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tezza ch'ei scriverebbe a' suoi ministri. E ve n'era mestiero, perciò che il Ciurelia non rifinava (1) dal procacciarsi le risa, o più veramente i fremiti dell'adunanza colle sconce beffe delle sue profezie: tanto che il signor di Lansac s'accese d' indegnazione non solo contro all'insolenza del dicitore, ma contro alla tolleranza de' presidenti.

Che'l papa lasciasse, come offeriva, al concilio intera la libertà nelle decisioni.

Essendosi dal Legato fatto vedere all'imperadore, che'l sinodo in tempo di Paolo e di Giulio, ed anche del presente pontefice, avea corretti molti usi men buoni della corte romana, e pregando quegli il Legato, che essendovene degli altri, si desse compimento all'emendazione, non solo ebbe di ciò promessa, ma gli furon dimostrati molti canoni che i presidenti aveano già su l'ancudine in questo tema.

Che s' avesse special cura di dar riparo alla inordinata elezione de' vescovi, ed all'esenzione de' capitoli da' loro ordinarii; amendue origine d'infiniti mali.

(1) Due del Visconti de'21 e de' 29 d'aprile 1563.

Aver saputo l'imperadore, che la disputazione, se la residenza fosse di ragion divina, aveva acceso gran contrasto e tolto gran tempo, ond' egli alcuna volta s'era avvisato, mettere a meglio il non quistionar di ciò, e solo costrignere i vescovi a risedere ma ch' essendosi già tant' oltre e in punto di terminarla, avrebbe sua maestà pregati i presidenti, che si venisse ad una santa concordia.

Che informato Cesare, parer disconvenevole a molti e per molte ragioni, l'essersi posto in uso fin a quell' ora un sol segretario a registrare le azioni del concilio, pregava egli amorevolmente il Legato a considerar sopra ciò attentamente insieme co' suoi colleghi, almeno per torre i lamenti e le cavillazioni. E benchè al cardinale paresse, che l'opera d'un segretario fosse bastevole, e la querela inragionevole; nondimeno si dispose interiormente di soddisfare in questo all'imperadore, ov' egli insistesse nella domanda: però che Ferdinando già dichiarava, che l'elezione dell' aggiunto dovesse farsi con autorità del pontefice e de' Legati: & posto ciò, niun pregiudicio ne riusciva.

Finalmente, che, non essendo allora tempo opportuno d'andar l'imperadore a Bologna per coronarsi, come il pontefice l'invitava, non avrebbe però trascurato di seguir, quanto più presto gli fosse lecito, quella giusta e laudabile usanza dei suoi maggiori.

Oltre a queste cose poste in iscritto, composero a voce: che ove fosse avvenuta la vacanza della sedia romana durante il concilio e vivente Ferdinando, egli avrebbe applicata tutta la sua potenza a patrocinio del collegio, affinchè ritenesse pacificamente l'antico diritto di creare il nuovo pontefice. Di che il cardinale in tutto lo spazio della sua legazione era stato con gelosia, dubitando, non tendessero a mutar ciò alcune delle richieste.

In tre cose però, le quali tosto soggiugneremo, non consentirono interamente, come apparve più chiaro da una scrittura che in virtù di questo parlamento fu poi consegnata al Legato in nome dell'imperadore su la partenza. Onde quegli ricevendo onori per altro in ogni più riguardevol maniera, eziandio con esser

visitato (1) da Cesare per levargli il disagio di farsi portare a lui mentre aveva i piedi annodati dalla podagra, e sentendosi richiamato dalle necessità del concilio, nell'accommiatarsi la mattina dodicesima di maggio non ristette di ribattere su que'chiodi che vedeva non ben saldati. Ma perchè la brevità del tempo e la natura di quell'ufficio non gli diedero agio di soddisfare al suo animo ed all'affare; scrisse a Ferdinando una lettera il giorno stesso, e gliene fe presentare dal nunzio Delfino. La somma era questa.

Essergli testimonio Dio, che dopo l'ossequio dovuto da se come da cardinale al pontefice e alla sede apostolica, non era persona a cui portasse più osservanza, e professasse più obligazione, che alla maestà sua. Perciò volerle scrivere allora, si come a principe a cui era debitore d'infinite grazie, ed in cui era conoscitore d'infinita benignità: e sì come a tale, averle parlato quella mattina più liberamente dell'uso, ma forse più brevemente dell'uopo, in tre capi rammaricandosi dell'ulti

(1) Appare da una lettera de' Legati al card. Borromeo de' 10 di maggio 1563.

mo scritto recatogli per parte della mae

stà sua.

L'uno essere di deputar le adunanze a riguardo di nazioni, sopra che in quella risposta facea segno sua maestà di rimaner ferma. Non potersi in ciò far più oltra di quello che già i Legati facevano, com' egli le aveva significato, e come la maestà sua potrebbe conoscere, intendendo dal nunzio il vero stato del concilio, e'l rispetto che dovevasi avere al numero de' prelati. E qual equità volere, che uno o due inglesi o ibernesi ottenesscro pari autorità con trenta francesi o spagnuoli, per non parlare degl'italiani? Non essere in balia de' principi, anzi nè ancora del papa stesso l'introdurre contra voglia de' più in concilio un costume nuovo, e sol usato in qualche maniera dal sinodo di Gostanza, quando non ci avea pontefice nella Chiesa, e da quello di Basilea che non era accettato. Senza che, proponendosi questa come una via compendiosa, era certo per contrario, che la sola discussione di tanta novità avrebbe divorato assai maggior tempo di quanto poi se ne avanzasse per così fatto spediente. Nè ba

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