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zione, Ti. Gracco 'cui inimicitiae cum P. Scipione intercedebant '
(Livio, 38, 52, 9) giurò, come dice Gellio VI [VII], 19, 6 'in
amicitiam inque gratiam se cum P. Africano non redisse, e come
conferma Cicerone, Prov. cons. 8, 18 'iuravitque in contione se
in gratiam non redisse'. Sia Gellio, sia Cicerone riferiscono tali
parole all' orazione di Ti. Gracco in favore di Scipione Asiatico,
non Africano. Ma Anziate dovè trovarsi a mal partito, con queste
parole e con le altre che tosto vedremo: giacchè egli poneva il
processo di Scipione Asiatico dopo la morte dell'Africano: come
mai dunque la protesta di Ti. Gracco, che egli non era ridiven-
tato amico all'Africano? come mai, come vedremo subito, il rim-
provero fatto al popolo romano, di secondare l'ambizione dell'A-
fricano, se questi era morto? Anziate trovò il ripiego, e imaginò
una prima intercessione di Ti. Gracco, per impedire la prodictio
diei a Scipione Africano! Livio accettando questa versione, non la
trovò d'accordo con la orazione di Ti. Gracco, perchè questa, na-
turalmente, non faceva nessuna menzione della prodictio diei (38,
56, 7), e dubitò dunque che fosse falsa quest'ultima (38, 56, 5
'si modo ipsorum sunt quae feruntur '). Sospettata falsa quest'ul-
tima, pose come parole di Ti. Gracco non quelle che trovava nel-
l'orazione, ma quelle che rinveniva nel suo autore (38, 53, 1-5).

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Così pure si spiega perchè Livio trovasse contraddittorie le orazioni di P. Scipione Africano e di Ti. Gracco (38, 56, 5'abhorrent inter se '). Si riferivano a due accuse diverse mosse a due persone diverse (l'Africano e l'Asiatico); e Livio invece aveva la prevenzione che dovessero riferirsi allo stesso fatto. Oltre a ciò nella seconda Ti. Gracco si lagnava dell'illecito e violento intervenire dell'Africano in favore del fratello (38, 56, 9). O come, se era egli l'accusato? E Livio conchiuse (38, 56, 1): 'ut cui famae, quibus scriptis adsentiar non habeam '! E veniamo ora ai dubbii moderni circa l'autenticità dell'orazione di Ti. Gracco. Di quella orazione noi sappiamo solo ciò che ce ne dice Livio in 38, 56, 10-12 (le parole riportate in 38, 53, 1-5 mostrammo non esser prese da quella); e la protesta da lui fatta di non essere ritornato

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nell'amicizia di Scipione Africano (Cic. Prov. cons. 8, 18, Gellio VI[VII], 19, 6). Nel passo di Livio Ti. Gracco si lagna della diminuita potestà tribunizia e della prepotenza dell'Africano incolpa i Romani, che l'avrebbero voluto console a vita e dittatore; doversi a lui, Scipione, che non gli si ponessero statue nel comizio, sui rostri, nella curia, nel Campidoglio, nella cella di Giove; doversi a lui che con trionfale abito ei non uscisse dal tempio di Giove. Di qui muovono i dubbii del Mommsen. Egli osserva in prima (Röm. Fo. II, 420) che Cicerone non rammenta se non una sola orazione di Ti. Gracco, quella ai Rodii; e dipoi (p. 503 e segg.) che le cose attribuite a Ti. Gracco corrispondono mirabilmente a ciò che si poteva dire di Cesare, e suppone l'orazione opera di un contemporaneo di Cesare, che voleva amaramente riprendere costui e non avendo il coraggio di farlo a viso aperto, ne mascherò e coprì il nome, sostituendovi quello di Scipione. Giacchè quanto all'oltraggiata potestà tribunizia, egli rammenta come Cesare facesse violenza e minacciasse morte al tribuno L. Metello che non gli voleva aprire le porte dell' erario (App. B. civ. 2, 41, Plutarco, Cesare 35, Lucano 3, 121 sgg.); le restanti allusioni, al console perpetuo, al dittatore, alle statue e agli onori sono ovvie per sè stesse. Piena adesione trovò l'ipotesi del Mommsen, presso il Luebbert, Observationes criticae de T. Livii 1. IV font., Gissae 1872, p. 12 segg. Ora, per quanto è del passo di C., ove si menziona la sola orazione contro i Rodii, è da notare che è solo quella menzionata, come orazione greca, ma che da tutto il passo risulta anzi come ei fosse da porsi tra gli eloquenti oratori del tempo di Catone Maggiore (Brut. 20, 79 'Erat iisdem temporibus Ti. Gracchus P. F. qui bis consul et censor fuit; cuius est oratio Graeca apud Rhodios: quem civem cum gravem tum etiam eloquentem constat fuisse '). — Per quanto è poi della lagnanza per la violenza fatta ai tribuni, è da notare che nella orazione di Ti. Gracco, si giustificava la lagnanza con l'addurre un fatto avvenuto, e tal fatto non è la violenta apertura dell'erario. Parla infatti Livio della versione di coloro che narra

