Immagini della pagina
PDF
ePub

ducesse a verun termine le quistioni. Nè per tutto ciò diverrebbe il concilio più libero, ma ben sì popolare, tumultuoso, e confuso; imperò che la vera e la salutifera libertà non è contraria all'ordine ed alla regola. Quest' ordine essere stato in tutti i concilii, anzi serbarsi in tutti i collegii: onde un tale esempio che ora si vedesse nel sinodo tridentino per istanza di tanti principi, riuscirebbe ad inestimabil detrimento di tutte le congregazioni ecclesiastiche e secolari, e così di tutto il governo del mondo. E che interverrebbe, se rotto una volta quest' antimuro, i popoli, sempre queruli de' lor signori, ricorressero al concilio, e domandassero alleggerimento delle incomportabili gravezze imposte loro dai dominanti? Nulla conferire al servigio de' principi, che gli oratori proponessero, quando senza ciò, secondo la volontà del pontefice, i Legati erano presti di proporre a convenevol tempo tutte le loro domande.

La risposta dell' imperadore fu la seguente. Certo essere, che la primiera facultà di proporre conveniva al pontefice,

e a' presidenti: ma che intorno alla secondaria erano varie le opinioni. Che non voleva egli allora disputarne con sottigliezza: ma, da che il concilio avea poste quelle parole, intendeva d'accettarle con riverenza: nè ricusar che i suoi oratori portassero a' Legati le proposizioni le quali egli lor commettesse, e udissero le considerazioni, e le contrarie esortazioni, quando occorresse, di questi, il cui consiglio a lui sarebbe gratissimo : ma ciò salva ogni sua ragione: e con riserbarsi podestà, che ove i Legati negassero di recare al concilio quelle proposte, ed egli rimanesse nel suo giudicio, non gli fosse disdetto il farle appresentare da'suoi ministri, il che gli era lecito sì come a primo avvocato della Chiesa. Che il medesimo s' avvisava che fosse libero agli altri principi. E perchè intendea, ciò non dispiacere a sua santità, desiderava che a note aperte si dichiarasse.

Ripiglio il Legato, confermando la promessa, ma dicendo, non far mestiero che se ne facesse in concilio nuovo decreto: perciò che e senza ciò se ne avrebbe l'effetto, il qual solo rilevava, e quella

nuova dichiarazione si nella cosa, si nel modo avrebbe potuto cagionare molto contrasto, scompiglio, ed allungamento.

Avea l'imperadore nella sua lettera fatta distinzione fra vescovi non ministri della corte romana, e però non aspiranti al cappello, di altri ricchi, e d'altri poveri: mostrando, potersi sperar da' ricchi, quali erano il più degli oltramontani, come da contenti delle lor chiese, maggior sincerità intorno alla quistione della residenza, che da' poveri, quali erano assaissimi degl'italiani. E con questo discorso veniva ad attribuir maggior peso a quelle sentenze che volevano la diffinizione di tal mandamento come divino.

Ciò si confutava nell' instruzione, osservando, come più tosto ne' vescovi facultosi d'altre contrade è minor franchezza che negl' italiani poveri, perchè son frenati da maggior paura, e stimolati da maggiore speranza, temendo essi che non sieno lor sequestrate le rendite dai principi secolari, come spesso in que' paesi interviene, il che mai non suol fare il papa in Italia, e sperando altresì dal fa

vore de' medesimi principi chiese migliori ne' regni loro. In fine, essendo il diritto della voce pari a ciascuno, quelli soli esser più autorevoli, che portavano più fondate ragioni. A ciò similmente nulla più contrappose l' imperadore.

Veniva a canto, secondo l'ordine della lettera, il parlar sopra la riformazione del capo. E si diceva: esser bene il papa disposto a ricever di buon talento i consigli di Cesare, ma non potersi di ciò trattare in concilio senza trattare insieme dell' autorità pontificia: il che era lungi dall' intenzione di sua maestà. Non trovarsi mai usato, che'l concilio desse regola al pontefice: maggiormente che questi era pronto a riformarsi da per se, ed in opera il faceva. Nel resto non potere il concilio prescriver legge al papa, quando ogni legge del concilio in tanto ha valore, in quanto il riceve dalla confermazione del papa. Ed esser ciò più dissonante, che se i sudditi dell' imperio volessero imporre leggi all' imperadore. Molto meno aver balìa di dar legge al pontefice i principi secolari: anzi essere stato costume della Chiesa, che i ponte

fici facessero le constituzioni, approvante il concilio, e che gl' imperadori poscia le soscrivessero, e ne fossero esecutori. Non convenire che i principi, sotto pallio di riformazione e di religione, volessero far mercato del concilio: nel che s' accennava che la diminuzione dell'autorità pontificia sarebbesi da lor procurata per rispetti politici o di tirarla a se, o di compiacere agli eretici. Che sua maestà essendo avvocato, e difenditor della Chiesa, dovea proteggere il capo di lei, e non congiugnersi con chi gli era o dirittamente, od obliquamente contrario.

Al suddetto capitolo così Ferdinando. Questa essere la materia fra tutte più ponderosa. Non potersi dubitare, che la riformazione facea mestiero non sol nelle membra della Chiesa universale, la quale opera già erasi incominciata dal concilio, ma nel capo, ch'era la Chiesa di Roma se'l uo vescovo. Non intender già Cesare con queste parole la persona del presente pontefice, cui egli teneva in ottima estimazione, e così pensava che'l tenesse tutto il mondo: ma generalmente parlando, esser fuori di controversia, che assaissi

« IndietroContinua »