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mentre domandavano instantissimamente la correzion de' rei usi, ne introducevano essi a tutt'ora de' nuovi scandalosissimi e dannosissimi. Non però si fidava a pieno il Gualtieri, ch'ei (1) parlasse secondo l'animo; perciocchè al suo ritorno da Roma, trovando ch'esso gli consentiva in tutto, non gli credette in niente, e suspicò che simulasse a fin di trarre dal pontefice qualche construtto. Ma per qualunque sospetto non si può fare, che quando si sente per alcun dire con efficacia in vantaggio nostro quello ch'è vero, e che vale a persuaderlo altrui, non sia da noi creduto dir daddovero, e persuaderlosi egli stesso.

Avvenne in quel tempo, che fra Pietro Soto, il qual era in somma estimazione di severa probità e di soda scienza, ed avea sempre sostenute le due sentenze de' suoi vescovi spagnuoli: che sì la residenza, sì l'autorità episcopale fossero di ragion divina: caduto gravissimamente infermo, il giorno diciassettesimo d'aprile, dopo il quale tre soli rimase in vita,

(1) Appare da una cifera del Gualtieri al card. Borromeo degli 11 di marzo 1563.

pa

scrisse per mano altrui una lettera al pa e parole simiglianti al tenor di essa testificava d' avere udite dal Soto poco innanzi fra Vincenzo Giustiniani allora suo generale, e poi cardinale. Questa lettera (1) tosto divolgatasi in Trento, per la qualità della materia e dell' uomo divenne poi celebre in tutta Europa. Confortava egli quivi il pontefice, per la fedeltà e per la gratitudine la qual gli doveva in quell'estremo, a dar opera che si diffinisse di qual diritto fosse la residenza così de' vescovi, come. degli altri ministri ecclesiastici ed a farla osservare; provvedendo a' cardinali con altro che con vescovadi. E non meno a far dichiarare, che l'instituzione e l'autorità de' vescovi sia di ragion divina. Non conferire alla dignità della sede apostolica l' altrui abbassamento. Affermar lui vivendo e morendo, che 'l papa è superiore a tutti i concilii; nè può da loro in alcuna maniera esser giudicato. Riputar egli opportuno, che ciò similmente in aperto modo si diffinisse; però che il contrario

(1) Oltre alla lettera del Soto, una del Visconti al card. Borromeo. d'aprile 1563.

re,

tendeva manifestamente a sedizione, guere scisme. Raccomandava con ciò due cose al pontefice; il non consentire che si dessero altrui facultà di prender gli ordini da ciascun vescovo: convenendo al ben della Chiesa, che questo fosse riserbato al proprio diocesano e il non cercare nella distribuzione de' beneficii l'utilità sua e de' suoi ministri, ma la salute delle anime, e 'l pro delle chiese. In fine, gli domandava di così fatta sua libertà umilmente perdono.

Questa morte, accompagnata con perfetto esempio di religiosa divozione, fu di gran dispiacere al concilio: al quale parea di rimanere quasi in un buio infausto, perdendo in ogni genere alcune delle sue maggiori lumiere. Ma come accade nella vicissitudine delle cose mortali, si compensava la tristizia delle iatture con l'allegrezza degli acquisti. E quasi incontanente, ciò fu a'ventotto di aprile, se n' ebbe uno di gran pregio nella venuta del Legato Navagero. Entrò (1) egli con privata forma in lettica dopo

(1) Diario a' 28, e lettere de' Legati e del Visconti al card. Borromeo de' 19 d' aprile 1563.

l'imbrunir della notte; eleggendo l'oscurità dell' ora perchè non fosse proporzionata a veruno splendor di ricevimento: e allo stesso fine prevenne d'un giorno il dì prenunziato. La ragione che'l mosse a questo, fu per non eccitar contrasti di luogo fra gli oratori de' due re che gli sarebbono usciti incontro.

Ma la somma degli affari tridentini pareva che stesse allora fuori di Trento; cioè in Ispruch ne' trattati del cardinal Morone con Ferdinando. Non aveva quegli voluto conducer (1) seco verun prelato del concilio, perchè non s'avvisassero gli Alemanni, che da lui si dicesse non ciò che gli dettava il suo proprio giudicio intero dalle sinodali contese, ma la suggestione di tale che ne fosse già parziale coll' aderenza e con la passione. Gli fu nondimeno mandato appresso il promotor Castello, che in ogni uopo gli ministrasse l'informazioni de' fatti.

L'instruzioni ch'egli portava da Roma, si rivolgeano intorno al tenore della lettera segreta scritta da Cesare al papa; il quale nella breve già mandata risposta, (1) Atti del Paleotto.

come fu detto, rimettevasi a ciò che più ampiamente il Legato doveva esporre : onde la scrittura, oltre al proemio ufficioso, si distingueva in varii capi secondo quei della lettera menzionata.

Il primo capo dell' instruzione avea per suggetto la lunghezza del sinodo, la quale dicevasi non meno spiacere al papa, che all' imperadore: perciò che ne seguivano innumerabili danni; il pericolo di perder a ogni ora qualche nuova provincia, come accadeva allor nella Francia; la dissensione de'padri, e per conseguente la poca estimazion del concilio; le spese sopra le forze tanto inverso della sede apostolica, quanto de' vescovi particolari, il detrimento delle chiese per l'assenza de' lor pastori, i rischi di gran disturbo se mancasse la vita al pontefice, e di gravissimo nocumento se cadesse sua maestà, alla cui religione e protezione il concilio stava appoggiato; la licenza del procedere che ogni giorno quivi cresceva; il pericolo e delle discordie intestine che v'eccitasse alcun maligno col manto di voler la riformazion della Chiesa, e di qualche tumulto che rompesse il conci

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