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Ci duole di doverlo dire e lo diciamo col rispetto dovuto a uno studioso serio e geniale - la Venere mitologica non ha qui nulla a vedere; ma il titolo, come tale, dell'autore tedesco, è uno de' migliori, tra i non pochi, che in quattro secoli di ricerche furono assegnati alla composizione enigmatica. Non prenderemo ora in esame questi titoli; ma poiché il loro numero non è piccolo, e quello ora prevalso non sodisfa, sembra che non sia possibile trovarne uno, che sodi sfaccia pienamente. E anche noi lo confessiamo mentre sul concetto della composizione non abbiamo dubbi, non sapremmo risolverci per un titolo unico. Meglio sarebbe ritornare al primo, che non interpreta. Rileva semplicemente il fatto, e pare sia da attribuirsi al Ridolfi (1): Due donne presso una fonte. Io proporrei dunque che si tornasse a questa onestà di parola, la quale non dice ciò che non si può dire, né eccita il malcontento in chi si accinge a considerare la composizione, né lo mette per una via sbagliata, alla ricerca di ciò che non potrà trovare. Sono, in apparenza, veramente due figure, due donne. Ma, come dianzi dicevamo, l'indeterminatezza dovette essere favorita sin da principio; poiché era bene che non si dicesse tutto, onde non fosse tutto cercato dall'osservatore, né tutto veduto, com'era nella realtà, né tutto compreso, com'era nel concetto dell'autore. E però, se il titolo può esser diverso, la qualifica di pwxρintoɣpapla, o criptografia erotica, ci pare sicura,

VIII.

Costume del Cinquecento di mescolare l'umano col divino.

Dire in genere dello stile del Tiziano, oltreché una presunzione, sarebbe fuor di luogo e di tempo; ma toccare di quel tanto, che può avere attinenza col soggetto della composizione, che cerchiamo di comprendere, non è presumere ed è opportuno.

Ripetiamo che Tiziano, come avviene spesso ai giovani, mosse i primi passi nell'arte sulle orme dei maestri, che la storia conosce e ricorda; ma egli ebbe la gran fortuna d'incontrarsi in un suo, quasi compaesano, che aveva del genio naturale quanto lui, e che prima di lui s'era messo risolutamente sulla

d'arte tedesca. Il secondo, per quanto sappiamo, rimane senza oppositori, padrone del campo, ch'egli ha percorso in lungo e in largo con una grande scorta di dottrina. Il Poppelreuter sostiene che la donna vestita è la poetessa Saffo; e vede nel volto di lei le tracce di una notte insonne: nella donna ignuda, Venere agitante.

Debbo alla gentilezza del prof. Battelli queste informazioni; e aggiungo che di lui si legge sull'argomento uno scritto nel n.° 49 della rivista italiana di Siena Vita d'Arte.

A questi critici, che diremo dualisti, vuolsi aggiungere Corrado Ricci, che sulla Illustrazione Italiana del 1901 propone, anch'egli, una nuova interpretazione, non allontanandosi però dal concetto che, essendo due le immagini, siano pur due gli amori: « Venere celeste e Venere terrestre ».

(1) CARLO RIDOLFI, Le Meraviglie dell'Arte, Venezia 1648.

