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Affrica l'anno 24 di Cristo, ed è ricordato da Tacito Annal. lib. IV. c. XXIII. l'altro fu proconsole dell'Asia, ed andò soggetto ad un'accusa de repetundis l'anno 32 di Cristo, come mostra lo stesso storico lib. III. c. LXVI, onde andò rilegato a Citera cap. LXIX. e poscia mort l'anno 55 per le trame di Agrippina: Tacito Annal. lib. XIII. c. I. L'essere sul Celio il Campo Marziale destinato a supplire al Campo Marzio per le Equirie in caso che questo fosse andato soggetto alle inondazioni del Tevere, ed il leggere nella epigrafe dato a Silano il titolo di Flamen Martialis m'induce a credere, che fosse questo fornice come l'ingresso a quel campo, il quale sembra che si dilungasse nella convalle, che apresi fra il tempio di Claudio, oggi giardino de'pp. passionisti, e la chiesa de'ss. Quattro Coronati, convalle occupata in gran parte dalla vigna Casali. É noto che il Flamen Martialis, come il Dialis, ed il Quirinalis, erä stato stabilito da Numa, ed era un sacerdote di primo ordine, che sceglievasi solo frai patrizii.

Nella costruzione degli archi neroniani questo fornice fu ridotto a sostegno di quelli, come oggi si vede, ed a maggior solidità fu fasciato di opera laterizia dello stesso lavoro, la quale, come si disse, nella faccia orientale fu tolta ne'tempi moderni.

ARCO DI DRUSO. Superstite in parte, si vede prima di uscire la porta Appia, o di s. Sebastiano, essendo stato ridotto, allorchè venne costrutta quella porta, ad arco interno della porta medesima. Quest' arco, che entra nella categoria de'trionfali si compone di un fornice solo, la cui ossatura è di massi di travertino che erano rivestiti di lastre di marmo: di marmo solido poi sono i massi, che formano l'archivolto e la imposta. Le faccie erano ornate ciascuna di quattro colonne di marmo numidico rette da piedestalli, due delle

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quali nella faccia rivolta alla porta rimangono ancora : queste colonne racchiudevano fra loro riquadri e sostenevano un intavolamento ornato di un frontone, del quale rimangono ancora le vestigia nella faccia rivolta alla città. Della forma primitiva di questo monumento abbiamo un documento in una medaglia di Claudio battuta in memoria di Druso, la quale mentre si riconosce perfettamente di accordo colle parti superstiti, mostra inoltre, che l'arco era sormontato originalmente da una statua equestre fra due trofei colla epigrafe intorno: NERO CLAVDIVS DRVS GERMAN IMP: e le iniziali nel campo: S C: cioè Senatus Consulto. Questa circostanza e l'altra dell'essere stato tutto fasciato di marmo, siccome ho indicato, e l'essere situato sopra la via appia dimostrano quanto accuratamente si esprimessero Svetonio e Dione, e come giustamente l'arco di Druso si trovi notato fra le fabbriche esistenti entro i limiti della prima regione, che era quella di porta Capena, nella quale dava nome ad un vico, che Vicus Drusianus dicevasi. E circa i due scrittori citati di sopra, Svetonio nella vita di Claudio c. I. dichiara, che morto Druso il senato fra molti altri onori decretò in suo onore marmoreum arcum cum tropaeis in via appia decrevit, et Germanici cognomen ipsi, posterisque eius. Dione poi lib. LV. c. II. si accorda perfettamente con Svetonio scrivendo, che dopo la orazione funebre fatta in suo onore da Tiberio nel Foro, e da Augusto nel Circo Flaminio, fu il corpo dell'estinto portato sulle spalle dei cavalieri, e dai senatori nel Campo Marzio, dove fu dato alle fiamme, e le ceneri vennero nel Mausoleo di Augusto riposte, dopo avere ricevuto il cognome di Germanico insieme coi figli, e l'onore delle immagini, di un ARCO e di un cenotafio ancora sul Reno medesimo. Questo si fece l'anno 745 di Roma, onde circa lo stesso tempo quest'arco fu eretto.

Allorchè poi Caracalla costrusse le sue terme, avendo edificato ancora l'acquedotto antoniniano, che dovea fornirle di acqua, diresse il condotto a questa volta, e fece passar l'acqua sopra quest'arco che divenne così il monumento dell'acqua antonioiana e parte dell'arcuazione di Caracalla vedesi ancora superstite presso l'arco a sinistra di chi guarda verso la campagna, come lo speco è ancora visibile sull'arco stesso; ma in tal circostanza fu d'uopo rinnovare non solo tutti gli ornamenti dell' attico, ma ancora tutto intiero l'attico stesso che venne costrutto di opera laterizia analoga a quella dell'acquedotto, e fasciata di lastre di marmo, costruzione che apparisce solo dal canto rivolto alla città, essendo stata la faccia opposta rinnovata nel secolo XV; sotto Caracalla pure furono rifatti i capitelli delle colonne, che restano, e forse le colonne stesse, o perchè danneg giate, o perchè la nuova destinazione dell'arco ne fece alterare le proporzioni. Questi cangiamenti fecero riguardare al mentito Lucio Fauno Ant. di Roma lib. I. c. XVII, ed a Pirro Ligorio nelle Paradosse p. 39. l'arco come un monumento di acquedotto, ed al Piranesi particolarmente come il monumento dell'acqua antoniniana, dichiarando Ant. Rom. T. I. n. 142. essere questo composto di spoglie di altri edificii, ed essere rimasto imperfetto in alcuno de' suoi ornamenti, appoggiandosi alla esistenza dello speco ed alla direzione della opera arcuata; ma circa l'essere composto di spoglie di altri edificii, ed essere imperfetto, sono prette di lui asserzioni contrarie al fatto, poichè nella parte primitiva dell'arco non apparisce un sol pezzo, che possa dirsi tolto da altre fabbriche; quanto poi all'essere imperfetto, è questa la conseguenza delle triste vicende di Roma; nè lo speco e l'arcuazione influiscono punto per

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