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col re Francesco I in Bologna, avesse investito lui e i suoi successori dell'imperio di Costantinopoli. Ma non parer verisimili nel saggio e virtuoso animo del re Filippo questi pensieri di ciò che nulla sarebbe montato ad accrescere la sua grandezza.

Il pontefice, udita dai presidenti la durezza dei Francesi, riscrisse, (1) non essergli giunta inopinata: ed aver egli voluto mandar quel corriere, più per soddisfare a se e ad altrui con tentare ogni argomento, che per alcuna speranza di conseguire il fine. Non sapersi da lui ai Légati dire altro, se non raffermare, che facendo i ministri spagnuoli le loro protestazioni, essi le ammettessero: e nel rimanente rendersi lui certo della bontà e della religione del re cattolico in posporre ogni suo privato rispetto al servigio publico; al quale non vorrebbe che tali vanità recassero impedimento. E di vero, sarebbe maraviglioso che ciò di fatto avvenisse tra savii uomini, se non avvenisse cotanto

(1) Lettera del cardinal Borromeo a' Legati in comune, e al Mantovano in particolare de' 5 di dicembre 1562.

spesso; valendo a cessar maraviglia più l'usanza che la ragione.

Attendevasi frattanto con fervore anche all' opere intrinsiche dell' assemblea. Il cardinal di Loreno, prima di ragionare sopra il canone disputato, (1) dicea di volere udire tutti i vescovi, salvo i suoi, e notar con diligenza i sensi di ciascheduno: dal che si entrava in opinione, ch'egli aspirasse ad essere arbitro del concilio; e che però si tenesse dal dichiarare il suo parere, finchè non si certificasse, che la sua dichiarazione dovesse aver quasi forza di decisione. Ed in questa credenza si confermavano alcuni per la grande allegrezza ch'egli mostrò nell'intendere, (2) che tre altri de' suoi vescovi francesi già fossero a Brescia, quasi prossimo accrescimento del suo potere. Fu anche trovato una volta dal Musotto, (3) mentre gli portò certa ambasciata del cardinal Seripando, congregato con tutti i prelati e teologi della

(1) Contiensi specialmente in una scrittura del Visconti al card. Borromeo dei 30 novembre 1562. (2) Lettera del Visconti al cardinal Borromeo il dì suddetto.

(3) Scrittura del Visconti allégata.

sua compagnia. E perchè il cardinale di Loreno mandò in quel tempo al pontefice il Bertone suo segretario, non mancarono al sospetto i suoi alimenti (1) in quell'azione per altro amorevole ed ossequiosa: dicendosi, ch' egli il faceva, affinchè molte persone confidenti che aveva in Roma, dessero al Bertone quelle segrete contezze a voce, le quali non s'attentavano di commettere alla carta.

Molto più sinistra credenza si aveva in Trento, e di là si spargeva in Roma sopra il signor (2) di Lansac: il quale, essendone informato dal signor dell'Isola, e avendo da esso ricevuta infin copia di ciò che contra di lui avea scritto il cardinal Simonetta al Borromeo, ne fe gran querela col Gualtieri allor che questi gli presentò la lettera del pontefice: ricevendo nel resto in grado l'ufficio, e con esso il mezzano. E quando si venne alle prove, non mostrò poi si brutto il viso, come si era effigiato nel ritratto.

(1) Scrittura già detta del Visconti al cardinal Borromeo segnata il dì ultimo di novembre 1562.

(2) Lettera del Gualtiero al cardinal Borromeo a' 26 di novembre 1562.

Di queste imputazioni i Francesi ren-devano il cambio: per ciò che il medesimo signor dell'Isola, ritenendo il mal animo contra il Gualtieri (1), scrisse al cardinal di Loreno, che stesse in guardia di-lui come di nemico, il quale erasi ingegnato di rappresentarlo al pontefice per un eretico. Ma il cardinal nella conversazion del Gualtieri, preso da quegli speciali caratteri di lealtà, i quali persuadono quasi sempre, e non ingannano quasi mai, non solo non prestò fede alla lettera, ma la comunicò a lui stesso (pericolo assai frequente delle sinistre relazioni), e poi nella risposta fe segno d'opinione affatto contraria. E a queste dimostrazioni private verso il mediatore andava egli conformando le publiche verso la causa: imperò che, udita nelle prime congregazioni la lunghezza e la superfluità con cui trattavasi quella differenza sopra il settimo canone, la biasimò (2) a tutti palesemente. Non richiedere allora il servigio di

(1) Appare da una del Gualtiero al cardinal Borromeo all'ultimo di novembre 1562.

(2) Lettera del Gualtieri e de' Legati al cardinal Borromeo a' 26 di novembre 1562.

Dio, che si piatisse in tali quistioni altrettanto infruttuose, quanto pericolose: alla tavola dell' imperadore essersi parlato di ciò con maniera di vituperazione, e di scandalo. Quanto più scandalo sarebbe se il fine di tal controversia desse a credere, che si fosse proceduto con passione, e per interesse? Aggiunse ridendo, non consentir lui, che si segnasse a suo conto la preterita prorogazione, nè volersi a ciò soscrivere, veggendo che rimaneasi tanto indietro nel corso, e tanto lungi dalla meta.

> Nè cessavano (1) i ministri spagnuoli d'usar tutte le diligenze coi loro prelati, a fin di ritrarli da quell'impeto di controversie non acconce al tempo, e valevoli o a cagionare, o a significar poca unione fra 'l capo e le membra della Chiesa cattolica. E sperimentando che alle risposte generali sempre buone, non consonavano i fatti particolari, stimò il marchese di Pescara, che ciò procedesse forse dalla debole autorità del segretario Pagnano: onde riscaldato dall'ultime richieste del

(1) Lettere del Visconti al cardinal Borromeo a' 27, ed ultimo di novembre.

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