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nuova via: Giorgione. I due giovani, ch'ebbero tirocinio e sorti presso che uguali, erano anche forniti di un temperamento erotico uguale, incline alla considerazione della vita, come cosa da usare a dilettazione di chi la vive. Nella rappresentazione delle cose naturali trovarono tutt'e due il piacere di chi gode di esse, e si compiace della propria creazione. Il darsi alla spensierata riproduzione del vero naturale, fu per loro come un intimo piacere di reazione a quanto i maestri contegnosi avevano insegnato, e continuavano a fare. L'onda del mare umanistico, che andava sollevandosi intorno a loro, e commovendosi in tutta la vita artistica e letteraria, dalla quale anch'essi erano portati, li spinse ad ardimenti di forma che erano ribellioni, che piacquero ai piú, e dispiacquero a pochi. Giorgione, fiore precoce, presto si schiuse e presto scomparve: Tiziano proseguí trionfalmente il suo cammino. Le sue produzioni voluttuose, che sanno sdrucciolare nella pornografia erotica, valsero, non v'ha dubbio, a perpetuargli la fama; poiché l'allettamento al piacere in una forma circospetta è sempre stato un forte contributo al buon successo. Se il puro ascetismo può prevalere per qualche tempo, e può anche produrre cose superiori, non può durare alla lunga, né dare all'arte tutto ciò che le occorre per essere ammirata e per commuovere piacevolmente. Quasi tutti gl'ingegni del periodo umanistico del Cinquecento danno a divedere di ubbidire a due tendenze e a due influenze, che fanno talvolta capolino l'una nell'altra, o fraternamente si associano in produzioni d'indole diversa: l'elemento pagano nel religioso; il sacro nel profano. I soggetti grandiosi delle vaste tele, o dei grandi affreschi per chiese, o per palazzi sono ordinariamente intorno ad argomenti imposti agli artisti, dei quali è data la traccia dai committenti. Gli artisti cercano d'interpretare come meglio sanno e possono il pensiero e la volontà delle corporazioni religiose, dei principi, o dei signori ordinatori; ma i mezzi dei quali dispongono, sono vari e molteplici, che sfuggono alla censura dei committenti, o non la curano, o sanno eluderla. Di qui, come ripetiamo, l'innesto del sentimento personale veristico nelle cose di fede e di religione, che possono, alla prima, apparire concezioni ibride di menti inferme. Chi potrebbe, a mo' d'esempio, spiegare altrimenti che con questa inconsapevole tendenza a mescolare il profano nel sacro, alcune particolarità delle maggiori composizioni del Correggio? Nel suo maggiore affresco, ch'è l'Assunzione della Cupola del Duomo parmense, nell'empireo, tra una corona d'angeli e arcangeli osannanti in estasi divina, nel momento, in che la Vergine sta per essere accolta nell'abbraccio divino del Redentore, ecco una figura maschile librata nell'etere essere divino incontestabilmente mettere in vista, nella guisa la piú invereconda possibile, tutte le pudende maschili nella loro poderosa efficienza e, per colmo della cosa, messe in vista da quella parte del corpo umano, che serve ai bisogni piú celati (1). Né spiegheremo la cosa supponendo un capriccio dell'artista; no davvero, ma bensí con l'ammettere, quanto dianzi dicevamo, cioè il sentimento dell'umano nel divino, e viceversa. Tanto è ciò vero, che lí, accanto alla Vergine in estasi di

(1) La verità di quanto diciamo è fatta immagine, oltreché in riproduzioni antiche

e non antiche, anche nelle tavole riproducenti gli affreschi della Cupola (Zona degli Angeli), e messe in pubblico per cura di CORRADO RICCI nel Bollettino d'Arte (Supplemento), una delle quali è qui riprodotta.

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vina, puoi vedere due altre figure, simbolizzanti ciò che v'ha di più umano nell'umano: Adamo ed Eva. Eva da una parte, che offre ad Adamo il pomo simbolico, ossia se medesima, invitandolo a quel congiungimento misterioso, ch'è la vita, e che la fa sorgere.

Un altro esempio servirà a persuadere ancor meglio.

I fabbricieri di una Confraternita religiosa parmense commettono nel 1533 a uno scolaro del Correggio una gran tela per il loro Oratorio. Soggetto: La Concezione divina; quella che giustifica il culto della Vergine cristiana. Come l'artista, ch'è Girolamo Mazzòla, assolverà l'opera sua? La gran tela, una delle principali della Galleria parmense, fa vedere in alto, sopra le nubi, la Vergine cristiana sola, con lo sguardo rivolto al cielo; ma sotto, a' piedi di lei, l'una a destra e l'altra a sinistra della composizione, ancora le due figure di Adamo ed Eva, e anche qui Eva in atto di offrire il pomo ad Adamo. Il resto del soggetto ch'è la parte principale della gran tela contiene l'apoteosi della concezione umana: madri che mettono in evidenza il frutto delle loro viscere fecondate; novelli sposi che entrano nel tempio della fecondazione; giudizio e condanna di chi si sottrae alla santa legge del fecondare e concepire....

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Per il medico la concezione è coitus; per il filosofo è coitus naturalis; per il mistico, è congiungimento della divinità con la divinità in uno slancio d'amore celeste; ma per l'artista rappresentativo non potrà essere che l'atto, piú o meno evidente, che precede il momento supremo, o le conseguenze legittimamente materiali, che lo seguono, e, di conseguenza, l'atto di per sé non è né inverecondo, né colpevole.

