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Giove in Olimpia, a cui somiglianza fu fatto, ed uguale a Giunone argiva, che è in Roma. Al bene della provincia consecrò la città, a quello di chi ci sarebbe approdato il porto, e a Cesare l'onore di averla fondata onde la nomino Cesarea. Anzi il resto dell' opere, che vi fece, l'amfiteatro, il teatro, e la piazza furono degne di tanto nome; e similmente agli spettacoli cinquennali, che istituì, diede il nome da Cesare; e fu egli il primo, che vi proponesse grandissimi premj nella centesima novantesima seconda olimpiade, nella quale occasione non i vincitori soltanto, ma quei, che venivano dopo loro e i terzi entravano a parte della regale magnificenza.

IV. Ristorata poi anche Antedone città marittima dalle guerre abbattuta l'appellò Agrippeo: e di questo medesimo amico suo pel gran bene, che gli voleva, fe' incidere il nome sopra la porta, che fabbricò egli stesso nel Tempio.

V. Amantissimo de'suoi parenti, quant'altri mai, innalzò in onore del padre un avello, e fondò una città, che piantata in una pianura amenissima del suo regno, di fiumi ricca e di piante nominò Antipatride; e fabbricato vicino a Gerico uno straordinariamente vago e forte castello, gli impose il nome materno chiamandula Cipro. A Fasaelo poi suo fratello eresse in Gerusalemme col suo medesimo nome una torre; la cui figura e grandezza e magnificenza darà in avvenire materia di ragionare più a lungo. Intanto anche a un' altra città, che fondò nella valle settentrionale, a chi viene da Gerico, pose il nome di Fasaelide.

VI. Eternata così la memoria de' suoi amici non trascurò neppur quella di se medesimo; ma fabbricato un castello sul dorso d'una montagna rivolta all'Arabia da se nominòllo Erodio; anzi a un rialto, che rappresentava una poppa, fatto a mano lungi da Gerusalemme sessanta stadj diè la medesima appellazione; ma adornillo con maggior diligenza; perciocchè ne ricinse la veta di torri ritonde, e tutto in giro lo sparse di regie fabbriche sontuosissime a segno tale, che non l'interno sol delle case era bello e galante a vedere; ma le pareti esterior eziandio, le cinte, e i coperti mostravano tutto intorno grande ricchezza. Tirò da lontani paesi con sommo spendio vene ricchissime d'acqua (62), e la fe' per spazio salire di dugento gradini di marmo bianco; perciocchè la collina era molto ben alta, e tutta fatta dall' arte. Alle fale poi d'esso colle piantò altri palagi capevoli del reale bagaglio, e degli amici, a'quali darebbesi colà entro ricetto ; laonde per l'abbondanza che avevaci d'ogni cosa, quella fortezza sembrava una intera città, e pel suo giro ben regolato una reggia.

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VII. Dopo fabbriche cosiffatte rivolse il suo grand'a nimo per dimostrarne gli effetti a moltissime ancora delle straniere città. Di fatto in Tripoli e in Damasco e in Tolomaide fabbricò scuole pubbliche di ginnastica, e le mura in Biblo, logge e portici e templi e piazze in Berito e in Tiro, in Sidone poi e in Damasco teatri, in Laodicea a mare acquidotti, in Ascalona bagni e fontane dispendiosissime. Oltre a ciò colonnati ammirabili e per grandiosità e per lavoro; e in qualche luogo da lui rifatti boschi e giardini. Molte città, come se ap

