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apostolica. Uditasi la lettera, il cardinale con magnifica orazione, benchè non premeditata, com'egli disse quando il segretario gliene chiese la consueta copia, amplificò la dignità di quella reina, la nobiltà della sua schiatta, la pietà dell'animo, i travagli sofferti per mantener la religione in quel regno, le miserie di esso per cagion degli eretici. Non poter ella spigner quindi nè prelati nè ambasciadori al concilio. Aver nondimeno lei scritto ad alcuni pochi vescovi di sua nazione, i quali dimoravano in Francia sbanditi, che vi convenissero, come sperava che seguirebbe. Ma senza fallo intender lei di sottomettersi a ciò che fosse decretato in quel santissimo convento, sì come ubbidiente figliuola della sede apostolica.

Fu risposto dal segretario al cardinale con le forme convenienti verso una si religiosa, e sì tribolata reina, e verso la qualità, e le parole del mediatore.

Più memorabile nondimeno, per quanto è all'istoria presente, fu il cardinale su quel tempo ne' pareri di negozio, che ne' parlamenti d'ufficio. Eransi già messi in appresto da' deputati i capitoli sopra

l'emendazion de' rei usi nel sacramento dell' Ordine: il che tosto avea dato a vedere quanto la riformazione dagli oratori si domandata in generale, fosse ricusata da loro in particolare. Imperò che trattandosi nel primo divisato capo (1) sopra l'elezione de' vescovi, e ponendosi quivi necessità di gran prove, e testimonianze intorno a'meriti di coloro che altronde non erano già noti al papa: il conte di Luna fece instanza a' Legati, che que'capitoli s'accorciassero per non proporre i volumi, e per non ispargere prodigamente il tempo in disputazioni prolisse: di che scusandosi loro con dire, che tutto era opera de' deputati, il conte soggiunse, dover essi commettere a' deputati che gli abbreviassero. A che i presidenti non consentirono, pigliando spazio a deliberare, affinchè poi non s'opponesse, che 'l concilio non era libero, secondo che più di tutti solean gridare gli ambasciadori. Ed

(1) La forma de' predetti capi proposti nella congregazione il dì 12 di maggio 1563 sta negli Atti di castello, e il resto appare da una lettera de' Legati al card. Borromeo de'28 d'aprile, e da una del Visconti lo stesso giorno.

in ultimo fu scoperto, ciò che internamente doleva al conte nell'apprestata scrittura, esser la qualità, non la quantità: però che con quelle speciali condizioni, e provazioni ricercate ne' vescovi ristrignevasi molto la podestà reale nel nominarli. Onde il portoghese, che avea comune in ciò l'interesse, domandò liberamente che si levasse del tutto quel primo capo. Ma era impossibile il tralasciar materia di così gran sustanza.

Ora il cardinal di Loreno, vago a sua usanza d'essere autore più tosto che approvatore, s'era mosso a formare (1), in vece de' già preparati, altri quattro capitoli sopra lo stesso tema, divisando di proporli. E perchè i presidenti negavano e di far questo torto all'ufficio de'deputati dall'assemblea, e di conceder questa prerogativa a chi non l'aveva dall'assemblea, egli rimanevane tutto cruccioso. Finalmente si convenne, che fosse portato in primo luogo lo scritto de' deputati, e che poscia il cardinale, sponendo la sua sentenza, ne recasse in mezzo un altro a

(1) Appare da una del Gualtieri al card. Borromeo de' 3 di maggio 1563.

T. X.

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sua voglia. Così fecesi il giorno duodecimo (1) di maggio nella universal congregazione. Ed egli, che era il primo a dir suo parere, il recitò lunghissimo, e pur non intero, ma sopra quattro soli capitoli de' proposti: riserbandosi di ragionar sopra il rimanente come tutti i padri avessero posto fine. Il che spiacque sopra modo a'vescovi tanto spagnuoli, quanto italiani: si come tutto l'insolito negli affari, e ne' personaggi grandi ha sembianza d'artificio, ed è materia di suspizione. Ma con argomentarsi i Legati di trarlo al consueto, svegliarono in lui scambievole suspizione, e lo confermarono in vece di smuoverlo. Avvenne contuttociò, che egli, uditi sol pochi de' giudicii altrui, mettesse fuori il compimento del suo. Il che accennò d'aver fatto, perchè basta vagli d'avere inteso l'arcivescovo d' Otranto, di cui era in lui special sospetto, che i presidenti gliel destinassero per contraddittore. Ed in verità il ragionamento del

(1) Lettera de' Legati al card. Borromeo de' 13 e de' 14 di maggio 1563, e due del Gualtieri de' 12 e de' 16 di maggio, e dell' arcivescovo di Zara de' 3 e de' 17 di maggio, oltre agli Atti di Castello.

l'arcivescovo fu da essi con egregii titoli celebrato al cardinal Borromeo.

Quello del cardinal di Loreno sommariamente fu tale. Che i deputati s'avevano arrogata una podestà, la qual non erasi data loro, scegliendo que' mali usi sopra cui era lor piaciuto di formare i canoni: onde rimaner libero alla coscienza di ciascuno il farvi novelle aggiunte. Volersi in primo luogo ben constituire, quali informazioni dovessero pigliarsi intorno ai vescovi da promuoversi, e quali doti richiedesse il Signor nostro tanto in loro, quanto negli altri inferiori ministri: sopra che andò diligentemente considerando varii luoghi della Scrittura. Riprovò l'elezione de' vescovi allora usata dal papa, come difettuosa, ed insieme la nominazione de' principi e de' capitoli, come dan- nosa, fatta le più volte senza giudicio, e non di rado ad interesse. Menzionỏ nondimeno con grand' onore Carlo V e 'l re Filippo: ma disse, non averci spesso principi di quell'animo. Non perdonò alla reina di Scozia, discorrendo che alle donne è vietato il parlar nella Chiesa; quanto più il dar prefetti alla Chiesa? Nè il rispetto

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