo di rei ufficii.

Non poterono si fatti argomenti smuovere il cardinale dal suo contegno. E di

ciò trasse il Visconti maggior certezza poi dal Musotto ch' era dianzi colà venuto; e mediante il quale i Legati (1) aveano mandato al cardinale un Breve del papa in ufficio di condolersi: ed a cui aveva riferito il cardinale tutto il colloquio. Era passato il Musotto a' servigi di lui dopo la morte del Legato Seripando : in vita del quale gli era accaduto più volte di dover seco trattare, e ne avea guadagnato l'animo; si che non prima rimase privo dell'antico padrone, che quegli invitollo (2) ad esser quivi suo segretario, e di poi, terminato il concilio, ad esercitare in Roma la persona di suo agente. H che da' Legati non fu distornato, come di leggieri potevan fare, specialmente essendo egli nobile bolognese, e però suddito del pontefice. Onde a ragione funne dato lor biasimo (3) dal Gualtieri; avendo essi dovuto considerare, che non solamente gli

(1) Lettera de' Legati al card. Borromeo de'29 di marzo 1563.

(2) Lettera del Visconti al cardinal Borromeo de' 25 di marzo 1563.

(3) Lettera del Gualtieri al card. Borromeo de' 22 di marzo 1563.

archivii inanimati, ma non meno gli ani mati vogliono tenersi chiusi agli estranii. E benchè di fatto il Musotto non cagionasse poi nocumento o disturbo al negozio, anzi conferisse molto alla buona corrispondenza tra'l padrone e 'l pontefice ; tuttavia la prosperità della riuscita non basta ad assolver l'azione. Non così fecesi con Camillo Olivo. Egli, dopo la morte del Mantovano, a consiglio del Visconti fu (1) per commession de' Legati, e con beneplacito di Pio, ritenuto in tutti que' ministerii i quali esercitava vivente il suo signore. E. dopo la venuta del cardinal Morone gli assegnarono i presidenti un salario stabile di quaranta seudi il mese in ricompensazione delle fatiche presenti, con raccomandarlo oltre a questo al papa, affinchè 'l rimunerasse con altri guiderdoni de' meriti suoi passati.

Al Visconte in Padova fu confermato quel che in Trento avevagli detto l'ambasciador di Savoia tornato da riverir

(1) Lettera del Visconti al cardinal Borromeo de' 4 di marzo, e a Tolomeo Gallio degli 8 d'aprile, e tre de' Legati al card. Borromeo de' 22 di marzo, de' 5 e de' 15 d' aprile 1563.

l'imperadore in Ispruch, ed anche il vescovo d'Orliens: non calere a Ferdinando della coronazione sua; ma più tosto desiderarla al figliuolo, nuovo re de' Romani. E non mancava chi sospicasse vo ler egli seguir l'esempio del fratello con rinunziamento di regni, e ritiramento di vita: a che parea che dovesse avere men di ripugnanza per la men prospera fortuna, e più d' inclinazione per la più quieta natura. Oltre a questo il cardinal di Loreno parlava in forma sopra l' impermutabile volontà de' principi intorno a gravissime riformazioni ed incomportabili dal pontefice, che ben rendeva palese, non essere in lui o quell' autorità con loro la qual dianzi parea vantare, o quella volontà della traslazione a Bologna che aveva significata; mutato in ciò forse da nuove lettere a se venute di Francia dopo il suo ritorno da Ispruch: onde non potendo negare al Visconti i suoi preceduti conforti alla deliberazione, amplificava gl'impedimenti all'esecuzione. Tal era lo stato del negozio co' Franzesi.

Dal canto degli Spagnuoli sentivasi mistura di soave, e d'austero. Il re avea scrit

to (1) al conte di Luna, essersi lagnato seco il pontefice de' vescovi spagnuoli. E che quantunque egli s'avvisasse, proceder questo da mala informazione di sua beatitudine, e non da poca divozione vedutasi in que' prelati verso la sede apostolica; nondimeno il conte vi stesse attento, e facesse andar l'operazioni in modo che 'l papa non avesse titolo di querela. Il che al vescovo di Salamanca, e ad altri ch'erano stati più ossequiosi al pontefice, fu di piacere: nel Granatese ed in quelli di simil senso (2) non valse fuor che a ritrarre una lettera al conte, di lunga giustificazione: imbracciando essi specialmente lo scudo splendido insieme e forte della coscienza, incontro al quale ogni autorità discreta s'arresta.

Gl'imperiali non mostravano avversa disposizione: anzi era pochi di avanti accaduto, che'l Drascovizio tenesse una raunanza in casa del Granatese; ed essendo

(1) Appare da una del Visconti al card. Borromeo de' 22 di marzo 1563, e dagli Atti del vescovo di Salamanca.

(2) Lettera del Visconti al cardinal Borromeo de' 25 di marzo 1563.

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