vano avere Scipione Africano strappato il fratello dalle mani del viatore che lo conduceva in carcere, et tribunis retinentibus magis pie quam civiliter vim fecisse (38, 56, 10). E continua: Hinc enim ipse Ti. Gracchus queritur dissolutam esse a privato tribuniciam potestatem '. Qui bisognerà intendere come una esagerazione di Anziate (Gellio VI[VII], 19, 8) che Lucio fosse già in carcerem duci coeptus', e la violenza di Scipione Africano bisognerà intenderla della sola irruenza di parole, ond'egli chiese ai tribuni l'intercessione (v. su tale intercessione Mommsen, Röm. Fo. II, p. 473); ma quel che a noi importa è che da tal fatto (hinc) prendeva le mosse Ti. Gracco per lamentare la scemata potestà tribunizia. Quanto poi al consolato a vita e alla dittatura, non si dovran prendere troppo alla parola le due accuse; essendosi potuto chiamare dittatura per amplificazione il potere esercitato da Scipione, quel che Catone chiamava

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in senatu regnum'; e quanto al consolato, si rammenti com'ei fosse già console la prima volta nel 202 av. C., prima dell'età legale; e ad ogni modo che il passo di Ti. Gracco riportato da Livio significa non che Scipione Africano fosse, ma che il popolo avrebbe voluto farlo console perpetuo e dittatore (castigatum enim ab eo populum ait, quod eum perpetuum consulem et dictatorem vellet facere'). Le accuse di Ti. Gracco avevano riscontro in quelle che partivano, come sopra mostrammo, da Catone (Liv. 38, 51, 4) unum hominem caput columenque imperii Romani esse, sub umbra Scipionis civitatem dominam orbis terrarum latere, nutum eius pro decretis patrum, pro populi iussis esse'. Infine, il rimprovero per le statue che gli si volevano erigere, è bensì conveniente a Cesare (Mommsen, Rō. Fo. II, 504-6), ma non meno può riferirsi a Scipione Africano (v. Mommsen, p. 503). Anzi un'allusione a questo rimprovero di Ti. Gracco, io scorgo in un frammento di Ennio, tolto da quel medesimo libro delle sature, intitolato Scipio' ove mostrammo essere stata riprodotta parte dell'orazione di Scipione contro Nevio. Il frammento è conservato da Trebellio Pollione, Claudius, 7:

'Dicit Ennius de Scipione':

'quam tantam statuam statuet populus Romanus quamve columnam, quae te res gestasque loquatur'

[Vahlen, Enn. Rell. p, 156 'quae teque et tua gesta loquatur']

