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silenzio comandato loro con gli ambasciadori francesi avanti a quell'atto. Onde gli chiamarono a se; e mostrarono ad essi quanto fosse in pro non solo della Chiesa, ma della Francia, che 'l concilio, adunato principalmente a riquisizion di quel regno, felicemente si proseguisse: e quanto facesser mestiero alla felicità del procedimento gli oratori d'amendue le corone. Se l'una l'abbandonasse, mancare al concilio tanto di lena che nè ancor varrebbe ad operare efficacemente il beneficio dell'altra. Rivolgessero però in cuore, non solo come buoni cittadini del mondo cristiano, quali conveniva loro di professarsi, ma come buoni figliuoli della Francia e buoni ministri del re cristianissimo, a concordare in qualche partito, nel quale, salva la dignità del loro signore, si mantenesse ancora la soddisfazione dell' altro re suo cognato. E dopo si fatto preambolo proposero due maniere, amendue con lasciare ai Francesi il luogo immediato sotto l'ambasciador laico imperiale; ed erano queste: ovvero che 'l conte di Luna avesse un seggio in mezzo incontro ai Legati, quale in tempo di Giulio III erasi dato

all'ambasciador portoghese nella lite coll'ambasciador di Ferdinando come di re d'Ungheria: o, che 'l conte sedesse fra gli ambasciadori ecclesiastici sotto quello che era di Cesare come di Cesare.

Fu risposto dai Francesi, che si come ogni rottura solea trarre origine da qualche innovazione; così la più giusta e la più agevole strada per mantenere la concordia era il continuare nell' uso antico. Di ciò aver essi comandamento dalla maestà cristianissima; la quale lor commetteva, che volendosi far novità, si partissero di presente con tutti i vescovi della Francia. Queste alterazioni tentarsi per affetti o inquieti o ambiziosi dei ministri, e non per sentimento del re cattolico: il quale avea dati e dava sì larghi pegni di amistà e di fratellanza verso il cognato, che ben palesava inclinazione in tutto diversa dal volergli diminuire una dramma delle sue antiche prerogative, massimamente in questa sua fanciullezza. Assicurarsi gli ambasciadori, che più tosto in mantenimento di esse adoprerebbe il re Filippo tutta la sua potenza, come di fatto l'adoperava in mantenere al re

Carlo l'autorità contra i ribelli. Non essere già mai per rimaner contenta la corona di Francia, infin a tanto che non rendesse a quella di Spagna il merito di sì gran beneficii. Ma non dettando la gratitudine, la quale è una delle più onorate virtù, che in esercizio di lei si offenda onore, non volersi ciò fare a costo della real sua dignità.

יך

Il cardinal di Mantova s'affaticò a fin di piegare i Francesi, ponendo avanti, che quando essi ritenevano il luogo loro, non dovevano opporsi alla soddisfazione altrui: e che l'operar diversamente potrebbe dar segno di non aver quell'ottima volontà verso il prospero seguitamento del sinodo la qual professavano. Ma essi in contrario: che l'altrui soddisfazione sarebbe lor cara, qual volta che non pregiudicasse all' onoranze del loro principe. Tutti questi partiti andarsi ritrovando dagli Spagnuoli per mettere in dubbio quello che la dignità del re cristianissimo ricercava esser chiaro, ciò era, che a sua maestà si dovesse il primo grado appresso l'imperadore. Nè potersi imputare a rea volontà verso il concilio il non consentire

a perder l'antico possesso, e ad alterare il consueto.

Soggiunse allora il Mantovano, consapevole del segreto, e volonteroso d' accordar modo meno spiacente al re Filippo, che non era il collocare l'orator suo appresso, e sotto il francese: e che direste, signori, se l'ambasciador di Spagna eleggesse di porsi dopo tutti gli ambasciadori? Intendereste voi di costrignerlo a prender luogo migliore ch'ei non volesse? All' improvisa proposta risposero i Francesi, che in questo caso vi penserebbon sopra. I Legati, senza ristrignersi a quell'ultimo partito, posero fine al colloquio, pregando in universale gli ambasciadori a deliberare più posatamente. E interposero gli ufficii del Gualtieri col cardinal di Loreno; il quale dall' un lato avea molto d'autorità con quei ministri; dall'altro credevasi che desiderasse l'unione col re di Spagna si per la prosperità della guerra con gli ugonotti, che ad esso e ai fratelli molto caleva, e rilevava, si per la quiete del concilio, il cui disturbo avrebbe tolto onore e felicità alla sua impresa. Ma la conclusione fu il risponder lui: che gli amba

sciadori non potevano contravvenire alle loro commessioni di fermarsi nell' usitato: i nuovi temperamenti doversi proporre in Francia al consiglio regio. E scrivendo sopra ciò Lansac all'ambasciador francese in Roma, gli mostrò e saldezza immobile in in questo punto, e insieme disposizione di onorare in tutto il resto con ogni più fina maniera d'ufficii il conte di Luna, ma con quella sorte d' onore per cui nulla ne scemasse all'onorante. E perchè era venuto (1) a Roma per parte del re cattolico Luigi d'Avila, e ad alcuni andava per la mente, ch' egli dovesse procurare a Filippo dal pontefice la dinominazione d'imperadore dell' Indie, come titolo splendido per la vittoria in quella lite, Lansac scrisse, che ciò niente avrebbe pregiudicato alla preminenza del suo signore: però che l'imperador delle Gallie, il qual non riconosceva superiore in terra, e i cui antecessori aveano fondato l'imperio d'Occidente, non cederebbe mai nell' Europa ad un nuovo imperadore dell' Indie. Senza che, esser fama che Leone X, quando convenne

(1) Lettera del signor di Lansac al signor dell'Isola agli 11 di novembre 1562.

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