Le composizioni Tizianesche Venere e Adone », << Noli me tangere », << I tre Amori », e, insieme con esse, « Concerto musicale e « Tempesta », per non dire di altre, del Giorgione, ritornano allo stesso concetto; e si valgono, in fondo, degli stessi espedienti della composizione « Amor sacro e Amor profano ». Tutte, mentre sono allegorie naturalistiche, contengono pure allusioni erotiche velate, più o meno scoperte, sfumature, che un francese direbbe drôlatiques.

IX.

Ancora una breve aggiunta.

Anche il culto della musica, che in Venezia ebbe il suo maggiore altare, e coi fiamminghi Adriano Willaert e Cipriano de Rore era salito ad altezze sconosciute nell'altre citta d'Italia, ebbe nei primi anni del secolo XVI un nuovo motivo per espandersi, e per entrare nelle consuetudini della vita artistica, facilitato, com'era, dalla naturale inclinazione. Fu appunto in Venezia che Ottavio Petrucci da Fossombrone aprí, come in luogo piú idoneo ad esservi accolta, la prima stamperia di musica; dopo di che, assai più che altrove, ne sorsero altre, che divennero famose; e la maggior parte della musica italiana madrigalesca si diffondeva da Venezia, come dalla sua fonte naturale, su tutta l'Italia rimanente. La qual cosa fu di gran vantaggio all'arti in genere, ma particolarmente a quelle, che parlano ai sensi e alla fantasia. Non v'ha composizione pittorica di questo

tempo, dove non entri in qualche modo la musica, e per mezzo di organi, liuti o altri strumenti, non concorra al compimento ideale del soggetto. Giorgione, com'è noto, era molto più che un dilettante di liuto; perocché sonare e dipingere erano prerogative degli spiriti piú eletti.

La composizione, di cui si è discorso sin qui, la quale, per comune consentimento, è giudicata la prima grande manifestazione del genio giovanile del Tiziano, porta in sé le caratteristiche più spiccate dell'artista sommo. Coi bassorilievi della vasca si ricollega alla scuola dei Bellini; col particolare del liuto al « Concerto musicale » del Giorgione, e col complesso erotico a tutta la vita sensuale, come allora era compresa in Venezia, e come il Tiziano la comprese e la fece comprendere per tutta la sua lunga vita.

X.

Conclusione.

Ritornando dunque al punto, donde abbiamo prese le mosse, vale a dire, alla interpretazione del soggetto che ha tanto affaticato le menti degl' interpreti, ci piace concludere con le giudiziose parole del Lafenestre. « Peut-être egli dice ne faut-il pas demander un sens trop précis à cette composition poétique. alors de mode à Venise, dont l'auteur, principalment séduit par la beauté des formes et des couleurs, aurait eu parfoit grand' peine à donner une explication logique. Giorgione surtout avait développé, chez tous ses condisciples, ce goût des rêveries plastiques et de fantaisies d'imagination. Chez Titien comme chez lui, il faut faire souvent la part au lyrisme ardente et vague d'une belle jeunesse enivrée de vie, d'amour et de beauté. Si l'on ne s'entend pas pour comprendre, on s'entend du moins pour admirer. Rien dans l'oeuvre de Titien, n'exhalera parfum d'amour plus frais et plus exquis que cette printanière éclosion de son génie...., L'emotion est irrésistible. Jamais la beauté nue et la beauté parée n'ont été, in avant, ni depuis, présentées côte à côte avec un pareil charme de seduction vivante et discrète. Oui, tout parle d'amour dans cette eglogue vénitienne. C'est le beau songe d'un soir d'été, dans un paysage meridional, raconté avec enthousiasme par un vrai poète qui se trouve être déjà le plus grand des peintres ».

E anche noi infine concluderemo col dire che se potevamo accordarci nell'ammirazione senza penetrare a fondo, ora, intendendo anche troppo la movente lubrichezza, non possiamo frenare un cotal senso di piacere per la non perversa né pervertita passione erotica; non però siffatta, no, che sia da proporsi alla contemplazione degli efebi. Qualunque sia la definitiva interpretazione del soggetto, esso non è casto sicuramente, nè potrà mai esser proposto quale mezzo di elevazione educativa, come amenità del caso! — è avvenuto in un diffuso manuale artistico di letteratura italiana per le nostre scuole.

GRAZIANO PAOLO CLERICI.

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