Mi par che qui Ennio risponda a Ti. Gracco, e dica: 'ma per quante statue vorrà innalzargli il popolo Romano, non gl'innalzerà mai tale statua e tal colonna che degnamente onori le sue gesta!' - Dell'orazione gracchiana si hanno, crediamo, più tracce in Seneca, il quale dunque dovè o direttamente attingervi, o attingere a fonte che di là derivasse. Non potè infatti attingere a Livio, come sospetta il Mommsen (Rö. Fo. II, 428), giacchè mentre Livio fa morire Scipione Africano prima dell'Asiatico, egli invece fa che a Scipione Africano venga nell'esilio annunziata la morte del fratello (v. Mommsen, II, 478, nota) e tal notizia non è in nessun' altra delle fonti a noi conosciute: (De cons. ad Pol. [14] 33, 4) Quid tibi referam Scipionem Africanum cui mors fratris in exsilio nuntiata est? Is frater qui eripuit fratrem carcere, non potuit eripere fato'. Ora non solo tali parole ci riportano ad una fonte a noi ignota, ma gli altri accenni di Seneca ci dicono che tal fonte dovè immediatamente derivare dall'orazione di Ti. Gracco. Infatti:

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Seneca, Brevit. vitae 17, di Scipione Africano: 'ni per ipsum mora sit, cum Iove reponetur'.....post fastiditos a iuvene diis aequos honores'. Livio, 38, 56, 12, dall'orazione di Ti. Gracco: prohibuisse [P. Scipionem] ne decerneretur ut imago sua triumphali ornatu e templo Iovis Optimi Maximi exiret'. Seneca, Suasor. 7 'P. Scipionem a maioribus suis desciscentem generosa mors in numerum Scipionum reposuit' = Livio, 38, 56, 11 dall'orazione di Ti. Gracco hanc unam impotentem eius iniuriam invidia onerat, ut increpando quod degenerarit tantum a se ipse'. (A dir vero, possono le parole di Seneca riferirsi anche al figlio dell'Africano Maggiore; v. Val. Mass. III, 5, 1).

Da tutto ciò che abbiamo detto circa l'orazione di Ti. Gracco, viene il seguente frutto per la storia e il seguito degli avveni

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menti. La domanda ai tribuni, perchè intercedessero a favore di L. Scipione fu fatta dal fratello P. Scipione. Ciò era nell'orazione di Ti. Gracco (Liv. 38, 56, 9-10), ciò ne dice Seneca che attinge, come abbiamo detto, a fonte a noi ignota (Cons. ad Pol. [14] 33, 4 tribuno quoque plebis privatus intercessit, ciò ne dice indirettamente Cicerone (Prov. cons. 8, 18), ciò chiaramente Gellio VI[VII] 19, il quale fa che P. Scipione Africano chiegga al collegio dei tribuni ut virum consularem triumphalemque, a collegae vi defenderent'. Dopo questa violenta richiesta d'intercessione fatta da un privato, si comprende l'orazione di Ti. Gracco: si comprende com'ei protestasse che, se intercedeva in favore di L. Scipione, nol faceva già perch'ei fosse tornato in grazia del fratello; anzi prendesse occasione da questo per rimproverare al popolo la prepotenza e l'onnipotenza dell'Africano. Egli però intercedeva a favore di Lucio, per una sola ragione, la quale si trova riportata pressochè con le stesse parole sia nei veterum annalium monumenta' di Gellio, sia in Cicerone. Gellio VI [VII] 19, 7 alienum videtur esse dignitate reipublicae in eum locum imperatorem populi Romani duci, in quem locum ab eo coniecti sunt duces hostium '. Cicerone, Prov. cons. 8, 18 alienum sibi videri dignitate imperii, quo duces essent hostium Scipione triumphante ducti, eodem ipsum duci, qui triumphasset' Livio che, seguendo Anziate, sdoppia l'azione di Ti. Gracco, ha tutte e due le volte, e cioè sia per l'intercessione che avrebbe interposto a favore dell'Africano, sia per quella a favore dell'Asiatico, cose simili a queste: (38, 52, 11 'ut sub rostris reum stare et praebere aures adolescentium convitiis populo Romano magis deforme quam ipsi sit' 38, 60, 6' non passurum inter hostes populi Romani in carcere et vinculis esse'). -La notizia liviana poi (38, 53, 6) delle lodi fatte in Senato a Ti. Gracco quod rem publicam privatis simultatibus potiorem habuisset', può derivare da buona fonte, giacchè ha riscontro in Cicerone, Prov. cons. 8, 18 An Ti. Gracchus - tantam laudem est adeptus, quod tribunus pl. solus ex toto illo collegio L. Scipioni auxilio fuit.....?'

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