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cardinal Madruccio, ed anche a quel di Loreno il qual era colà tornato quel giorno. Da tutti rimase approvato; si che portaronlo alla congregazione il dì appresso con fidanza dell' assenso universale. Ma lo sperato effetto ingannolli. Il cardinal di Loreno, com'era vario ne'suoi giudicii, così allora il mutò; avvisandosi che quella nuova destinazione di giorno certo avrebbe posto il concilio in rischio di nuovo disonore, ove questa denunziazione a simiglianza di tant' altre precedenti cadesse a voto. Onde fattasi dai Legati la proposta, egli disse, meglio parergli il prorogare a termine incerto: si che la congregazione a se riserbasse fin a' venti di maggio il determinar la giornata ferma. Che allora sarebbesi ciò potuto fare o per lo stesso giorno terzo di giugno, come ora i Legati pensavano, o per altro, ma senza dubitar dell' adempimento. Si fatto discorso accostossi all'animo al cardinal Madruccio, e alla maggior parte eziandio de' più congiunti col pontefice, e co'Legati, facendosi a credere che a loro similmente dovesse ciò riuscire a grado; e che si fossero tenuti dal

proporre la prorogazione con quell' incertezza, perchè l'aveano riputata spiacente a molti de' padri. Tanto che nella sentenza de' più concorse fra gli altri il Gualtieri di che specialmente i Legati fecer lamento, perchè egli il di avanti era stato il mezzano di portare al Lorenese il loro concetto, e di riportarne ad essi l'approvazione. Questo accidente, che fu leggiero inverso di se, avvenne nondimeno grave a' Legati, allora più gelosi della riputazione, quando la stima e il disprezzo rimaneva tutto in loro, e non si dividea fra' compagni.

Più ponderosa cagione tenea passionato il Gualtieri. Ciò era la poca (1) fermezza la qual parevagli di vedere nel cardinal di Loreno: onde avveniva ch'egli nel tesser con assiduo lavoro legami di buona corrispondenza fra esso e'l pontefice, dopo lungo ordito sempre si scorgesse da capo nella sua tela. E però dubitava, che in Roma veggendosi fré quentemente successi contrarii alle sue recenti speranze, potess' ei cadere in si

(1) Lettere, e cifere del Gualtiero al card. Borromeo de' 12, 19, e 22 d' aprile 1563.

nistra credenza o d'ingannatore, o d'ingannato. Benchè non aveva ommessi gli opportuni ripari per sottrarsi a tale accusa, con far sentire in ogni sua lettera la natura del cardinale. Sopra cui ultimamente ricordò, che la sera innanzi alla elezione di Giulio III aveva quegli spinto un corriere al re Arrigo, significandogli molti capi gravissimi, che il ritenevano da convenirvi: e la mattina vegnente fe opera col cardinal Farnese per la sua esaltazione; e la trasse ad effetto. Era il cardinale, secondo il ritratto che ne figurava il Gualtieri, di temperamento fra l'aereo e l'igneo presto all'accension degli affetti, e non meno al rifreddamento: tutto sdegnoso, tutto placabile; ma nel tempo dello sdegno oltre misura intemperante in farne dimostrazione, e in minacciare altrui di ruine: onde se alcuno allora l' udiva, credendo che la sua lingua si conformasse al cuore, potea stimarlo di mal cuore: per contrario nel tempo del buon volere, si liberal di promesse, che altri, contrapponendole poi con gli effetti, poteva imputare ad artificiosa dupplicità quel che era venuto da incon

siderata sincerità: in breve, quali i palazzi de' comuni, ove il più maestevole e'l più vistoso suole star nella facciata, e nella sala. Ma gli ornamenti di questa facciata, e di questa sala erano molti, e rari: magnanimità, amorevolezza, beneficenza, pietà, dottrina, perspicacia, eloquenza, valore, e zelo del publico giovamento. E di tal sua natura cangiante annoverava il Gualtieri novelle prove ricevutesi pure in que' giorni. Aveva scritto il cardinale, come si è narrato, che desiderava di ragionar col Legato Morone, prima che questi andasse all'imperadore, e che perciò sollecitamente verrebbe: di poi tardò la venuta; e publicò d'averlo fatto avvisatamente, perchè, se dall' altro gli era comunicato il tenor delle sue commessioni con Cesare, non si potesse mai sospicare ch'egli avesse applicata l'opera contro al felice successo. Altri nondimeno vi trovarono, o vi crearono più fina ragione ed arte; dicendo (1) che il Lorenese in Vinezia aveva estratto dal cardinal Navagero, distesosi alla patria innanzi

(1) Lettere e polize del Visconti al card. Borromeo de' 22 d'aprile 1565.

T. X.

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di venire a Trento, il più delle commessioni date al Morone per Cesare, e che l'aveva prenunziato a Cesare per un corriere: onde però gli era cessata la fretta di parlare al Morone. Ma sì come (1) queste sottili conghietture d'intelletti politici le più volte sono errori; così in Roma per contrario, essendo stato imposto al cardinal Navagero, che stesse attento in Vinezia alle ree opinioni, le quali per avventura tentasse d'imprimere nel senato quel di Loreno, e vi s'opponesse; ebbesi poscia molta soddisfazione di ciò che quegli aveva trattato e col Lorenese, e con la republica. Non riuscì già da essa al Legato una delle imprese propostesi (2) in quel suo viaggio; ciò fu di ritornarle in grazia il cardinale Amulio: benchè a tal fine presentasse affettuose lettere del pontefice, avvivate dalla sua lingua con vigoroso spirito d'eloquenza, ond'era dotato sì per natura come per uso in quello stesso teatro. Così forte è la

(1) Cifere, e lettere del card. Borromeo al Navagero da' 13 fin a' 24 d' aprile 1563.

(2) II Morosino nel libro ottavo della sua istoria veneta.

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