partenessero al suo regno, ebbero da lui ancora terreni; altrove dotò commessariati della ginnastica di rendite annuali e continue, assegnandone il quanto, siccome fece con que' di Coo, perchè non mancasse il premio giammai. Quanto era poi a frumento, egli somministronne a chiunque n'abbisognava; e a' Rodiani pel rifacimento della lor flotta donò spesse volte e in più luoghi denari, e il Tempio bruciato d' Apollo Pitio a sue spese tornò in forma miglior di prima. Or che gova il qui riferire i regali fatti a' popoli della Licia e di Samo, e la magnificenza, con che trattò tuttaquantą l'Ionia ne' particolari bisogni di ciascheduno? Non è egli vero, che gli Ateniesi, i Lacedemoni, i Nicepolitani, e i Pergameni di Misia son pieni di donativi d' Erode? E che la piazza degli Antiocheni di Siria impraticabile per lo fango fu da lui tuttoch lunga ben venti stadj selciata di liscio marmo, e per ricovero contro l' acque adornata d' un portico d' egual lunghezza? Ma queste cose dirà taluno esser proprie d'ognan di que' popoli solamente, che furo benificati. Il bene però ch'egli fece agli Elei, non che a tutta la Grecia, a tuttoquanto quel mondo è comune, dove la fama perviene de'giuochi olimpici. Perciocchè avvisando, che andavano per iscarsità di denajo in rovina, e che il solo avanzo, che rimanea dell'antica Grecia, svaniva, non pure in quel lustro, che avvennegli di passar per colà navigando alla volta di Roma, fu presidente de' giuochi, ma perché non fallisse giammai la memoria della sua presidenza sostituì in suo logo un soccorso stabile di denari. Sarebbe un non voler mai finire lo sporre i debiti, o le

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gravezze, ch' egli pagò per altrui, come fece co' Fasaeliti, co' Balaneoti, e con altre terre della Cilicia, cui egli alleviò dalle imposte annovali, che avevano. Questo è certo, che dal timore fu in gran parte la sua magnanimità frastornata, per non incorrere nell' invidia altrui, e perchè non sembrasse col beneficar le città più di quello, che i lor signori facevano, che avesse qualche mira più alta.

VIII. Sorti un corpo proporzionato allo spirito, stato mai sempre valentissimo cacciatore; nel che fece grandi progressi per la sua perizia nel cavalcare; e vi fu tempo, ch'ei prese in un giorno solo quaranta fiere: giacchè in que' paesi si allievan cignali, e in maggiore abbondanza cervi ed asini salvatici. Fu guerriere invincibile. Molti pertanto negli esercizj ancora della ginnastica ne stupiro, veggendolo dirittissimo balestratore, e arcadore giustissimo.

IX. Oltre poi alle doti dell' animo e e della persona incontrò favorevole ancor la fortuna; perciocchè rade volte perdette battaglie, e delle sue perdite non egli fu la cagione, ma o il tradirlo, che fecero alcuni, o la precipitazion de' soldati.

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CAPITOLO XXII.

Morte d' Aristobolo e Ircano pontefici,
e di Mariamme regina.

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I. Ma la fortuna cogli scompigli domestici guastò i prosperevoli avvenimenti di fuori; e a straziarlo cominciò dalla moglie, cui egli amava singolarmente. Perciocchè quando videsi in trono, licenziata quella, che in condizion di privato avea tolta, la quale era (63) nativa di Gerusalemme, e Doride si chiamava, prese Mariamme figliuola d'Alessandro figliuol d' Aristobolo; donde avvenne, che andò la sua casa a romore tantosto, singolarmente dopo la sua venuta da Roma. Conciossiacosa che primamente cacciasse dalla città per cagion de' figliuoli natigli di Mariamme Antipatro avuto da Doride con solamente licenza di rendervisi ne' dì solenni (64). Indi per sospetti di tradigione tolse di vita l'avolo di sua moglie Ireano venuto a lui dalla patria dove condotto l' avea prigione Barzafarne, allor quando corse la Siria, e per pietà che sentiron di lui, glielo avevano chiesto i suoi nazionali di là dall' Eufrate; e se ne avesse ascoltato il consiglio, ch' era di non passare appo Erode, non sarebbe miseramente perito. Ma l'esca, che il trasse a morte, fu il matrimonio della nipote; sulla fidanza del quale pel desiderio soverchio, che avea della patria, ci si condusse; diede poi gelosia ad Erode la sua persona, non perchè aspirasse al regno, ma perchè a lui aspettavasi di regnare,

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