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malattie intrapostesi, in parte con altri impedimenti di publici affari. Espose la speranza del re intorno a' frutti del concilio in tanta necessità de' cristiani; gli ordini a se dati di favorarlo con tutta l'autorità reale; e la sua prontezza all'adempimento. E verso il principe, e verso l'ambasciadore la risposta de' Legati fu qual si conviene, e si costuma. Essi poi, finite le parole superflue ma insieme necessarie d'urbanità, pregarono il conte, che sì come pratichissimo della corte imperiale, e della Germania, additasse loro qualche via di riducere i traviati. A che diss'egli, non sovvenirgliene altra, che l'adoperar buoni predicatori; e dilatar più che si potesse la compagnia di Gesù: schifando a studio il parlare sopra il concedimento del calice.

La sera de' tredici d' aprile fu ricevuto (1) il nuovo Legato con le debite cerimonie nella congregazion generale: e lettosi il Breve della sua elezione, fece egli un attissimo ragionamento. Annoverò le miserie de' paesi cristiani; in sovvenimen

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(1) Oltre agli Atti, il Diario a'13 d'aprile 1563.

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to delle quali il papa avea raccolto quel sinodo a placar l'ira di Dio, e ad unir la cristianità contra l'orgoglio del nimico comune. Mostrò la dignità di quell'assemblea ov'erano due cardinali principi, tanti oratori di re, e di gran signori, tanti prelati per ogni pregio venerabili, tanti teologi d'eccellente dottrina. Si dolse per la fresca perdita di due chiarissimi presidenti. Menzionò la sustituzione sua e del Navagero. Disse, ch' egli, quanto gli era stato lecito, avea ricusato il peso come formidabile alle sue forze; ma che in fine l' ubbidienza era prevaluta al timore. Dover lui di presente passare a Cesare; e quindi con tutta la celerità ritornare per esser compagno a' padri in procurare il publico bene. Dato che in se mancasse, tutt'altro, portar egli certamente due cose: la prima, un'ottima volontà del pontefice, i cui sommi voti erano che fosse purgata la dottrina cattolica dagli errori, la disciplina ecclesiastica dalle corruzioni, la cristianità dagli usi cattivi, che si provvedesse a' bisogni particolari delle provincie, e che si pacificasse la Chiesa eziandio con gli avversarii, per quanto la

religione, e la dignità della sede apostolica il tollerasse: la seconda, una simile volontà sua propria di spendere ogni suo studio ed ogni suo spirito per conseguir questi beni. Tali cose ch' egli recava, quanto fossero per giovare, stare in balia de' padri. Con la loro prudenza, con la loro dottrina, con la loro autorità potersi condurre il concilio al fine desiderato. Confortarli però egli e scongiurarli per Dio, che poste giù le contenzioni, le quali generavano molto scandalo alla cristianità, e le quistioni disutili, le quali non valevano a edificazione della fede, ma più tosto a sovversione degli ascoltanti, e a iattura del tempo, si rivolgessero unitamente e totalmente al più necessario. In primo luogo guardassero che'l vento della scienza non gli traesse dal porto dell'umiltà: essendoci dinunziato, che Iddio, dal quale doveva attendersi tutto il bene, aʼsuperbi resiste, e agli umili dona la grazia. Se fossero umili e concordi, seguirébbe che con la scorta dello Spirito santo producessero alla Chiesa un abbondantissimo frutto di tanti loro viaggi, dispendii, studii, e patimenti; e che accendessero come

un sublime, e perpetuo fanale, al cui lume non solo i presenti, ma i futuri indirizzando il corso della lor vita, perverrebbono di leggieri al sicuro porto della salute: e Iddio per opera loro sarebbe sommamente lodato, essendo essi partecipi di si fatta lode nel mondo, e rimunerati con più salda ed immortal gloria nel cielo. Uditosi questo parlamento con grande applauso, la congregazione si sciolse: partendone i più con pari letizia, e fiducia. Perocchè quantunque le parole si come agevoli sieno fiacco indizio delle malagevoli opere; nondimeno pochi ci ha che non accettino le graziose, e nervose parole a gran caparra dell'opere. E adamantino è quell'animo che resiste agl'incanti della favella.

Non avendosi relazione che'l cardinal di Loreno fosse in viaggio: anzi significando il signor di Lansac (1) ch' egli dovea fermarsi in Vinezia qualche giorno sopra ciò che avesse prima creduto; onde non convenia che 'l Legato Morone per ca

(1) Lettera dell' arcivescovo di Zara a’19 di aprile 1563.

gion sua più tardasse (1); questi a' sedici d'aprile verso la sera prese il cammino per Ispruch. La stessa mattina avealo (2) di per se visitato il conte di Luna; da capo amplificandogli le commessioni a se date dal suo signore, specialmente per sostegno della sede apostolica. Quindi era proceduto a ragionar sopra le parole: proponenti i Legati: aver egli mandamento preciso dal re di fare ogni opera affin che si desse loro assetto; andando voce che per esse il concilio non fosse libero. Il cardinal Morone gli rendette le risposte menzionate più volte. A che l'oratore: che tali parole non erano state poste ne' preceduti concilii; e che bisognava pensar senza fallo d' acconciarle; perch' egli faceva assapere al Legato, che in ciò concorrevano i re di Spagna, di Portogallo, di Francia, e l'imperadore. A si gran batteria si sforzò il cardinale di contrapporre non men forti baluardi. E'l primo fu quello che in tal contesa con gli Spa

(1) Lettera de' Legati al card. Borromeo de'15 d'aprile 1563.

(2) Letterà de' Legati al cardinal Borromeo de' 16 d'aprile 1563.

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