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ch'egli come pratico dell'uomo seppe additargli.

Avvenne al Gualtieri in questi trattati, che per maniera di scusar le altrui gelosie si come non temerarie, ma fondate nella voce comune, si certificò dal cardinal di Loreno, esser false due cose già divolgate, e credute: ch'egli macchinasse il procedere per numero di nazioni, come il cardinal Simonetta ed anche il Seripando s'erano avvisati per le sue proposte da noi riferite: e che in casa di lui si fosse tenuta una congrega di prelati francesi,

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quali avesser quivi approvata la sentenza, che la iurisdizione de' vescovi sia di ragion divina. Ben riseppe il Gualtieri, che molti de' Francesi nelle private loro conferenze sentivano doversi dichiarare che la iurisdizione de' vescovi fosse da Cristo, ma senza specificare, se immediatamente, o mediante altrui: e quindi con prestezza passare a'capi della riformazione: materia ch'era lor più a cuore per affetto della Francia. Fu nondimeno assai torbido questo colloquio, o più veramente contrasto, fra il Lorenese e'l Gualtieri lagnandosi il cardinale agra

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mente della prava opinione che'l papa di lui mostrava, e del frequente rimprovero che facea delle grazie a lui concedute. E fra l'altre cose riferì, ch'ei nella congre gazione sopra gli affari del concilio, qualora lamentavasi de' sinistri uffici che si adoperavano appresso l'imperadore, dirizzava il viso al cardinal della Bordisiera, quasi attribuendo ciò al cardinal di Loreno. Dall' altra parte il Gualtieri difendeva francamente l'azioni del suo signore. E perchè gli parve che il Lorenese parlasse alto per la notizia della non piena corrispondenza a quel tempo fra 'l papa e'l re cattolico, gli ricordò quanto fosse agevole all'uno guadagnarsi l'altro; ma con que' modi i quali forse a' Francesi non sarebbon in grado, ed essi avrebbon la colpa, se il costrignessero ad usarli. Anzi, che non meno sarebbe stato lor grave, ove il papa si fosse procacciato l'amore del re di Francia, condiscendendo alle sue richieste perciò che fra le principali era il poter alienare una grossa porzione di beni ecclesiastici, a fine d'impiegare il danaro nella guerra con gli ugonotti: il che dal papa s'era dianzi negato, con

molta commendazione de' vescovi francesi: considerando essi, che questo sarebbe riuscito ad aprimento d'un canale onde in breve si votasse tutto il patrimonio della Chiesa. Nè rimase il Gualtieri di ricordare ciò che leggevasi rimproverato da un eretico tedesco a'sorbonici: che fosser mali dialettici, mentre, consentendo agli altri principii della Chiesa romana, negavano la preminenza del papa sopra il concilio, la qual ne venia per legittima conclusione.

Or con tutto che nel ragionamento col Gualtieri per tali maniere libere da questo usate, si fosse dimostrato dal Lorenese qualche accendimento, aveva egli poi detto all'arcivescovo di Sans, che volea confondere le diffidenze de' pontificii con le sue contrarie azioni. E di ciò vedevano già i Legati qualche (1) indizio, parendo lor, che ne'suggetti di contenzione, e di gelosia intorno alla résidenza, é alla giurisdizione episcopale, egli fosse volto a farsi autore di calma, e non di tempesta. Onde si confidavano di tener la

(1) Lettera de Legati al cardinal Borromeo ai 26 di novembre 1562.

sessione avanti al Natale. E ciò credeasi da loro il sommo della brevità possibile: quando la lunghezza de' padri in dir le sentenze, oltre alla lentezza usatasi anche in grazia del cardinale, non solo avea tolto di celebrarla il dì prescritto de' ventisei di novembre, ma eziandio di far gran viaggio.

Nel giorno dei ventiquattro (1) fra Guasparre da Casale vescovo di Leiria empiè solo tutta la congregazione, vago che il cardinale di Loreno udisse da lui l'intero stato della controversia presente. In sentenza così discorse. Che i vescovi erano successori agli apostoli, non in tutto e per tutto, ma nella giurisdizione ordinaria. Essere loro dunque in rispetto del papa come erano gli apostoli in rispetto di Pietro prima che fossero mandati. Avere obligazione per legge divina il pontefice di far vescovi nella Chiesa: nè potere egli distruggere l'ordine episcopale. Non però essere eguali al pontefice i vescovi nè separatamente, nè tutti insieme: per

(1) Oltre agli Atti di Castello, è nel Diario ai 24, e a' 25, e in una del Visconti al cardinal Borromeo de' 26 di novembre 1562.

ciò che la podestà di lui è moderativa dell'altre podestà, concorre con tutti i vescovi nei loro vescovadi, ed ha quivi maggior diritto che essi non vi hanno. Potere essere una cosa di ragione divina in due modi, o immediatamente, o per interposito mezzo. I primi vescovi, cioè gli apostoli, essere stati da Cristo immediatamente: tutti gli altri vescovi di poi avere la podestà e dell'ordine, e della giurisdizione principalmente da Cristo, ma mediante il papa suo ministro: imperò che se il vescovo non fosse consacrato dal papa, e da lui non avesse il gregge, Cristo nol conoscerebbe per vescovo. Ora nella consecrazione una cosa darsi da Dio solo, che è il carattere: un'altra principalmente da Dio, strumentalmente dal papa, che è la giurisdizione. Al vescovo consagrato nulla mancar se non la materia, acciò che quella giurisdizione si ponga in atto. Conchiuse riprovando che nel settimo canone si dicesse, aver Cristo instituito che nella Chiesa fossero vescovi: però che questo accennava l'opinione del Turrecremata, che Cristo avesse instituito un sol vescovo, cioè Pietro. Volersi più tosto condan

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