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nare chi dicesse: non dover essere i vescovi nella Chiesa di Dio. Il di a canto udironsi tre soli prelati: e poscia dal cardinal Seripando fu proposto l' indugio della sessione. Perchè quest'atto si facesse dal secondo e non dal primo Legato, il quale rimase quel giorno assente, la ragione fu per avventura ciò che scorgesi in uno scritto mandato a Roma dal Mantovano (1) sopra la maniera acconcia di trattare si col Lorenese, si fra' Legati medesimi: ov' egli significava tra l'altre cose, essere stati da se richiesti i colleghi, che quando occorreva di proporre materie per tinenti o alla teologia, o ai canoni, o anche di parlarne per incidenza mentre se ne di ceano i pareri ; fosse ciò azione loro quantunque egli tenesse la prima sedia: imperò che bene era noto, che il pontefice aveva colà mandati essi perchè indirizzassero il concilio con la perizia di sì fatte dottrine; e lui (così ei parlava modestamente ) solo a far numero. Aggiugnendo egli loro, che ove a ciò ripugnassero, avrebbe procura

(1) Segnato a' 9 di novembre 1562, e approvato interamente con lettere del cardinal Borromeo a 18 di novembre 1562.

to, che ne venisse comandamento dal papa; o sarebbesi ritenuto dalle congregazioni per non impedire il pro del sinodo con sua presenza. Allora per tanto dovendosi ragionare in quella proposta, come vedremo, sopra la maniera di profferire i giudicii in un articolo di teologia, ne fu da lui lasciata l'opera al Seripando.

Non era lungi dalla notizia dei Legati, che la publica fama gli lacerava (1) come artificiosi prolungatori: quasi essi, e con loro molti dei vescovi, fossero intenti a schifare lo stretto più travaglioso delle riformazioni severe, il quale in fine sarebbe convenuto solcare. E questa opinione, allignata tanto o quanto ne' publici rappresentatori, s'era poi dilatata ed appresa con indegnità del concilio nella turba più vile: onde, come gli uomini più ignoranti sono più proni ad immaginare infingimenti in tutte le azioni dei grandi; cosi fin gli artieri si ridevano di quelle congregazioni, quasi di scene, riputando stoltizia il credere che si operasse da senno, e che

(1) Appare da due lettere dell'ambasciador fiorentino al duca Cosimo de' 16, e de' 23 di novem→ bre 1562.

non s'intralciassero dimore, fin che si potesse conchiudere con buona pace dei principi una sospensione. Giudicando però necessario il presidente scaricare sè e i colleghi di sì scandalosa imputazione, incominciò con dire: che i padri facevano querela dei Legati per la lunghezza del concilio: di che i Legati non potersi altramente purgare, che riversando la querela sopra di loro per la lunghezza delle sentenze, le quali divenivano più veramente lezioni. Nelle stesse lezioni essere biasimevole la prolissità; ma nei pareri delle congreghe laudevolissima la brevità, Come volere essi emendare i cattivi usi del mondo, se non sapevano correggere questo mal uso in se stessi di scialacquare il tempo, cioè il più prezioso dei tesori, in quistioni leggiere e infruttuose? Do versi porre ogni studio per mostrare a tutti, che in quel concilio si procedeva secondo lo spirito; e pure essere argómento dell' Apostolo: se fra voi sono liti e contenzioni, non procedete secondo l'uomo? Per queste ed altre cagioni avere i presidenti deliberato di prorogare la sessione. Pensassero i padri al quando: ma ove non

si provvedesse innanzi a recidere il superfluo nel dire, non parere ai Legati di poterne segnare il di certo: onde proponeva di prorogarla ad arbitrio dell'assemblea.

Nella dilazione tutti convennero: ma sopra l'incertezza del giorno fu gran discordia. Il cardinal di Loreno approvò la proposta (1); biasimando quel dire prolisso, e avvisando che il deputare un di certo sarebbesi fatto con rischio che ne mancasse l'effetto, e però insieme il decoro; rimanendo ancora forse cento padri a dover favellare, e per tanto essendo impossibile il prevedere quando puntalmente sarebbe possibile la sessione. Ad altri non piacea quell' indugio senza verun confine, e tutto ad arbitrio. Il Colonna disse, che quantunque della lunghezza fossero in colpa i prelati, non n'erano però innocenti i Legati: cui debito sarebbe stato esercitare l'autorità, e troncare il sover+ chio, secondo il detto: al savio poche pa role. Tanta si udiva la varietà de' pareri, che nè pur si discerneva qual parte fosse

(1) Oltre agli Atti, una dell'ambasciador fiorentino al duca Cosimo, e una dell'arcivescovo di Zara a' 26 di novembre 1562 in izinq i onɔzenemosi

la più accettata, ed era già tramontato il sole: tal che il Seripando consigliò, e fu seguito, che per quell'ora si prorogasse a giorno incerto, si veramente, che fra otto di, nel qual tempo si darebbe maggior ordine, e apparrebbe maggior luce, tale incertitudine si determinasse.

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E nel vero quella diuturnità di fatiche sotto un cielo si crudo, oltre agli altri danni che ne seguivano, si provava insoffribile alla complessione fiacca o senile di alcuni padri. Era morto (1) in quel tempo nella città di Spoleti, mentre per malattia partito da Trento ritornava alla sua chiesa, Giambattista Osio romano, vesco vo di Rieti, uomo dotto e zelante, ma tenace del suo parere: difetto nelle congregazioni quanto spiacevole come argomento d'apprezzar poco i compagni, tanto nocevole come impedimento della concordia I Legati avevano raccomandato per quella chiesa il Castagna arcivescovo di Rossano: ma il pontefice la sposò al cardinale Amulio: di che essi molto il com

(1) Varie lettere de' Legati, e del Visconti al cardinal Borromeo parlano della sua persona, della sua morte, come negli Atti del Paleotto.

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